Patrizio Marozzi - I Racconti tra realtà e leggenda di Mister X
pag. 278
INTRODUZIONE
20 Gennaio 2001
Patrizio Marozzi
Via IV Novembre 19
63037 Porto D’Ascoli A.P.
Tel. e fax 0735 753745
Adelphi edizioni
Dir. Ed.
Roberto Calasso
Via S. Giovanni sul Muro 14
20121 Milano
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Egregio Direttore eccomi di nuovo…
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…un po’ di tempo fa – ero ancora un ragazzo – cercai di spiegare ad un altro ragazzo che un giorno con la ceramica si sarebbero costruiti dei pezzi per i motori delle automobili… fu impossibile fargli accettare il fatto che l’idea fosse vera, neanche se lo avesse visto con i suoi occhi vi avrebbe creduto …ma il fatto non è tanto che oggi dei componenti ceramici si usano per andare nello spazio, che è normale, ma che ancora a tutt’oggi e ancora di più di allora si vive in funzione di una scienza, che ci ha così bene istruiti nel suo uso, da renderci privi della conoscenza…
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…L’informazione che voglio anticiparle – che troverà nel libro – è questo brano di Mister X: “Ero seduto, ascoltavo con la mia fantasia il suono di un clavicembalo. Seduto su una panchina di un giardino qualsiasi della mia città. “Ciao.” “Ciao.” Sento qualcuno che saluta e mi accorgo di un pacco avvolto in una busta, appoggiato lì, al mio fianco sulla panchina… Un libro, lo apro, un pagina a caso. Leggo: …”
Mister X
Questo brano è l’inizio del libro “Letteratura Sperimentale”, del primo capitolo “Faust”. Si può benissimo dire che questo personaggio nasce lì.
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La ricerca creativa su cui si genera questo libro: “I racconti tra realtà e leggenda di Mister X” è già presente nelle mie opere precedenti, anche se qui ovviamente si esprime nella sua peculiarità.
Buona lettura a lei e ai Suoi collaboratori.
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…I personaggi che attraversano le mie opere vivono nella realtà del libro e molti di essi sono entrati, attraverso i processi creativi con cui sono stati costruiti “nell’irrealtà” della realtà del mondo, ma sempre attraverso il contenuto stesso dell’opera d’arte che li conteneva, per esempio: “Affacciati alla realtà”. Anche in quest’opera ciò avviene ma non è solo questa la sua peculiarità…
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Costruendo questo libro è nato un nuovo personaggio: “Anonimo” con tutta la sua ragion d’essere, determinatasi attraverso tutte le mie opere già fatte. Con esso mi si aprono possibilità creative veramente interessanti e già nuovi progetti mi frullano in testa. Ho anche pensato a un lavoro orale, non nel senso di un’opera scritta e poi recitata o viceversa, ma un’opera che si determina e si realizza solo per mezzo dell’oralità, spero di riuscire a realizzarla – se sarà ne verrà sicuramente a conoscenza.
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De “I racconti tra realtà e leggenda di Mister X”, ho realizzato anche una versione in c.d. rom, essa se stampata può essere letta con i tempi e il ritmo di un opera letterale su carta, o sennò avere un approccio diverso per mezzo del software del computer. Rispetto a quella cartacea essa contiene anche del materiale multimediale che va da fotografie, opere di arte concettuale, musicale e visiva.
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Mi conceda il vezzo del fronte di copertina, con l’intestazione dal colore diafano. Lo stesso colore che uso per stampare questa lettera, questo non è un vezzo, ma sono sicuro che lei sarà così gentile da concedermi il fatto di aver terminato l'inchiostro nero e dato che ho probabilità che martedì mi arrivi la stampante nuova e che voglio spedirvi il mio lavoro prima… Grazie!
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La ringrazio infinitamente dell’attenzione e rimango in attesa di Sue notizie.
Ancora buone letture e buona vita.
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P.S.
…leggendo, per esempio troverà scritto: “Hasserliani” invece di Husserliani – e altre… cose di questo tipo, ma mi conceda di dirle che sono scritte proprio bene.
Patrizio Marozzi
I racconti tra realtà e leggenda di Mister X di Patrizio Marozzi
a
Vivienne
…peccato originale… se fosse possibile il male di uno verso se stesso, sarebbe misericordia di Dio.
Il male di molti verso uno è di grave danno per tutti, ma tutti in un modo o nell’altro sono responsabili del male, tranne quell’uno.
Anonimo
Prologo
Gli amici che ho avuto non hanno meritato la mia amicizia.
Le donne che ho amato non hanno meritato il mio amore.
Non ho mai conosciuto nessuno che superasse la mediocrità e tutti secondo la misura dell’uomo, dal più piccolo al più grande, sono affetti da quella forma di pazzia che non si risolve in nessuna consapevolezza, ma li radica nella profondità di una banalità insolubile.
Non mi conoscete e se pensate che io sbagli può essere solo per invidia.
Chi come voi di fronte all’immenso gesto della creazione di Dio, ha preteso che nel gesto di rubandogli una mela potesse diventare come lui, non può che essere in preda ad una presunzione incommensurabile. La vostra condizione si chiama dannazione, ovvero: L’atto e l’effetto del dannare o dell’esser dannato; condanna all’inferno, perdizione dell’anima. La dannazione eterna. Io non provo proprio invidia per la vostra condizione.
Non conosco persona che meriti la mia amicizia.
Non conosco donna che meriti il mio amore.
E voi continuate ad offrirmi la vostra mela, questo si chiama odio. Lo diffondete in tutti i modi, ma è bene che sappiate che se io odiassi quando voi e mi dannassi con voi, la vostra condizione non subirebbe la ben che minima variazione – e se anche io non odiassi e mi salvassi dalla vostra morte eterna, anche in questo caso la vostra condizione non subirebbe la ben che minima variazione. Cristo è già morto, io con la mia morte posso riscattare solo i miei peccati: morire per Cristo o contro Cristo. Essere quel ladro che vicino alla sua croce ha chiesto perdono dei suoi peccati – o scegliere di essere l’altro ladro che ha deciso di perpetuare la sua dannazione.
Non vi rimane che una speranza, sta in quella frase che Cristo pronuncio quando… “Dio mio perdona loro perché non sanno quello che fanno” – e quando sarete soli nell’attimo estremo della vostra morte, in quel momento la responsabilità di scegliere tornerà per un istante, l’ultimo.
Mister X
C’era un sentiero che non riuscivo più a comprendere, era quello che il resto del mondo non voleva conoscere ma soltanto, per il fatto che le cose non hanno conosciuto il loro reale significato non possiamo certo dire che non sappiamo quello che facciamo, ma del resto non importa realmente quello che facciamo, ma soltanto quello che gli altri non vogliono capire.
Eteronimo Joe 1
Le puttane mi divorano lo spazio. Quelle puttane delle ragazze per bene, quelle che fanno finta di non pensare alla figa, quelle che dicono di non dare importanza al sesso, ma poi ti danno la passera solo dopo aver sentito l’odore del tuo sette quaranta. Le puttane.
Le puttane quelle vere sono diverse. Ieri sera sono andato con Luisa, una ragazza di colore del Ghana. Mi ha chiesto cinquanta le ho detto che era troppo, quaranta allora mi ha detto, le ho risposto che era ancora troppo. “Ma io vado solo per cinquanta
— trenta”. Va bene le ho detto. E ancora lei — “Facciamo con calma, lo facciamo con calma”. “Va bene”.
Molte di loro cercano l’amore, e sperano che io mi innamori. Se avessi molti soldi troverei quella più bella, ma soprattutto intelligente, ve ne sono. E gli cambierei la vita come vuole. Alla faccia di quelle frigide delle brave ragazze.
Eteronimo Joe 2
È tempo di morire di abbandonare la vita, spegnere il buio che ti avvolge; non chiedere altro alla speranza che non può darti niente. Tutto il sentire umano ho attraversato e quello ch’è rimasto è solo un involucro che sente qualcosa che non appartiene più all’umanità che mi porto dentro. Sento gli inutili occhi di chi leggerà queste parole acuire ancor di più il mio esserci, parlare delle cose come di uno stato, di un’assurda cura. Morire per dire basta alla solitudine, che non mi lascia più un respiro. Morire per superare la morte che mi sta uccidendo, il sordo suono di un mondo che non sente. Sapere come salvarsi, ma non averne il potere.
“Solo, perché tu sai quello che gli altri non conoscono, Ulisse”. Ti sentirai solo.
Solo oltre la solitudine, stendere la mano e non raggiungere nessuno; tutti presi nei loro giochi che non esistono. Ti chiedono quello che tu hai dovuto dimostrare a “Dio”. Ti chiedono di respirare, mentre non vedono che respiri; ti chiedono di guardare, mentre li guardi, ti chiedono di parlare, quando loro sono sordi.
Morire per non morire di vuoto. Morire prima che la meraviglia della gioia della vita che ancora senti nei tuoi lampi profondi svanisca per sempre. Nel mondo in cui vivi tu non ci sei, ti sfiora soltanto, e solo un’alchimia d’energia mi fa camminare, ma non lo afferro
Cercando di capire quel che avviene mi ritrovo attraverso gli spazi di un tempo. Le voci profonde mi destano all’improvviso come spirali di vita, come un perduto oltre l’immagine del mare; mi disperdo senza dimenticare, ma neanche più ricordare.
All’improvviso apparente i flussi della vita si perdono, non sperano più di esserci e in un perduto bisogno di morire si riversano le speranze, nell’attesa vana di non sapere come. È finito ogni dire, morire chiudendo gli occhi serenamente, senza palpiti improvvisi, solo scendendo attraverso il tempo che non ha più margini.
All’improvviso sentendo il peso di tutta la vita senza la vita che ne fa parte, chiedo di morire, perché non vi è più nessuno dove mi trovo, ma lampi improvvisi scuotono il mio cielo e l’illusione della speranza torna con una voce strana a parlarmi, una voce che tarda a compiersi e per questo mi illude.
La voce dell’aria è sorda al mio respiro, come trasparente non c’è nei miei polmoni e il peso della sua assenza è un urlo leggero e acuto che spinge i margini del mio respiro a mordere brandelli di vita, che non dicono tutto e per questo non hanno nulla.
La vita che vorrei mi prendesse, soltanto mi sfiora e mi abbandona
Eteronimo Joe 3
Mi sono innamorato alcune sere fa e non c’è niente di strano se ho voglia di vivere tutta la vita con lei. Forse si chiama… l’ho vista solo due volte, ma sento di aver comunicato con lei; però è pazzesco se è solo illusione. Ho bisogno di voci forti e chiare, ma forse si è già scordata di me, ma se lei mi incontrasse di nuovo e mi dicesse che mi ama le direi tutto ciò che sento. Vorrei tanto fare all’amore con lei. Mi ricordo che da bambino, in spiaggia incontrai una bambina che mi chiese se gli piacevo, me lo chiese annuendo con la testa, le risposi che mi piaceva e non aveva bisogno si suggerirmi la risposta, poi mi disse un’altra convenzione, io gli risposi che l’importante è amarsi. Il tempo è passato e la realtà non è più sopraggiunta. Da quel giorno sono accadute molte cose, ma forse sempre la stessa, il tempo forse ha smesso di continuare il suo tempo e la porta non è stata ancora chiusa, mentre sopraggiunge un altro giorno.
Venezia
Tornavo, tornavo, me ne andavo da ciò che mi aveva reso felice, sereno, me stesso; e mentre navigavo per gli ultimi istanti sul vaporetto che mi portava alla ferrovia, ho chiesto, pensato a Venezia chiedendogli che mi salutasse con un ultimo sguardo, con un’ultima emozione. Mi sono voltato e lei era lì, una donna bella dagli immensi occhi azzurri. Mi ha guardato tra la curiosità e la sorpresa, ed ho capito che il mio viso non mentiva, che era chiaro quello che voleva, che chiedeva; che l’impossibile potesse accadere ora che tutto il mondo, lì, in quel posto aveva dimenticato la sua morte.
Ho incontrato Venezia con i miei occhi leali e molto sorpresi tre giorni fa. L’ho scoperta vera e forte, soltanto inimmaginabile, introvabile se non dov’è. Ho scoperto dentro di me che esistevo guardando ciò che l’impossibile è capace di fare.
Venezia è unica e irripetibile, magnifico emblema della realtà, sogno sospeso sopra d’essa.
Sono qui! e appena uscito dalla stazione si apre alla mia vista lo spettacolo dell’incredibile, l’impossibile è lì davanti ai miei occhi che non sanno piangere per il meraviglioso stupore di ciò che osservano. Venezia mi accoglie tra mille voci, tra mille ricordi e futuri avvenimenti, non sanno cosa dirsi, ma esistono nell’impossibile coniugazione del tempo e dello spazio, nel ritrovarsi dove l’accadere è cosa nuova. Grida in me la voglia di reale.
Sono seduto davanti gli scalini della stazione e osservo i mille volti i mille colori delle nazioni che vi transitano. Guardo vicino “a me” e scrivo sul mio taccuino che osservo una ragazza che sta scrivendo fitte pagine di parole. Le sue parole non raggiungono il margine esterno della pagina, è una scrittura introversa, in se stessa, ha dei graziosi occhi e dei gesti precisi e delicati. Osservo con attenzione e delicatezza le persone sedute sulla scalinata, ne osservo i particolari, i frammenti dei loro gesti, per capire le emozioni che si trovano a vivere.
Sto aspettando… sulla gradinata della stazione, guardo delle persone e mi chiedo se siano veneziani.
Mi allontano da lì, in cerca di un genere alimentari dove comprare la mia busta di latte da mezzo litro, la bevo sempre per colazione.
Mi dirigo lungo la fondamenta scalzi, passo davanti alla chiesa dei carmelitani scalzi, alla mia sinistra, alla destra ho il ponte degli scalzi. Entro nella chiesa e vi rimango un po’, osservo due tele grandissime del Tiepolo, di carattere sacro. Rimango ancora un po’ in meditazione. Esco dalla chiesa con un senso di lieve stupore lo stesso che mi accompagna da quando sono a Venezia. Continuo per Rio Terra Lista di Spagna. Noto che ci sono delle pizzerie, ancora chiuse, le memorizzo, mi saranno utili nei giorni che rimarrò a Venezia. Trovo un genere alimentari aperto, compro una busta di latte, chiedo se per cortesia la possono aprire, sono gentili, la bevo.
— “Buongiorno, grazie!”
— “Buongiorno!”
Ripercorro Rio Lista Terra di Spagna, torno alla stazione.
Vivo il mio incontro con questa città istante per istante, questa città che mi mostra le cose per quello che sono, nella loro reale dimensione.
Attraversando calle e ponticelli giungo in “Corte dei Tiozzi”. Lì aspetto un po’ che torni la signora che ha le chiavi dell’appartamento che ho affittato, la proprietaria è romana.
Giunge, è una signora cordiale, gentile; mi accompagna all’appartamento: un piccolo sottotetto, con cucina e due stanze da letto e un piacevole balconcino. Dormirò in una casa di Venezia e questo nonostante tutto mi rende soddisfatto.
Viaggiare sui vaporetti è un’esperienza particolare, c’è sempre l’eventualità di incappare tra persone che conversano, incontrare donne, che giocoforza puoi guardare negli occhi a dieci centimetri di distanza. I vaporetti sono pieni e si è pigiati l’uno sugli altri. Dopo una fermata sento una persona che chiama il conducente, parla in inglese, dice di chiamare la polizia, di non far scendere la gente perché qualcuno le ha aperto la borsa e rubato il portafoglio. Le dicono di fare la denuncia una volta scesa, quello che chiede è inutile.
Viaggio attraverso il Canal Grande e sono preso dallo stupore, la meraviglia negli occhi nel vedere i palazzi e le abitazioni, l’architettura di Venezia mi emoziona, mi lascia sospeso e incantato. Venezia non sospetta nulla di ciò che non gli appartiene, è presente in ogni gesto movimento di chi l’attraversa, lo rende visibile all’invisibile. Una città che ti pone all’altezza di te stesso, essenziale come la sua arte. La notte a Venezia è l’energia di un mistero svelato.
…La mattina sul ponte, mentre andavo verso i giardini alla biennale arte, ho visto una donna che avevo conosciuto molti anni prima, un lontano amore, un ricordo ormai straniero, una storia raccontata nella campagna della maremma. Ci siamo quasi passati accanto, anche lei mi ha riconosciuto, ma non ci siamo incontrati, fermati a parlare. Chissà cosa l’aveva portata a Venezia su quel ponte, in quel momento. … La guardai per un po’ mentre si allontanava, poi proseguii verso i padiglioni della biennale. Avevo appuntamento davanti al padiglione tedesco, non conoscevo la persona che dovevo incontrare, non ero certo neanche di dover incontrare qualcuno. Mi era stato detto soltanto di trovarmi lì alle undici.
Lei, una donna mi viene incontro, mi saluta cordialmente. – “Ciao ti ho portato l’intervista di Mert, l’ho già trascritta, questo è il floppi.” Facciamo finta di conoscerci, le chiedo come sta e se le piace la biennale… poi mi bacia sulla guancia e mi dice che deve scappare ché le parte il treno. Poco distante da noi, un uomo che avevo già notato alla stazione, stava osservandoci. Mi allontano e torno a casa.
Inserisco il dischetto nel computer, lo apro, c’è scritta una frase: la partita a due nel quadro che c’è che non c’è.
In questa storia nessuno conosce né la persona né il codice precedente o futuro. La donna che mi ha consegnato il dischetto non sapeva niente di me, né della frase che conteneva, e anch’io non devo far altro che lasciare il dischetto, fra un giorno, sopra la cassetta della posta alla stazione.
Esco di casa ch’è notte. Sono alla fermata del vaporetto, una donna, giovane, in abito da sera è lì con me ad aspettare. Osservando il profilo del suo viso noto il disegno del suo orecchio: perfetto. Scende alla fermata del casinò e mentre la guardo allontanarsi so che non la rivedrò mai più, nella sensazione di questa sera. Proseguo verso piazza San Marco. Mi siedo al caffè Florian ordino da bere. Prendo il taccuino che ho in tasca e rileggo quella frase: la partita a due nel quadro che c’è che non c’è.
Cammino per piazza San Marco, il cielo è terso e pieno di stelle e mi viene in mente che a palazzo Grassi sono esposti dei quadri di Van Gogh - la partita a due nel quadro che c’è che non c’è. E penso al titolo di un suo quadro: Notte Stellata.
La mattina sono a palazzo Grassi, cerco i Van Gogh, Notte Stellata non c’è, ma davanti a un suo dipinto c’è una donna che ha sulla maglia disegnato proprio quel quadro, con sotto scritto: MOMA - New York. Cammina osservando attentamente le opere esposte, non molto lontane, delle persone commentano i quadri che lei sta guardando, ma sembrano più interessate a lei. Vedo entrare nella sala la persona che mi ha dato il floppi – dirigersi verso la donna, consegnarle un dischetto dicendo ch’è l’articolo della mostra, restano a parlare un po’, poi lei se ne va. La donna rimane ancora qualche minuto. Uscita da palazzo Grassi la seguo, aspettando il momento per avvicinarla: [devo avere il suo dischetto, voglio sapere che c’è dentro.] Le sono vicino tra la folla che pigia sul ponte di Rialto, e la fortuna mi viene in aiuto, la donna viene urtata, la sua borsa cade a terra e il contenuto si sparge sui gradini – vedo il dischetto – prendo dalla tasca il mio – e mentre lei ascolta le scuse di chi l’ha urtata raccolgo il suo dischetto e lo sostituisco con il mio e mi allontano rapidamente. Mentre torno a casa, cerco di capire se sono seguito, ma non me ne preoccupo troppo.
Accendo il computer, inserisco il dischetto, lo apro: la partita a due nel quadro che c’è che non c’è. La stessa frase.
Navigo per gli ultimi istanti sul vaporetto che mi porta alla ferrovia, penso a Venezia chiedendogli un ultimo sguardo, un’ultima emozione. Mi volto lei è lì, una donna bella dagli immensi occhi azzurri. Mi guarda tra la curiosità e la sorpresa, e capisco che il mio viso non mente, che è chiaro quello che vuole, che chiede; che l’impossibile accada ora che tutto il mondo, qui, in questo posto ha dimenticato la sua morte. Scendo dal vaporetto la donna mi precede, si volta, mi guarda. Mi fermo davanti la cassetta della posta, vi appoggio sopra il dischetto. Entro nella stazione, giro alla mia sinistra, il deposito bagagli è dall’altra parte. Torno indietro e vedo la donna appena incontrata, guardare e sorridere verso me. La situazione è ambigua. Si volta e va verso lo sportello del deposito bagagli, la raggiungo le sono vicino, la guardo mentre ritira la valigia, aspetto che faccia qualcosa, che mi faccia capire se c’è un perché che mi riguarda in quel ch’è appena accaduto, non accade nulla e se ne va. La seguo con lo sguardo, ma quando esco dal deposito bagagli non la vedo più.
Sono in treno, ripenso a lei, la ricordo, in un palazzo di Venezia, all’inaugurazione di una mostra.
…Avrei rivisto questa donna altre volte nella città in cui vivo, ma come quel giorno sempre per brevi momenti e non ho mai capito se volesse qualcosa da me.
Si chiama Laura e non è della mia città.
La Conversazione
…Hai confuso, soggiogato la mente di quasi tutti, eppure avevi detto che avevi bisogno del suo amore. Non sai rinunciare alla tua debolezza. Hai provato in tutti i modi a farmi perdere… ma non ti è riuscito di farmi impazzire. E ancora una volta non hai rinunciato alla tua debolezza. Hai confuso la mente i sensi, il ragionamento di non so quante persone, le hai ingannate e messe contro di me, contro se stesse, hai giocato con la loro vanità e con la loro paura di scoprire, accettare la verità. Ma a cosa ti ha portato questo, a niente, prima o poi si accorgeranno di essere state ingannate e mi auguro per loro che scoprano da chi e che sappiano rinunciare a te. Alcuni purtroppo sono persi per sempre…
La Partita di tennis
Prima di entrare lo aveva visto davanti all’ingresso dello stadio. Ora mentre sul campo da tennis palleggiava con la sua avversaria, guardava sulle tribune tra la folla, per vedere se ci fosse, dove fosse. Tra quelle quindicimila persone che affollavano le tribune riuscì a vederlo, era seduto a metà della tribuna laterale, con un berretto in testa per ripararsi dal sole. Lei ricordava che lui non amava portare occhiali e sapeva che anche quel cappello era qualcosa di cui non era mai andato matto.
Quando iniziò la partita lei serviva e mentre alzava il braccio per coordinarsi e colpire la palla di battuta guardò verso di lui, voleva sapere se la stava guardando, ma proprio in quel momento colpito da un riflesso del sole, lui era stato costretto a voltare lo sguardo – lei colpì la palla che finì sulla rete. Giocò la seconda sul campo e mentre rispondeva ai colpi della sua avversaria si chiedeva se lui la stesse guardando. Quelle quindicimila persone sedute sulle tribune si muovevano tutte allo stesso modo dietro quella palla che andava da una parte all’altra del campo, ma lei non si accorgeva di questo, l’unica cosa che pensava era se lui la stesse guardando. Ad un certo punto pensò – adesso struscio il piede sulla riga, così lui mi vedrà. Andò vicino alla riga di fondo e prima della battuta pulì con la scarpa la riga che aveva davanti, guardò nella sua direzione e questa volta vide che la stava guardando. Ha capito pensò lei, adesso ha capito. Ripeté quel gesto ogni volta che era sulla linea di fondo, poi incominciò ad andare vicino ad ogni riga del campo e vi strusciava sopra il piede. Quando tornava verso il fondo si spostava una volta a destra, una volta a sinistra o su la riga di centro e ci strusciava sopra il piede, pensando, adesso lui mi guarda. Dopo ogni punto vinto o perso c’era l’ovazione del pubblico, ma lei ormai pensava che quelle ovazioni erano per lei che strusciava il piede sulla riga e riusciva, farsi guardare da lui.
La partita era terminata, lei era sotto la doccia e all’improvviso sentì dentro di sé una profonda solitudine, tutto lo stupore, quella sensazione che aveva provato sul campo, quando sapeva che lui la guardava, ora si era trasformata in angoscia, pensò a quello che aveva fatto, ch’era stata vista da tutti, per un attimo fu terrorizzata al pensiero che tutti si fossero accorti di quel che lei aveva pensato, lasciò che l’acqua della doccia le scorresse sul corpo, che quella solitudine le penetrasse in profondità e ripensò a quel che era accaduto. Si disse che per un attimo aveva lasciato che le sue speranze trovassero spazio nella realtà attraverso un mondo fantastico, che le indicava la strada, una strada che doveva riuscire a vivere ora, che sotto la doccia ne avvertiva la vera realtà. Aveva solo pulito con la scarpa la riga del campo da tennis, qua e là e nessuno aveva visto niente altro che questo e men che meno lui aveva capito quello che pensava e che lei immaginava lui stesse pensando.
Quella sera lei le telefonò, ci parlò, cercò di capire se era con lui che voleva vivere il suo amore e gli chiese se lui la desiderasse.
La storia incrociata
C’è stato un momento in cui alcuni avvenimenti apparentemente non legati gli uni agli altri hanno profondamente segnato la storia del mondo. In un’epoca non molto lontana, prima della grande catastrofe, un gruppo di ballerini d’avanguardia creò la danza robotica, un modo per esprimere libertà nella propria ricerca artistica. Un fisiologo scoprì e incominciò le sue ricerche sui riflessi condizionati dei muscoli del corpo umano. Una cosiddetta setta incominciò a sviluppare un modo per vivere in perfetta armonia con la natura e incominciò a praticare una danza che si sincronizzasse con i movimenti della natura.
In seguito la danza robotica si trasformò nei movimenti sincronizzati delle parate militari. La scoperta di quel fisiologo fu usata dalla psicologia e nacque il comportamentismo con la sua dubbia scienza nella ricerca di scoprire e provocare i riflessi condizionati della psiche di un essere umano. Quel fisiologo prese le distanze da chi propugnava questa eventualità. Quella setta fu seguita, da chi sarebbe diventato l’artefice della propaganda del suo dittatore, con il quale si suicido insieme con tutta la sua famiglia alla fine della sua storia. Il fondatore di quella setta fu ucciso e la setta dispersa prima che tutto accadde.
Il mondo dopo questi avvenimenti cedette il suo tempo al culto dell’onnipotenza e le dittature dominarono e sconquassarono il mondo. Quell’uomo della propaganda e il suo dittatore applicarono i principi delle danze di quella setta. Fecero svolgere a tutto il popolo immense adunate collettive dove con comandi esaltanti, le folle eseguivano movimenti sincronizzati, questo per far sì che crescesse nell’individuo, il culto di appartenere a un popolo una razza al disopra della propria individualità. Quella gestualità ripetuta all’unisono in tutta una nazione, quei gesti che identificavano l’appartenenza corporale psichica, ripetuti ovunque stimolavano l’esaltazione collettiva, annullavano la possibilità che l’individuo sentisse il proprio destino al di fuori di un progetto superiore, che gli garantiva la fuga dall’angoscia di una morte individuale. Il dittatore assurgeva a nuovo dio, un dio che garantiva l’immortalità, lì ora, su quella terra. I sistemi d’educazione erano basati sull’esaltazione della propria identità di razza genetica a cui un nemico comune attraverso il suo stesso esistere inficiava la sua purezza, la sua possibilità di eternità; l’istigazione continuava con ogni mezzo di propaganda, fino alla spinta assassina, all’esaltazione dell’eliminazione fisica del male identificato. I risultati metodologici, applicati del comportamentismo così facevano la loro comparsa nella storia. Poi accaddero guerre e distruzioni, ma questa dicono sia un’altra storia.
Possessione.
C’è sempre una strategia, la più elementare semplice è quella di affermare una cosa per dargli un senso e subito dopo l’apparente comprensione, di colui soggetto alla strategia, si dice che la qual cosa ha un altro senso. In fondo le strategie del diavolo non sono molto diverse da quelle con coi l’uomo applica la menzogna, l’inganno, l’omicidio, ma l’uomo nella sua vanagloria pensa di essere l’artefice dei suoi malefici, in realtà ne è esso stesso vittima inconsapevole – Il diavolo sa perfettamente lo scopo della sua strategia, sa qual è in fine ultimo del suo agire, la sua dannazione è così perfetta da poter risultare affascinante per chi è ossessionato dal potere, la sua profonda forza sta nella sua totale adesione alla scelta del male come antitesi del bene, tanto da non poter più scegliere: il potere di non poter rinunciare al potere. Per il diavolo la rinuncia a questo potere equivale al disconoscimento della sua esistenza, alla possibilità di affermare la sua totale antitesi alla possibilità del bene, il suo sentirsi dio. Paradossalmente è soltanto per questo che nella sua strategia sembra esserci qualcosa che assomiglia all’umiltà, ma ch’è il nutrimento stesso della menzogna – per il diavolo non è importante che si sappia della sua esistenza, per il diavolo non è importante che l’uomo sappia chi è il suggeritore del male, per il diavolo è importante, anzi, che l’uomo non creda nel male, che l’uomo non pensi mai di fare del male, che i mali dell’uomo siano imputabili a Dio. Per il diavolo l’importante è che Dio sappia tutto ciò, è che Dio si senta provocato per questo, l’intendo ultimo del diavolo è che Dio rinunci alla possibilità di rinunciare al suo potere e usi il suo potere, forse, per far sì che l’uomo vinca il male, non con la scelta della rinuncia al potere del diavolo, ma obbligando l’uomo a scegliere il bene, che assoggetti l’uomo alla schiavitù, che perda la sua libertà, forse è così che il diavolo spera che Dio diventi come lui e aderisca all’antitesi del bene, annientando per sempre il bene e diventare l’unico dio. L’uomo porta dentro di sé tutto questo ed è l’embrione dell’intera esistenza, è partecipe in pieno di una partita, che per quanto il più delle volte sembri combattuta da moltitudini di genti in realtà è sempre una partita a due, una partita che si svolge all’interno del suo animo tra il bene e il male.
Tra le strategie del potere del diavolo c’è quello stratagemma della possessione che si manifesta attraverso fenomeni che rientrano nella specificità di un individuo. Per quanto siano labili i confini per una chiara identificazione di questo fenomeno, non bisogna neanche aspettarsi cose tanto incredibili, per affermare il suo manifestarsi. Il diavolo adopera le cose che trova e che sono conosciute da chi le adopera, si serve di quel che uno sa e crede di sapere. Adopera le stesse cose della natura che usa Dio, ma la differenza è proprio la sua antitesi al bene, il suo fine è diametralmente opposto a quello di Dio, il suo senso ultimo è riuscire ad utilizzare queste cose con l’inganno per far sì che possano acquistare un significato diverso da quello reale, per far sì che le convinzioni del bene si assoggettino al significato del male, che generino odio per ciò ch’è creato da Dio. Una delle ultime istanze del diavolo, quando non riesce con l’adulazione del potere a conquistare la coscienza dell’uomo è quella di fare in modo che l’uomo lo odii, che nasca nell’uomo un odio profondo per lui, ma l’odio è l’alimento del suo male, e proprio con l’odio può tornare a dare il suo senso alle cose dell’uomo. Forse negli inscrutabili confini di Dio c’è l’atto d’amore più estremo per far sì che l’antitesi al bene ritrovi se stesso.
La pazza e i suoi discepoli
La storia che vi narrerò appartiene a quei casi in cui la stupidità, l’estrema vanità e la stupidità più stupida di qualsiasi idiozia umana rendono coloro che la praticano più ciechi della loro follia.
Dopo che iniziò tutto e che finì come finì, lei iniziò a praticare, attraverso chi era possibile corrompere con il denaro, o in altro modo, la vendetta più bieca e meschina, quella che caratterizza le persone prive di talento se non quello dei capricci dell’invidia. Dapprima pagando poche persone per rendergli la vita impossibile, del tipo che se lui doveva comprare un oggetto, lei faceva andare qualcuno al negozio a comprare quell’articolo e lui era costretto ad aspettare che lo riordinassero o comprarne un altro. Se lui doveva andare a fare una passeggiata, lei faceva in modo che non potesse parcheggiare la macchina dove era più comodo, e tante altre cose di questo tipo. Quando lei si rese conto che tutto questo non bastava per quello che lei sola immaginava. Incominciò a vantarsi che usando questi sistemi poteva far fare a lui tutto quello che lei voleva, in realtà era lei che viveva in funzione di tutto quello che lui faceva e che lui faceva senza pensare affatto a lei. Allora lei ogni volta che lui conosceva una ragazza faceva in modo che non potesse frequentarla, riusciva a fare impazzire queste donne troppo deboli per poter capire. Quelle cose assurde che lei faceva per costringere lui, incominciava a farle anche a queste ragazze che per uno strano gioco associativo che si formava nella loro mente inconsapevole, incominciavano a pensare che la causa dei loro problemi fosse lui. Allora lei svelava a costoro il suo trucco, ma non l’inganno del trucco e costoro finivano per non vedere più il là di quel che loro credevano di saper fare contro di lui. La cosa strana era che nessuno andava da lui a dirgli quel che stava accadendo, lui conosceva l’inganno e il trucco e lo avrebbe detto a chiunque sarebbe stato leale. Ma tutti quelli vittima dell’inganno, come in un incantesimo non accettavano di scoprire che qualcuno, chiunque, sapesse come accadevano queste cose, antiche come la nascita del mondo. Ognuno voleva essere il più bravo e con questa vanità finivano nell’inganno, senza accorgersi che tutto quello che loro credevano essere un loro artificio, accadeva naturalmente in ogni momento della vita, e che ogni sua riduzione non era che un insulto alla bellezza della verità. Non si sapeva chi avesse fatto impazzire chi. Allora lei incominciò a dire in giro che lui sapeva quello che sapeva lei. Che lo faceva apposta a far finta di non sapere. Che era stato lui a diffondere quello che lei sapeva, prima di tutti, per ingannare tutti. Ma lei in realtà non sapeva quante cose sapesse lui. E lui incominciò ad avere intorno un mare di gente sconosciuta che si comportava in modo volgare, al solo scopo d’infastidirlo e aumentare la calunnia. Tutti quelli che erano impazziti a causa di lei, ma soprattutto per aver creduto alla propria vanità volevano in tutti i modi dimostrare che non era vero quello che avevano pensato e fatto, ma che era stato lui a pensare quelle cose. Naturalmente lui non sapeva cosa loro avessero pensato e quello che aveva immaginato vedendo quei sconosciuti nei loro strani comportamenti lo aveva tenuto per sé. Ma lei nella sua confusione aveva detto a ognuno di tutti e tutti avevano finito per dire tutto di tutti e l’unico che non aveva detto niente di nessuno e il più calunniato era stato lui. Lui pensò se cercano una colpa che la colpa ricada sui colpevoli. In questa storia che ha avuto mille altri modi assurdi di esistere, e ha coinvolto proprio tutti, è mancata inesorabilmente la libertà di amare.
Questa è la storia che vi vado a narrare, antica come la legenda di Merlino e Artù e della non più ritrovata Excalibur.
Lo sciamano e la spiritualità contemporanea
Aspettavo quel respiro così profondo e riflessivo, sentivo che il mondo dei respiri era legato a tutto quello che la mia memoria non poteva ricordare. Lo spazio della mia mente si apriva all’intero spazio del tempo, ma la mia comprensione era contenuta in me stesso e la linea dei miei sogni ne tracciava la terra nella voce del mio canto e il mio udito sentiva la voce del mio spirito.
Il brano che abbiamo appena letto è di un autore anonimo aborigeno e risale a qualche millennio fa. Lo spirituale che vi è in esso è parte integrate della cultura aborigena, la sua comprensione, innata e tramandata da sempre tra gli aborigeni è parte integrante dello Sciamano.
Per lo Sciamano la percezione spirituale è imprescindibile dalle possibilità taumaturgiche che riesce a creare con la persona che cura, la sua percezione di un mondo invisibile, con la sua tangibile presenza nella vita quotidiana permea profondamente le relazioni della comunità, che trova nelle sue cure la possibilità di guarire dai mali spirituali della malattia fisica e vede in questo la possibilità per una totale guarigione. La relazione che avviene tra lo Sciamano e la persona che ricorre alle sue cure - è una dimensione - che mette lo Sciamano nella parte profonda delle sue personali percezioni spirituali, in comunione con il mondo spirituale individuale del malato, e con tutto il mondo spirituale visibile e invisibile.
Nel mondo contemporaneo una dimensione spirituale così profonda è andata in gran parte persa, non è difficile affermare che la contemporaneità così evoluta nell’uso della tecnologia degli oggetti, sia da considerare incivile e profondamente involuta per quello che riguarda le profonde relazioni con il mondo dell’umanità. La pratica di una spiritualità autentica e profonda e coinvolgente della varietà della vita, forse è riscontrabile solo nel succo di alcuni ordini all’interno delle religioni, o in alcuni individui solitari che hanno saputo far sì che la ricerca della libertà non si spegnesse nei parametri di una società, che senza spiritualità, ha trasformato Dio in un oggetto.
Per quanto riguarda la pratica medica, forse l’unico pensiero che ha cercato di tener vivo lo sciamanesimo con la sua spiritualità è stato quello di Jung, ché in parte ha avuto la capacità esplicita di superare il riduzionismo scientifico, come espressione estrapolante di una parte dal tutto, per ridare armonia alla cura e comprensione della psiche umana ch’è parte integrante del tutto; nel suo invito c’è la considerazione a superare lo sciamanesimo con una maturazione spirituale ulteriore, giacché con esso la società contemporanea ch’è in una dimensione di debolezza spirituale, finisce per trovarsi intrappolata nelle percezioni suggestive della sua cultura, è ciò che lui nella pratica psicoanalitica ha definito fase mana. Va dato merito a Jung che nel suo sforzo di comunicare e rendere utile la sua esperienza, forse inconsapevolmente, ha chiuso il momento storico in cui le scienze della psiche sono servite più come strumento strutturante per il medico, rappresentante di un ruolo sociale, che per il paziente.
Aforisma
Lo psc… è colui che pretende di capirti e per questo vuole essere pagato.
L’involuzione della specie
?]…Quando si perdono le matrici della memoria diventa difficile comprendere l’esperienza – alcuni giorni fa leggevo su una rivista scientifica ch’è diventata ormai pratica comune - non solo tra gli addetti ai lavori - considerare la reazione ad un riflesso condizionato, comune tra due persone, come espressione di potere sciamanico, ma la cosa ancora più incredibile è che un gran numero d’individui, non fanno altro, attraverso gesti o movimenti di indurre altri a dei riflessi condizionati, per sentirsi non si sa bene che cosa, forse degli sciamani. Chissà forse un giorno torneranno a comunicare solo con i gesti, come le scimmie antropomorfe, o approfondendo il loro studio diventeranno dei grandi imitatori per gli spettacoli di varietà, chissà se hanno osservato che naturalmente mentre loro camminano ci sono altre persone che camminano come loro e che sicuramente in un’altra parte del mondo molto lontana da loro altre persone stanno facendo la stessa identica cosa, e che tutto questo come molte altre cose è del tutto naturale, senza bisogno di coercizioni e stupri scientifici per ridurre e riprodurre ciò che già avviene in natura…[?
Rimandi Hasserliani
Digitava sulla tastiera le prime parole che gli venivano in mente, era un uomo che aveva letto molti libri e quello che stava scrivendo, mentre guardava le lettere che si formavano davanti i suoi occhi sullo schermo del computer, gli ricordava il suo primo libro, la frase con cui aveva iniziato a parlare leggendo quel libro, forse, era simile al suono composto delle voci che ascoltava quando ancora era dentro il ventre materno. La madre era una musicista e il suo autore preferito era Mozart.
Mi raccontava che quando ero dentro di lei e sentiva che la scalciavo, metteva su, un disco di Mozart, si sedeva sulla veranda e guardava in alto verso il cielo azzurro e mi parlava della Germania, dei suoi ricordi di bambina, di sua madre e della madre di sua madre, la mia bisnonna. La nonna di mia madre aveva sposato mia nonno che era venuto in Germania dalla Russia, nell’anno in cui Rossini aveva composto Il barbiere di Siviglia. L’aveva sposata dopo appena un mese che la conosceva e per tutto il tempo che avevano vissuto senza sapere niente l’uno dell’altra, entrambi avevano amato la musica di Bach sopra ogni altra cosa. Il giorno stesso delle nozze partirono per un lungo viaggio in Italia e in una albergo di Roma fui concepito io. Dopo nove mesi mia madre e mio padre arano ancora a Roma, l’Italia li aveva conquistati ed è per questo che io oggi vi scrivo da una casa romana, in Trastevere, ascoltando le Nozze di Figaro di Mozart…
Se volete scrivere un Best Sellers la tecnica dei rimandi Hasserliani è la più efficace, ogni possibile associazione, dalla più vicina alla più lontana vi dà la possibilità di generare ogni genere letterario, ciò semplicemente rendendo più o meno astratti i rimandi, avvicinando più o meno il senso di una parola ad un’altra, più allontanate tale associazione più il ritmo e l’espressione genereranno nel lettore il suo tempo riflessivo, il senso di compenetrazione nelle storie raccontate nel libro. Le possibilità di una letteratura legata all’uso dei rimandi Hasserliani sono illimitate, le possibilità d’invenzione si accrescono e amplificano enormemente e se si possiedono le capacità peculiari per dominare la struttura e in esse, naturalmente le ulteriori conoscenze umane, si può anche fare a meno di pensare ad un best sellers e preoccuparsi di più di scrivere un capolavoro. Dato che con i rimandi da ogni parola possiamo giungere all’elaborazione di tutti i concetti possibili, la poesia moderna in essi ha la sua inevitabile capacità di realtà, amplificando e in certo qual modo superando i vecchi stilemi poetici; giacché la poesia in ogni periodo di crisi della sua identità, rimette gli abiti del passato, con tutto quello che questo significa per la sua libera modernità e per la dignità stessa della modernità del suo passato.
Sarebbe bene non andare oltre ponendo riduzioni non equilibrate al senso di un’autentica e costruttiva libertà ai rimandi Hsserlinai, o peggio applicando tramite essi sistemi coercitivi. C’è una riduzione di essi nel sistema associativo di Freud, per fortuna c’è una possibilità amplificativa costruttiva in Jung. E non dimenticherei quello che può essere fatto con essi per la persuasione, con mezzi come la pubblicità. Ci possono essere anche patologie o meccanismi d’illusione, in tal proposito ho letto da qualche parte, non ricordo bene dove, molto probabilmente una rivista scientifica, un esempio che faceva pressappoco così:
Se A deve andare da C vedendo nel tragitto B – quando A dirà a C che ha visto B e quando B dirà a A o a C che a visto A e C o C e A, per una pazza idea legata al subliminale chi sarà indotto ad andare tra A, B e C a trovare l’un l’altro, quando in conclusione A, B e C si conoscono o vedono o… l’un l’altro. Lascio a voi la scoperta della soluzione e l’elaborazione infinità di quel che vi ho appena detto.
Jung, brevi accenni
Parlare di Jung non è stato mai molto semplice, perché le sue argomentazioni si aprono a mille ipotetiche interpretazioni. Purtroppo l’ossessione della scienza classica, con la logica di un riproducibile stereotipato, porta la pratica Junghiana lontana dai sui propositi conoscitivi. Non è un caso assistere a sue interpretazioni e spesso, da chi ha avuto una formazione nella scuola di massa, del tutto forvianti e riduttive. Nelle possibilità della pratica Junghiana c’è l’innegabile libertà di accettare come unica ogni eventuale storia tra l’analista e il paziente, come una sorta di esperienza che porta ad un paritetico accrescimento. In Jung il superamento della logica scientifica intesa come parte invariante riproducibile nel tutto, si apre alle possibilità esplicative dell’esperienza peculiare e unica del tempo e dello spazio unico di ogni individuo, che si ritrova attraversato dalla storia dell’intera umanità con tutto il suo percorso esplicativo, con tutte le fasi che lo hanno formato e che l’individuo formerà in seguito. L’individuazione di se stessi nello spazio e nel tempo pone l’esigenza nell’individuo di attraversare la logica per rimetterla in ordine con il globale sviluppo della natura, intesa non solo come tutto lo spazio materiale, ma bensì amplificata e completata da tutto lo spazio spirituale, la storia non è più parte inespressa di un tempo frammentato e privo di reali collegamenti, ma acquista le possibilità di un’esperienza che ritrova tutto il suo percorso, le reali possibilità del presente dell’individuo. La percezione di ciò porta l’inevitabile conseguenza di porsi in confronto con fenomeni che pongono la conoscenza umana al limite delle possibilità esplicative, acquisite attraverso un razionalismo scientifico, che ha fatto della comprensione di se stesso, la spiegazione ultima, privando l’uomo dell’esperienza di un mondo che lo travalica, un mondo ch’è parte integrante del suo spazio pragmatico, quel mondo che fa sì che nell’uomo viva quella dimensione profondamente spirituale, in cui riesce ad espletare tutto il suo potenziale percettivo - la possibilità di capire, di essere parte integrante di un mondo, che comprende anche la possibilità di conoscere ciò che non è possibile sapere - di avere la capacità di accettare la propria più innata natura spirituale, quella contenente il termine ultimo “alla conoscenza e che nel silenzio ne contiene le possibili forvianti spiegazioni. In questa sorta di innata saggezza l’essere umano, nella conoscenza che ne deriva, trova la forza di porsi dinanzi al limite della conoscenza: Io so di non Sapere, con l’accettazione spirituale e contenitiva, in armonica pragmatica - esperienza con il “silenzio” delle risposte.
e-mail trovata sul Newsgroup it.scienza.psicologia
Caro Jung 1997
"Quando si riesce a sentire il Sé come un irrazionale,
come un ente indefinibile, al quale L'IO non è né contrapposto né sottoposto ma
pertinente, e intorno al quale esso ruota come la Terra intorno al Sole, allora
lo scopo dell'individuazione è raggiunto. Quando si riesce a
"sentire", dico, perché così definisco il carattere percettivo tra
L'IO e il Sé. In questa relazione non c'è nulla di conoscibile, perché noi non
possiamo dir nulla circa i contenuti del Sé. L'IO è l'unico contenuto del Sé
che conosciamo. L'IO individuato si sente oggetto di un soggetto ignoto e
superiore. A me pare che la constatazione psicologica giunga qui al suo termine
estremo, perché l'idea di un Sé è già essa un postulato
trascendentale, che si può giustificare psicologicamente, ma non dimostrare
scientificamente. Il superamento della scienza è un'esigenza imprescindibile
dell'evoluzione psicologica qui descritta, perché senza questo postulato io
non saprei formulare adeguatamente i processi psichici rilevati empiricamente.
Al Sé, dunque, bisogna dare almeno il valore di un'ipotesi, come quella della
struttura dell'atomo. E quand'anche dovessimo restare anche qui chiusi in
un'immagine, sarebbe un'immagine potentemente viva, a interpretare la quale le
mie forze non bastano. Io non dubito che sia un'immagine; ma è un'immagine in
cui siamo ancora contenuti." Sono perfettamente conscio che in questo
libro ho posto esigenze tutt'altro che consuete all'intelligenza del mio lettore.
Ho fatto il possibile per spianare la via della comprensione, ma non ho potuto
eliminare la maggiore
difficoltà, cioè il fatto che le esperienze su cui si fonda la mia esposizione
sono ai più ignote e perciò estranee. Per conseguenza non posso attendere che i
miei lettori accettino tutte le mie conclusioni.
(da L'IO e L'Inconscio di Carl Gustav Jung)
Nella crisi di identità in cui sono la maggior parte degli "addetti alla
mente", dovrebbe bastare la reale comprensione di questo brano di Jung per
riportare ognuno di loro nella reale dimensione; ma appunto la sua non reale
comprensione fa si che ognuno interpreti se stesso e purtroppo Jung a suo
piacimento. Confondendo le crisi d'identità di una categoria, con il
"ruolo" di addetto alla mente che si è scelto per professione,
strutturandolo a tal punto, per pratica economica, e in alcuni casi, spero
rari, per giustificare le proprie patologie terapeutiche. Tutto ciò
contribuisce a sviluppare la pratica dell'uso della "pasticca" salva
tutto. In questo modo non si fa che indebolire quella che è la reale
"integrazione" dei processi psichici, attraverso la vera comprensione
dell'esperienza sintomatologica. Ma mi chiedo se comparisse uno Junghiano ci
sarebbe veramente qualcuno in grado di riconoscerlo? Forse solo quella persona
- che ancora nella pratica degli addetti alla mente viene definita paziente -
che troverebbe in quest'essere umano la vera condivisione di un vissuto
psichico elaborato. Penso che sia ora di superare il concetto di ruolo negli
adatti alla mente, il concetto stesso della retribuzione economica come scambio
compensativo tra due esseri umani che scelgono di parlare insieme.
Qualche giorno fa ho ritrovato tra le mie cose un inserto che il quotidiano La
Repubblica pubblicava alcuni anni fa: si chiamava "Mercurio"; c'era
un articolo intitolato: "Jung, l'altro Freud"; in un brano
dell'articolo ho letto: Il principale dissacratore delle tesi più ardite di
Jung è Mario
Trevi, specialista tra i più autorevoli, direttore della prestigiosa rivista
"Metaxù". "Un certo neojunghismo italiano prescinde totalmente
dalla teoria degli archetipi, giudicandola infondata", spiega Trevi.
"Non è scientificamente accettabile che l'uomo, animale scacciato dalla
natura e privato dei suoi istinti, possa essere governato dagli archetipi, da
queste immagini originarie dell'inconscio espresse principalmente nei miti e
nelle
fiabe... Il processo d'individuazione è invece ciò che è davvero vivo in Jung.
Implica il rifiuto a lasciarsi assorbire nelle forme collettive della
cultura". Non so se quello che riporta l'articolo sia il reale pensiero di
Trevi, sicuramente in base a quello che vi viene espresso non vi è un vero
vissuto psichico dell'esperienza dell'archetipo e del suo sviluppo empirico. Se
è giusto, in parte, quello che vi si esprime riguardo al processo
d'individuazione, tale processo diventa vano, proprio perché non tiene conto
che nel reale sviluppo per l'acquisizione e integrazione del
materiale psichico per il processo d'individuazione junghiano, l'esperienza psichica
dell'archetipo è ineludibile. L'INDIVIDUAZIONE si compie proprio
perché è fatta da momenti d'integrazione del materiale psichico che fanno si
diventi PROCESSO D'INDIVIDUAZIONE. Naturalmente non contesto la tesi
concettuale di dissentire sugli archetipi, ma l'abuso d'interpretazione che
viene fatto dell'esperienza, ribadisco esperienza di Jung.
Cercando di essere semplice e forse purtroppo semplicistico, cercherò di fare
un piccolo esempio esplicativo. Immaginate che in questo momento io
stia guardando fuori dalla finestra, mi accorgo che è iniziato a piovere, la
mia bicicletta è fuori e si sta bagnando, ma io sono seduto, qui, davanti al
computer e non la vedo, ma la posso immaginare; questa immagine
può spingermi ad andare fuori e metterla in garage o restare qui e lasciare che
si bagni. L'immagine della bicicletta che si bagna ha generato in me
dell'energia psichica, che si sviluppa in un'azione empirica
"consapevole".
Ora saltando vari passaggi, pensiamo al formarsi di un'immagine tanto profonda
dentro noi da non saperne distinguere con chiarezza la forma, ma di cui
avvertiamo forte l'energia; quest'energia inevitabilmente genera in
noi un'esperienza psichica, che si trasforma in un'azione empirica per la
comprensione nostra e di questa immagine. In questo processo dell'energia
archetipo c'è la matrice originale di ogni azione. In realtà penso che tutto
ciò che Jung ha scritto sia stato in parte il tentativo di condividere la sua
esperienza con gli altri, anche per superare il problema dell'incondivisibilità
che nasce dal vivere tale esperienza; ma l'unica possibilità che ha avuto è
stata quella di comunicare attraverso i "segni"; è come se lui avesse
scoperto e avuto esperienza dell'automobile della nostra era, in un'epoca in
cui non esisteva neanche la carrozza. Ora con un po' di fantasia immaginiamo
che l'automobile sia il simbolo e che i segni, le parole usate da Jung per
spiegare ai suoi contemporanei, non solo come è
fatta un'automobile, (il simbolo), ma soprattutto qual è l'esperienza di guidare
un'automobile. Se Jung avesse usato i simboli: automobile o motore a scoppio,
essi sarebbero stati incomprensibili, perciò Jung avrebbe detto
con i segni, che esiste una cosa che funziona come un cavallo e fatta di ferro.
Dico questo perché penso che la letteratura di Jung sia un modo per mediare la
sua esperienza e comunicarla ad altri livelli di conoscenza.
(chissà se voler spiegare non sia stato un errore) Però è evidente che chi ha
esperienza del cavallo può solo avvicinarsi concettualmente al guidare
un'automobile, ma non ne fa esperienza se non quando è in grado di guidarla.
Perciò dico che non può essere determinante il fatto di non
conoscere, per dimostrare paradossalmente che qualcosa non esiste; questo è un
atteggiamento che allontana da ogni possibile vero percorso verso la percezione
del Sé, e che purtroppo indirizza verso una pura illusione di
quel che significa percepire il Sé. Nell'augurare buona vita a tutti vi saluto
con simpatia.
Patrizio Marozzi
Un caso moderno di analfabetismo – un fatto di pura letteratura.
[Vorrei dire due parole alla presentazione di quest’opera letteraria, qui nel sito, ma che non saranno nell’edizione del libro. Chi ha letto un altro mio libro: “I racconti tra realtà e leggenda di mister x”, avrà letto quell’ipotesi d’intervista a me, e in aggiunta a quella vorrei semplicemente dire alcune parole di spiegazione. Dal libro il Faust, prima parte dell’opera letteratura sperimentale, è scaturita una lettera che lo riguarda questa lettera è a firma di Mario Trevi, indirizzata a un Suo collega che mi fece da tramite. In sostanza diciamo ce ne fosse bisogno, che ringrazio per la lettura il Dott. Mario Trevi, poi aggiungo per la spiegazione, da quel che si evince dalla sua lettera, che l’ipotesi da lui formulata sul mio caso personale, quale potessi essere autistico è del tutto fuori dalla realtà. Non so per quale strana spiegazione tra lui e il suo collega, il signor Mario Trevi abbia visto nella capacità di scrittura del libro tale ipotesi, che in fondo è nell’arte stessa dello scrivere. Per il resto quella che forse potessi essere un autentico creatore, questa indubbiamente mi si confà meglio. Sia per essenza che per un’aspirazione creativa. Credo che vada detto che il concetto che le mie espressioni potessero superare le capacità di analisi del Signor Trevi, come da lui detto, su ciò non mi pronuncio, anche se credo che nella lettera da lui scritta certe analisi sul testo, non sono pareri privi di competenza personale. Forse la sua attenzione nella lettura l’ha posto in una condizione tutt’altro che approssimativa, e anche la scorrevolezza della rappresentazione scritta è diventata più impegnativa, cosa che può essere diversa per un lettore che aspira principalmente all’aspetto letterario del libro tutt’altro che superficiale. Intervento fuori testo.]
Se pur l’esperienza divulgativa di alcuni psicanalisti ha generato della letteratura, solo in alcuni casi, rari, possiamo parlare di arte, rischiando la loro irritazione o l’esaltazione della loro vanità. Non affermo niente di nuovo dicendo che se l’arte può fare della psicanalisi materia ispiratrice per la propria espressione, trasformando i concetti della psicanalisi in concetti vivi e qualitativamente validi artisticamente – non è lo stesso nel processo inverso. La psicanalisi, ma anche le altre discipline che si occupano dello studio e soluzione dei problemi della psiche, alla fin fine dei loro ragionamenti, riducono l’opera d’arte ad una elaborazione sintomatologica. La più alta aspirazione di queste discipline è quella di trasformare l’opera d’arte nella riduzione delle loro teorie e la ricchezza della vita unica, peculiare dell’artista in una ben strutturata e riconosciuta nei ruoli stereotipati della società di massa, adeguarsi è rinunciare all’aspetto più importante per un creatore, quello di esprimersi e confrontarsi con la realtà della propria creatività. Cito per tutti i casi di Van Gogh, Artaud e quello di Janet Frame, dove una malattia ben più vasta come quella sociale, ha trovato un aiuto nella psichiatria per inibire le facoltà del talento artistico.
Il fatto di cui sono venuto a conoscenza, nella specificità e nella dimensione propria delle persone coinvolte, che come personaggi della storia di un libro racconterò, qui, brevemente, non è niente altro che una storia moderna di analfabetismo e dell’incomprensione che lo ha generato.
La storia potrebbe iniziare dal racconto fattomi da Patrizio Marozzi che a un certo punto della sua vita ha scelto di essere un paziente e di “assistere ad alcune sedute di psicoterapia. Del suo terapeuta rintanato nel suo studio come se fosse una strana fortezza, che gli garantisse la certezza del suo ruolo e delle bizzarrie che da ciò sono derivate.
Ma iniziamo dal fatto che Patrizio Marozzi ha deciso di scrivere un libro, che ha impiegato circa dieci anni per terminarlo e della breve storia dell’incontro di questo libro, con alcuni terapeuti.
Chiediamo a Patrizio Marozzi perché ha scritto questo libro e qual è stata l’idea di partenza.
- “Ma essenzialmente per fare dell’arte. L’idea di partenza è stata quella di amplificare il concetto che veniva dall’abbozzo della storia iniziale, ma il percorso per realizzarlo è stato lungo.”
Quando ha iniziato a prendere forma la struttura del romanzo?
- “Ma… diciamo che l’intenzione è sempre stata quella di trovare una forma che appartenesse a me stesso e al romanzo in se, voglio dire che era il mio processo creativo che doveva determinare la struttura del romanzo, insieme al senso di quello che scrivevo. L’intendo di una forma letteraria autonoma da qualsiasi canone, era il modo più naturale ed efficace per porre il mio processo creativo in relazione con il progetto artistico che prendeva forma e consistenza.”
Quali sono gli argomenti trattati e cos’è che li ha inspirati?
- “Gli argomenti sono molteplici, diciamo che forse una delle matrici più forti è quella del processo d’identità e delle possibilità espressive dell’arte, attraverso un dialogo estremo tra l’espressione segnica e la dimensione simbolica. I motivi d’ispirazione di un libro sono molteplici, diciamo che in questo un aspetto significativo è stato la mia esigenza di ricerca psicanalitica e in essa un mio vissuto psichico che ho elaborato artisticamente.”
Un giorno lo psicoterapeuta espresse il desiderio a Patrizio Marozzi di leggere il suo libro, trascorso il tempo… alla richiesta di Patrizio Marozzi di cosa ne pensasse, la risposta del terapeuta fu che era un libro che poteva leggere o Dio o la Madonna.
Per quanto Patrizio Marozzi sapesse che era un’opera per un lettore che sfuggisse ai richiami degli stereotipi e che per certi versi richiedesse un’attenzione particolare – non aveva mai immaginato che fosse così al di sopra delle possibilità umane. Mostrò al terapeuta alcune chiavi di lettura, presenti nell’espressione segnica del testo e gli chiese se vi aveva fatto caso. Non le aveva notate, Patrizio Marozzi capì che il terapeuta non riusciva a decodificare quelle forme letterarie che erano chiave di lettura del libro, strutturate al di fuori dei canoni segnici grammaticali tradizionali, e per questo commise l’errore di pensare che la sua opera avesse bisogno di un’introduzione, prefazione particolare. La sua prefazione parlava semplicemente di un’opera che attraversava trasversalmente le varie espressione del linguaggio scritto, dal saggio, alla poesie alla narrativa, generando una sua propria forma espressiva.
Un giorno Patrizio Marozzi lesse sul quotidiano l’Unità un’intervista allo psicanalista Mario Trevi, che parlava dell’arte e della psicanalisi e pensò che forse sarebbe stata la persona adatta per la prefazione del suo libro. Disse al terapeuta che voleva telefonare o scrivere a Mario Trevi per chiedergli una prefazione, gli chiese se sapeva il suo recapito. Venne fuori che Trevi era stato il maestro del suo maestro e per questo legame finirono per decidere che sarebbe stato il terapeuta a contattare per Patrizio Marozzi Mario Trevi. Passarono dei giorni e alla fine il terapeuta riuscì a parlare con Mario Trevi e tra i suoi mille patemi riuscì a chiedergli se poteva leggere il manoscritto che gli avrebbe mandato Patrizio Marozzi. Il manoscritto fu spedito e insieme ad esso una lettera in cui il terapeuta chiedeva a Mario Trevi un parere letterario su di esso.
Dopo del tempo il dott. Trevi rispose al terapeuta.
- Roma 5. 12. 95
Gentilissimo Dottore,
scusi se rispondo con tanto ritardo alla sua lettera. Mi è stata proprio ora restituita dalla polizia municipale una borsa rubatami dall’auto, contenete quasi esclusivamente corrispondenza e manoscritti, in cui avevo messo, appena ricevute la sua lettera e quella del suo paziente. Avevo bensì l’indirizzo di quest’ultimo sul frontespizio del suo lavoro ma non volevo scrivere a lui prima di aver scritto a lei.
È molto difficile rispondere adeguatamente alla questione che lei mi pone. Io posso esprimere un giudizio “psicologico” sul manoscritto di Patrizio Marozzi _ e anche questo con estrema prudenza _ ma mai, in alcun caso, un giudizio di valore letterario _ Posso dirle tuttavia che ho avuto l’impressione che l’opera del suo paziente manchi in gran parte della dimensione della comunicazione con un pubblico sia pur potenziale. Non è destituita di valore, tutt’altro, ma è come chiusa nel cerchio di una soggettività che non riesce a stabilire un rapporto con l’altro, con gli altri. D’altra parte molti lavori letterari del nostro tempo sono nati e cresciuti in questa condizione di solitudine (o forse di autismo). Penso, ad esempio, a Campana, prescindendo da ogni confronto, si intende.
Posso anche dirle il suggerimento prudente che fornisco ai miei pazienti con attitudini (o semplicemente velleità) di carattere letterario: distinguere e separare il materiale grezzo e caotico (per lo più vasto) da ciò che può emergere in seguito da esso ed avere valore di autentica comunicazione. Faccio spesso l’esempio dell’immenso Zibaldone rispetto alle pochissime e brevissime opere di Leopardi giunte a compimento_ C’è sempre, nell’opera letteraria valida, un lavoro di selezione, decantazione, raffinamento che appunto trasforma un [non sono riuscito a tradurre due parole] caotico in forma probabile, accessibile e soprattutto, comunicabile.
Io incoraggio, certamente, la creatività nei pazienti che ne sono capaci ma cerco sempre di trattenerla nella circolazione delle comuni attività psichiche. Scrivere poesie è certamente giusto e probabilmente proficuo ma _ prima di tutto_ al servizio di un’intuizione e di una chiarificazione severamente interiori_ L’altro è presente nello scrivere, certamente, ma si tratta di un “altro” potenziale, non reale. Per giungere a questo altro occorre sottoporsi a una disciplina cui solo pochi possono attingere. In ogni caso lascio che sia il paziente ha scontrarsi con il problema della comunicazione vera e efficace.
Comprendo tuttavia che il caso di Patrizio Marozzi sia del tutto particolare e in un certo senso inconfrontabile. È possibile che noi ci troviamo di fronte ad un autentico creatore, tanto più oggi, nel nostro tempo, in cui una certa incondizionata spontaneità e fors’anche caoticità possono venir considerate segni distintivi autentici dell’opera d’arte. Ma non posso entrare in questo problema, a causa della povertà dei miei mezzi critici e discriminativi. La lunga lettera che Marozzi ha voluto inviarmi ha senz’altro i caratteri dell’intelligenza ma non sempre quelli dell’intelligibilità. Di più non posso dirle perché, appunto, il problema della creatività di Marozzi supera le mie possibilità discriminatrici.
“La lettera si conclude con un consiglio di prudenza ma l’intera frase non sono riuscito a tradurla.”
Con stima e cordialità. Mario Trevi.
Chiedo a Patrizio Marozzi che cosa sia accaduto poi.
- “Niente di particolare, non ho mai ricevuto nessuna lettera. Chiesi al terapeuta se era possibile incontrare il dott. Trevi, mi disse di telefonare a Trevi dopo le feste natalizie, per un appuntamento. Feci così ma ricevetti l’invito a scrivergli. Non sapevo proprio di cosa, mi resi conto parlandoci al telefono che per certi versi avevo sopravalutato il dott. Trevi. Gli inviai una lettera molto tempo dopo, dopo aver letto un suo scritto su un libro di Carlo Maria Martini: la VII cattedra dei non credenti, ma non c’entrava niente con il mio libro, gli accennavo di argomenti legati al mio vissuto psichico e l’ho fatto mandandogli dei frammenti dei miei appunti, in realtà erano spunti per possibili discussioni.”
In certo qual modo hai legato il tuo libro al possibile futuro papa.
“In effetti questa è forse la cosa, di questa situazione che mi lascia più perplesso, la ricerca di questi dispensatori di saggezza.”
E del tuo libro che ne è stato?
“La prefazione me la sono riscritta da solo, e l’ho spedito, dopo una strategica selezione a quelle case editrici, che ho ritenuto avessero una dimensione professionale, che almeno in parte le svincolasse da una valutazione dell’opera al di fuori dell’opera stessa. Di questi tempi forse questa è la più grande utopia. Comunque… La Adelphi mi ha risposto che non li ho convinti. Sellerio carattere editoriale, Feltrinelli pressappoco lo stesso, ma va fatto notare che mi rispedì il dattiloscritto tramite corriere privato. Bollati e Boringhieri… all’arrivo del mio dattiloscritto sopraggiunse la morte di Giulio Bollati. Telefonai in casa editrice dopo circa un anno per avere notizie, ma non si sapeva che fine avesse fatto il mio lavoro, c’erano stati dei cambiamenti improvvisi causa la dipartita del Sig. Bollati e mi dissero che forse ne sapeva qualcosa la segretaria precedente, mi fu detto che mi avrebbero scritto per comunicarmi qualcosa, chiesi di scrivermi anche se era stato macerato. Non ho mai ricevuto nessuna notizia. Ma la risposta più strabiliante l’ho ricevuto dalla Giunti che non posso negare nel Direttore editoriale il Signor Mari ha una naturale gentilezza. La risposta della sezione libri è stata questa:
Firenze, 8 Luglio 1996
Gentile Patrizio Marozzi
Abbiamo esaminato con interesse la Sua proposta di pubblicare Faust… + tre dattiloscritti
In base agli elementi di valutazione che ha voluto inviarci, riteniamo che l’opera in questione non corrisponderebbe alla linea editoriale delle nostre attuali collane di narrativa e pertanto preferiamo non dar seguito alla proposta.
RingraziandoLa per l’attenzione rivolta alla nostra Casa Editrice, le inviamo i nostri migliori saluti.”
In questa lettera si parla del Faust più tre dattiloscritti.
- “In effetti questo lavoro è una tetralogia, Trevi ha letto il primo capitolo il Faust, ma l’ho messo a conoscenza degli altri tre volumi se avesse voluto glieli avrei mandati. Ma io mica so Carlo Maria Martini.”
Ed ora il tuo libro che fine ha fatto?
- “Ho tolto ogni prefazione e lasciato solo l’indicazione che ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale, ho messo insieme tutti e quattro i volumi e l’ho intitolato “Letteratura Sperimentale”. Il problema è trovare una casa editrice, l’ultima contattata è stata Marsiglio, ma mi è stato chiesto di pagare un prezzo ridotto, da loro concordato, l’agenzia letteraria che per loro avrebbe letto il mio lavoro. Per telefono ho detto all’interlocutrice della Marsiglio di dirmi chiaramente che era un rifiuto e dall’altra parte del telefono, con insistenza, mi è stato detto il contrario. Ho chiesto che mi fosse rimandato il manoscritto a mie spese, ma mi è tornato per raccomandata.”
Patrizio Marozzi ha scritto altri libri oltre quello di cui abbiamo parlato. Per quando riguarda me e questa storia che vi ho narrato, non posso che riflettere sul fatto che un mondo sempre più alfabetizzato in realtà non ha gli strumenti per capire le peculiarità del lavoro artistico e della crescita letteraria che in esso si forma, come si dice in televisione – l’importante è leggere, qualsiasi cosa ma leggere - io penso che la maggior parte della gente non abbia tempo da perdere e così finirà per smettere di fare una cosa, che in realtà non ha mai incominciato: “leggere quel che ha bisogno di essere letto.” In un certo senso mi sento legato al destino di Patrizio Marozzi, quando avrò finito questo libro anch’io dovrò cercare una casa editrice, ce ne sono veramente tante, migliaia, ma in realtà, certe volte, penso nessuna. Ed anche questo è un gran mistero.
Acqua Calda
Un giorno, in un lontano futuro un uomo trovò un diario che era appartenuto ad un altro uomo, molti anni prima. In questo diario era narrata la storia del suo risveglio dopo un lungo periodo d’ibernazione…
(Il periodo in cui l’uomo si risvegliò, il mondo era abitato ancora dagli esseri umani, e il governo era stato preso dalle multinazionali dell’alimentazione.
In quell’epoca, ogni persona premendo un pulsante nella propria cucina, poteva ordinare quello che voleva – le cucine non avevano più nulla che servisse alla preparazione o la conservazione dei cibi, ma soltanto tavolo e sedie. Le industrie del cibo, attraverso dei robot, cucinavano le pietanze e le portavano nei domicili delle persone che potevano pagarle. Il mondo era molto tempo che procedeva in questo modo e non c’era più nessuno che sapesse come cucinare quello che mangiava, tranne alcune persone all’interno dell’industria dell’alimentazione. Costoro erano considerati i presidenti del mondo o grandi sacerdoti, perché erano a conoscenza di un segreto che più nessuno in tutto il mondo sapeva neanche immaginare. Ma non tutto andava per il verso giusto, infatti la maggior parte del mondo viveva degli avanzi alimentari, gettati da chi poteva comprarsi il cibo. Ciò era un grave problema per l’economia del mondo, giacché queste persone che mangiavano a sbafo i rifiuti, potevano eludere, se avessero potuto, i lavori che l’industria alimentare riteneva servissero per guadagnare il denaro per comprare cibo. I grandi presidenti per ovviare a questo dissero che chi avesse restituito gli avanzi del proprio pasto, all’industria dell’alimentazione, avrebbe avuto uno sconto sull’acquisto del cibo per animali, naturalmente il cibo per animali, come quello per gli esseri umani, conteneva delle sostanze che creavano dipendenza. Questo era stata voluto e votato a maggioranza dalla popolazione del mondo in un referendum. Aveva vinto con la totalità dei voti, la tesi che era naturale mangiare e per questo era meglio mangiare certi alimenti – che il governo alimentare garantiva essere completi per il bisogno dell’organismo: e che essere schiavi di voglie incontrollate per alimenti che neanche venivano più prodotti fosse dannoso. Così si decise che era meglio che chi non faceva parte del mondo - era questo il modo in cui venivano chiamati tutti quelli, che erano fuori dalle regole del governo alimentare - morisse di fame. Il governo aveva garantito che ben presto quasi tutti quelli fuori dal mondo sarebbero morti per fame, e il numero di quelli che in futuro, sarebbero morti per fame, sarebbe stato del tutto fisiologico. Questo sarebbe servito al mondo, per capire quel che poteva accadere se avesse abbandonavano il governo alimentare.)
…Un giorno in una piccola casa, nascosta in un bosco un uomo dopo molti anni si svegliò dall’ibernazione. La sua casa, grazie ai materiali spazio tempo con cui era stata costruita era intatta e tutto era rimasto come lo aveva lasciato quando si era addormentato. Alzatosi dal letto d’ibernazione e sgranchitosi un po’ gli arti andò in cucina, accese il fornello a induzione molecolare, vi mise sopra la pentola con l’acqua e poi dal frigorifero ad ibernazione e disibernazione istantanea prese un uovo e lo mise nell’acqua che bolliva. Ben presto uscì di casa e andò in giro a vedere cosa era accaduto al mondo e, quando capì cosa era successo parlò dell’acqua calda con alcune persone. Allora i capi del mondo prevedendo cosa stava per accadere, parlarono anche loro dell’acqua calda, dissero alla gente che per aiutarla ad utilizzare bene l’acqua calda per cucinare, avrebbero aperto delle scuole con i migliori professori, che loro stessi avrebbero istruito. Nacquero così scuole e accademie dell’acqua calda, si formarono correnti artistiche dell’acqua calda e l’uovo sodo - riconosciute dal mercato dell’industria alimentare. E ci furono dei super master per i super cervelli dell’acqua calda, ma dopo questo tempo si incominciò a parlare di quell’uomo nella foresta, si disse che non poteva sapere come far bollire l’acqua se nessuno glielo aveva insegnato. Tutto il popolo incominciò a insorgere e si alzarono - fomentate dal governo alimentare - proteste in tutto il mondo, naturalmente tranne dove si moriva di fame. Fu indetto un referendum e a maggioranza assoluta, ma democraticamente come era sempre stato nello stato alimentare, fu deciso di processare l’uomo della foresta per pratiche illegali.
Al processo fu chiesto all’uomo come potesse fare a scaldare l’acqua calda, dato che non poteva conoscere il modo per farlo, perché nessuno glielo aveva insegnato. L’uomo voleva rispondere che forse lo aveva visto fare da altre persone quando era bambino, o che più probabilmente lo aveva imparato da solo riflettendo, ma sapeva che per questo poteva essere condannato per blasfemia nei confronti dei capi del governo alimentare e la condanna per questo reato era la morte per votazione plebiscitaria. Allora disse che non lo sapeva come poteva essere successo, e che non riusciva a capirne neanche lui la ragione. Per questo fu condannato con l’attenuante giacché riconosciuto affetto da sindrome da maleducazione. Gli fu confiscata la cucina e fu obbligato ad alimentarsi richiedendo il cibo tramite il pulsante, cibo che gli fu dato in cambio del lavoro obbligatorio che gli assegnarono, questo per tutto il periodo della rieducazione, che sarebbe durato fin tanto che avesse ricordato come si bolliva l’acqua.
Relazione Intima
“Ero a Bollingen, proprio quando era stata appunto terminata la prima torre, nell’inverno del 1923-24. Per quanto riesco a ricordare, non c’era neve; deve esser stato al principio della primavera. Ero stato solo forse per una settimana, forse un poco di più. Regnava un silenzio indescrivibile. Mai avevo vissuto tanto intensamente.
Una sera — lo ricordo ancora con precisione — ero seduto presso al camino, e avevo messo un calderone sul fuoco per riscaldare l’acqua per lavarmi. Quando l’acqua cominciò a bollire, la caldaia prese a cantare. Sembrava che fossero molte voci, o degli strumenti a corda, e risuonava come un’intera orchestra. Pareva musica polifonica, che in realtà non posso soffrire, ma in quel momento mi appariva straordinariamente interessante. Era proprio come se ci fosse un’orchestra all’interno della torre e un’altra al di fuori. Ora dominava l’una, ora l’altra, come se si rispondessero a vicenda.
Sedevo e ascoltavo affascinato. Per più di un’ora ascoltai il concerto, questa melodia naturale. Era una musica dolce, pur contenendo tutte le disarmonie della natura. Era giusto che fosse così, perché la natura non è soltanto armoniosa, ma è anche paurosamente contraddittoria e caotica. Così era la musica: uno scrosciare di suoni, che avevano la qualità dell’acqua e del vento, così singolari che è impossibile descriverli.”
(Da Ricordi, sogni, riflessioni di C. G. Jung. Traduzione di Guido Russo)
Che cosa vuole dire quello ch’è scritto qui sopra – è un’esperienza letteraria, un’esperienza psichica. Molti penseranno che l’autore del testo sia in preda alle allucinazione, qualche scienziato del comportamento per dimostrare ciò farebbe ripetere l’esperienza descritta un’infinità di volte, per far riprovare all’autore la stessa esperienza, con gli stessi effetti, cambierebbe anche pentola e assurdamente per dimostrarne la scientificità, alla fine ripeterebbe la cosa anche con persone diverse, naturalmente il risultato sarebbe di distruggere l’autenticità dell’esperienza, la voglia stessa di ricordarla, una ripetizione artificiale non sarebbe niente altro che una coazione a ripetere, una sovrastruttura patologica che necessita di una nuova elaborazione che non ha nulla a che fare con l’esperienza primaria, ma solo con la compulsività comportamentale dello scienziato del comportamento, una terapia patologica che genera nuova patologia, non c’è niente di più malsano. La psichiatria liquiderebbe tutto con l’espressione di qualche codice che identifica la patologia del paziente.
La cosa più importante, la ricchezza maggiore che l’autore dello scritto ci vuole comunicare è l’importanza della relazione intima che ha dell’esperienza e nell’apparente banalità, assurdità, che può significare per chiunque altro una pentola sul fuoco, la peculiarità dell’esperienza psichica di ognuno. Nel mondo percettivo che si è creato, l’autore del testo sviluppa la capacità di elaborare le sue convinzioni percettive ed emozionali, stabilisce una relazione intima con la profondità della sua immagine archetipo e dall’energia che ne scaturisce, entra in relazione con il suo mondo culturale, stabilendo con esso una relazione dialogica tra le sue convinzioni e le eventuali possibilità dell’esperienza oltre le sue convinzioni, attraverso una partecipazione psichica che investe le sue emozioni, la deduzione dei suoi sensi. L’autore del testo sa benissimo che sta scaldando dell’acqua in una pentola, ma non di meno lascia che la relazione intima che si stabilisce attraverso quell’atto, con il suo mondo psichico trovi un suo sviluppo armonico nella ragion d’essere della qualità della sua vita, nell’espressione stessa del suo progetto originario, nella spiegazione e nei misteri, sapendo, in conclusione come lavarsi con quell’acqua che ha appena scaldato.
Nei suoi scritti Jung ha messo il coraggio di svelarci la sua intimità, e la sua letteratura nella maggior parte non può essere compresa, se non la pensiamo scritta “nella forma originale e nello stile delle relazioni intime di Jung,” la ricchezza maggiore che ne deriva è la nostra capacità di entrare in relazione con questo suo aspetto, con le nostre possibilità di comprensione.
…Non credete al riso degli stolti.
Parte II
1
hghhgs…In tal caso si scoprirebbe che il comitato sarebbe riuscito a guardare se stesso nel più breve tempo possibile, e con il minimo consentito di sguardi, vale a dire x al quadrato meno x di sguardi se i membri del comitato equivalessero a x, e y al quadrato meno y se equivalessero a y. Hguysgggf…muovendosi gradualmente dal basso verso l’alto, fino a giungere alla testa, della quale, come di tutto il resto, disse molte cose, talune buone, talune appena discrete, talune ottime, talune mediocri e talune eccellenti. Hggflagagf…Watt un andirivieni di sequenze e soluzioni ad incastro, di stati di arrivo e di partenza e d’illusioni, la logica di ogni possibile soluzione prive della percezione delle possibili variabili. Un positivista logico come è stato detto, o anche la logica di un comportamento senza senso, o il richiamo di Beckett ad un’epoca senza senso attraverso il senso e il “valore” di Watt. Husiuhj…C’era stata un’epoca in cui gli sarebbero piaciute, con il concetto che suggerivano, che cioè anche il signor Knott era seriale, in una serie vermicolare. Ma ora non più. Perché oramai Watt era una vecchia rosa, del tutto indifferente al giardiniere. Hafytto…La ripetizione finita all’infinito si ripete e non trova una reale soluzione, ma una sorta di dannazione, dove i componenti dell’atto, “le sue persone”, rischiano di perdere ogni possibilità di assoluzione, ogni possibile mediazione. E non si parla di uno stato letterario. Watt chiude così: hfgftfg…Treno udito da Watt nel fossato sulla via della stazione. Il soprano cantava:
simboli non ci sono dove non c’è intenzione
Parigi 1945
(Il non in grassetto da Watt di Beckett. Traduzione di Gabriele Frasca)
Non c’è più possibilità di scelta, perché gli atti per scegliere hanno sopraffatto la realtà.
2
hdsyaogoaSe sai alcuna cosa, taci. Certo, tacerò, sia pure soltanto per vergogna o per misericordia degli uomini, be’, per rispetto sociale. Voglio fermissimamente che il controllo decoroso del raziocinio non abbia ad allentarsi all’ultimo. Ma l’ho veduto, si, veduto finalmente. Era a accanto a me, nella sala; era venuto a farmi visita, inatteso e pur da lungo tempo aspettato; ho parlato con lui a lungo, e solo rimasta mi è la stizza di non saper con certezza di che cosa io tremassi, se per freddo o per paura di lui. Ho forse finto io, ha forse finto lui che fosse freddo, affinché dovessi tremare e avere certezza ch’Egli era lì, seriamente, come persona a sé? Non è infatti chi non sappia che niuno è sì folle da tremare delle proprie fantasie; queste anzi gli sono gradite, e senza tremore, senza imbarazzo le accetta. O mi prendeva a gabbo facendomi credere con quel freddo cane ch’io non ero pazzo, che Egli non era fantasia, poiché in temenza e peritanza tremavo davanti a lui? Certo è che Egli è scaltro.
Se sai alcuna cosa, taci. Taccio, cosi, per me. Taccio e scrivo tutto su questi fogli musicali, mentre il mio sodale nell’eremo col quale rider soglio è discosto da me nella sala e si tortura traducendo la cara favella straniera nella propria e odiata. Egli pensa che io stia componendo, e se vedesse che scrivo parole penserebbe che anche Beethoven cosi faceva.
Creatura di dolore, avevo passato tutta la giornata al buio col mio dannato mal di capo e più volte avevo dovuto recere come accade nei gravi attacchi; ma verso sera venne il miglioramento inaspettato e quasi improvviso. Potei tenere la minestra che la madre mi recò (“Poveretto!”), tracannai un bicchiere di vino rosso (“Beva, beva!”) e fui ad un tratto così di buon umore e cosi sicuro di me che mi concessi persino una sigaretta. Avrei potuto anche uscire, secondo le intese del dì innanzi. Dario M. voleva introdurci laggiù al Circolo dei cittadini di Preneste altolocati; voleva presentarci e mostrarci la sala, il biliardo, la stanza di lettura. Non volendo mortificare quell’anima buona avevamo accettato, ma a uscire fu soltanto Sch., dato che l’attacco era scusa sufficiente per me. Alzatosi da tavola egli se ne andò senza di me con la faccia agra a fianco di Dario, giù per la via verso il convegno dei buoni borghesi e dei bifolchi, e io rimasi solo.
Me ne stetti qui nella sala accanto alle finestre chiuse, presso la mia lampada e mi misi a leggere Kierkegaard dove dice del Don Giovanni di Mozart.
Ed ecco d’un subito colpire mi sento da un gelo tagliente come quando uno se ne sta d’inverno nella stanza calda e all’improvviso una finestra spalancata accoglie il freddo esterno. Ma il gelo non veniva di dietro me, dove sono le finestre; no, mi colpiva in faccia. Alzo gli occhi dal libro, guardo la sala, noto che Sch. dev’essere tornato, perché non sono più solo: c’è qualcuno seduto nella penombra sul divano di crine, che col tavolino e con le sedie sta circa nel mezzo della stanza dove prendiamo la prima colazione. È seduto nell’angolo del divano, con le gambe accavalcate, ma non è Sch. un altro, più piccolo di lui, e non si può dire che sia un vero signore. Il freddo però mi avvolge di continuo.
— Chi è costà? — grido in italiano con la gola un po’ stretta, puntando le mani sui braccioli della sedia, in modo che il libro mi scivola dalle ginocchia e cade. Mi risponde la voce calma e lontana dell’altro, una voce che direi di buona scuola, con una gradevole risonanza nasale:
(da Faust di Thomas Mann. Traduzione di Ervinio Pocar)
hgfgggdMEFISTOFELE Presento i miei ossequi all’illustre professore! Però mi avete fatto sudare un bel po’.
FAUST Come ti chiami?
MEFISTOFELE La domanda mi pare meschina per uno che ha in tanto dispregio la Parola, e, remoto a ogni apparenza, vive solo nel profondo delle entità.
FAUST Presso i tuoi pari, signor mio, il nome dice anche l’essenza, sia che vi si chiami Belzebù, Abaddona, Diavolo. Dunque tu chi sei?
MEFISTOFELE Una parte di quella forza che vuole costantemente il Male e opera costantemente il Bene.
FAUST Che significa questo indovinello?
MEFISTOFELE Io sono lo Spirito che sempre nega. Ed a ragione; perché tutto ciò che nasce merita di perire; perciò meglio sarebbe che niente nascesse. Quindi tutto ciò che voi chiamate peccato, distruzione, e, insomma, Male, è il mio vero elemento.
FAUST Ti dici una parte; ma davanti a me vedo un tutto.
MEFISTOFELE Più modesta la verità ch’io ti dico. L’uomo, questo microcosmo, si considera un tutto. Ma io non sono che una parte della parte che in origine era un tutto, una parte della tenebra che generò la luce, la superba luce, che ora alla Madre Notte contende il primato e lo spazio; ma non le riesce, ché, per quanto si affanni, essa è prigioniera dei corpi cui aderisce. Fluisce dai corpi, i corpi fa belli, ogni corpo ne intercetta il passaggio. Perciò, e spero non tarderà molto, assieme ai corpi andrà alla malora anche lei.
FAUST Capisco adesso la degna tua funzione! Non riesci a distruggere in grande e ti adoperi a distruggere in piccolo.
MEFISTOFELE E certo così si fa poca strada. Ciò che si contrappone al Nulla, il Qualcosa, questo mondo massiccio, per quanto io abbia fatto non son riuscito a incrinarlo: inondazioni, nubifragi, terremoti, incendi; alla fine mare e terra eccoli di nuovo tranquilli come prima. Meno che mai, poi, c’è da pensare a distruggere la maledetta genia degli animali e degli uomini. Quanti ne ho già sotterrati! E sempre un nuovo fresco sangue torna a circolare. E si va avanti cosi; ci sarebbe da impazzire! È un perpetuo multiforme germinare, nell’aria e nell’acqua e nella terra, coll’umido e col secco, col caldo e col freddo! Se a me non avessi riservato il fuoco, davvero che non ci avrei più neanche una mia specialità!
FAUST Dunque all’energia che perpetuamente risana e crea tu opponi il tuo freddo pugno diabolico, che invano si stringe subdolo e minaccioso! Suvvia, cerca di far qualcos’altro, strano figlio del Caos!
MEFISTOFELE Ebbene, ci penseremo; ne parleremo la prossima volta…
(Faust di Goethe. Traduzione di Barbara Allason)
hgfgfgsfdaUcciditi ucciditi puoi superare tutto ciò andare oltre queste, queste trappole effimere della vita. Basta che tu ti uccida e sarai libero. Non piú dubbi inganni apparenze; Solo il canto sublime del respiro è questa la strada. Ucciditi.
Non piú essere Artista, non piú studio ricerca pensiero non piú limite. I dubbi ricordi profani. Ucciditi. Non piú tempo, tutto il non piú della vita superato. Ucciditi.
Ma chi è chi mi inganna, quale voce tu sei e con quale alibi ti estranei da me, sembri esistere. È un velo così sottile quello che sento non dubiterei di te per quel che dici ma non vi è nessuno in questa stanza, non sei un desiderio non sei istinto, Ma da loro forse scaturisci. Non hai miei… La tua forza mi sorprende mi obbliga a risponderti. Il mio ludico guardarti appartiene al capire, sappi che io so che tu non esisti sei solo un motivo in piú.
Non posso uccidermi per quel che tu mi chiedi ogni sguardo nel buio ricorda il colore dell'esistenza, ogni immagine della notte è una figura, ogni agire contro la vita è un amore sbiadito nel pernicioso cammino verso i non simboli.
Se io mi uccidessi agirei, darei un nome direi. Non sarebbe andarsene, nessun superamento ma vano ed inutile simbolo tra i simboli. Se mi uccidessi me chiederei: io fuggo dalla paura dell'incertezza e nel fuggire mi hanno determinato i simboli; ma tu chi sei per garantirmi la certezza del non nome se con i nomi parli con me.
(dal Faust di Patrizio Marozzi)
HgfhgfagsdMefistofele Non ci sono stanze in cui possa entrare, e le stanze del passato hanno distrutto i loro muri ormai da tempo e non è rimasto molto di “quello” che le aveva generate. Non posso più giocare con le illusione del sapere e a nessuno posso più far credere di avere il potere di tenermi in trappola. Se ciò accadesse più nessuno mi avrebbe in considerazione. Questo mondo oramai mi ha superato in arditezza e quando sa, sa far del male senza il mio consiglio, mi sembra che le parti si siano invertite e io mi alimento come un fuoco spontaneo dell’energia che da esso mi viene.
Faust Se non conoscessi i tuoi modi ti direi che mi stai sorprendendo, quanta sagace modestia nelle tue parole, mi viene di credere che tu alla fin fine abbia rinunciato all’arditezza del male, che ti trovi in quella condizione in cui i fatti superano i migliori propositi, le maggiori intenzioni, fin anche la responsabilità del suo artefice.
Mefistofele Se fossi in te non mi troverei così sicuro, l’uomo non ha sempre desiderato di essere come il suo Dio, lo ha sempre creduto. Il fatto che io gli abbia suggerito come, e lui mi abbia ubbidito dimostra soltanto che non è capace di assumersi le sue responsabilità. Certo non posso non ricordare che per me sia stato molto facile, è stato come suggerire qualcosa a qualcuno così avido da non saper far tesoro neanche della propria esperienza, così sciocco che ha finito per fare una cosa per un’altra. Se io ho dei meriti in questo è quello di aver assecondato la naturale propensione di onnipotenza dell’essere umano, ma che esso continui a capire il bene per male e il male per bene è tutto merito suo, è lui che vuol essere quel che non è Dio.
Faust Dico che continui a sorprendermi se solo non ti conoscessi. Che n’è stato della tua sete d’anime, non hai forse sempre cercato un patto ingannatore con l’uomo. Quando io e te in passato ci siamo trovati nella stanza, non mi hai fatto, come mi hai appena detto, credere addirittura che io potessi intrappolarti in quella stanza, e non hai escogitato quello stratagemma pieno di falsi propositi per avere la mia anima?
Mefistofele Ti stai confondendo, l’epoca delle stanze era quella in cui tu cercavi in me qualcosa di reale, alcuni scrittori hanno avuto l’arditezza di rappresentarmi, di mostrare al mondo come io fossi fatto fisicamente, semplicemente per dire che esistevo, per dire di chi fosse la responsabilità, di chi in realtà stesse seguendo il mondo. E tu Faust di sei trovato a rappresentare un’umanità così meschina che paradossalmente invocava il mio aiuto, per avere il coraggio delle proprie azioni. Hanno giocato con te e l’essere umano per te ha creduto di potermi smascherare, di poter porre delle condizioni a me. L’essere umano è rimasto il piccolo illuso di sempre — ha creduto a me invece che a Dio, mi ha ubbidito ed ora vuole immaginare che sia stato lui a porre delle condizioni a me, che sia stato lui a determinare il suo destino. L’essere umano è destinato alla dannazione perché è così imperfetto da assecondare il male anche senza il mio aiuto, è incapace delle proprie responsabilità, è incapace fin anche di capirle, vuole una cosa e poi dice che non è stato lui a volerla e dice che la colpa è mia. Un misero essere privo di libertà, veramente insignificante per la genia dei tempi. No Faust credi a me, non ho bisogno di raccontar menzogne l’essere umano è naturalmente predisposto al male senza nessuna possibilità di scelta.
Faust Il tuo dire mi schiaccia sotto il peso dei fatti, l’immane tragedia dell’essere umano è evidente ai miei occhi, alla materia del mio corpo che si muove nell’unica stanza rimasta, quella dell’intero mondo. Non oso contraddirti perché ciò non sarebbe che ripetere l’evidenza dei fatti, non sarebbe che conclamare ancor di più il mio stato di essere umano, di essere soggiogato dalle sua stessa natura, dalla sua peritura discendenza che perpetua una stato continuo di lotta tra la vita e la morte. Questa solitudine governa la condizione dell’essere umano, in questa condizione trova la forza per generare il bene che rapidamente distrugge, costantemente, ripetitivamente. La sopravvivenza di questi momenti prima della loro distruzione accompagnano l’essere umano da sempre e per quando l’affanno di una vita priva di sostentamento continui a generare l’essere umano, la traccia invisibile di quei momenti si sedimenta nella sua coscienza e a null’altro che in questo è data la possibilità di una scelta: la possibilità di Dio di sapersi essere umano — nella fede, la conoscenza dell’essere umano di sapere di Dio.
Mefistofele Ma appunto è ciò che intendevo io, l’essere umano non sa di Dio che quel che non sa di non sapere e in questo stato fa di sé una naturale predisposizione al male — è così aderente a tale condizione che come hai ben detto distrugge costantemente anche quello che fa, ma che non sa ch’è bene. Gesù Cristo chi l’ha crocifisso, non mi verrete a dire che anche quella è stata opera mia. Non è stato lo stesso popolo che Dio aveva scelto a metterlo in croce, non è stato il vostro stesso sapere di non sapere a condannarlo a giudicarlo — la giustizia di pilato, vile e senza coscienza. Questo Gesù, in fondo, voleva essere un mio seguace e sentirsi Dio come ogni altro essere umano.
Faust In verità non posso risponderti sul perché l’intero essere umano abbia fatto ciò, ma posso renderti conto dell’atto estremo della vita di Gesù Cristo, della sua aderenza assoluta all’amore, un amore che io comprendo soltanto in parte con il mio pensiero, con le facoltà dei miei perché raziocinanti, soltanto superando il mistero posso accettare il mistero che ne deriva, soltanto accettando come facoltà del mio essere la possibilità della fede posso coniugare il mio pensiero alla logica della vita palese e storica di Gesù Cristo.
Ma dimmi Mefistofele, voglio io farti una domanda, giacché tieni in così in spregio le possibilità dell’essere umano, cos’è che tu vuoi realmente da Dio, che cos’è che forse non hai il coraggio di chiedergli?
3
hfafdgfdhEL APICE
No te habrà de salvar lo que dejaron
Escrito aquellos que tu miedo implora;
No eres los otros y te ves ahora
Centro del laberinto que tramaron
Tus pasos. No te salva la agonia
De Jesùs o de Sòcrates ni el fuerte
Siddharta de oro que aceptò la muerte
En un jardìn, al declinar el dìa.
Polvo también es la palabra escrita
Por tu mano o el verbo pronunciado
Por tu boca. No hay làstima en el Hado
Y la noche de Dios es infinita.
Tu materia es el tiempo, el incesante
Tiempo. Eres cada solitario instante.
(da La Cifra di Borges)
hgafgfgfgCantar sollievo sarebbe uscire da questo infame pertugio. Che tutti questi figli di puttana, e quando dico puttana dico tutte le rottinculo vergini, insieme alla marea dei froci, che sta per puttane al maschile, continuano a perturbare, infangare con la melma dei loro pensieri. Nobile sarebbe per costoro accettare, anche solo per un istante la materia del tempo. Ma il cantar invano sono destinati e nessuno potrà salvarli e son contenti di dannar pur gli altri con le loro coglionate necessità. Che la spietata realtà gli sopraggiunga all’istante e nessuno potrà salvarli da quell’istante di realtà e tutte le loro coglionerie s’infrangeranno per quel che sono: la menzogna della materia del loro tempo. E sopraggiunga intanto a continuar l’inutile giorno, che si levino le parole della menzogna che continuino a recitar l’illusione dell’infamia – troppo poveri di povertà son costoro per accettare la ricchezza. Continuino a menar per l’aria lo spazio delle loro azioni di vigliacca menzogna. Continuino a sminuir la saggezza della verità. Continuino a diffamare la materia del tempo di chi l’ha, con i segni dell’invidia della loro dannazione, perché eterno è il loro tempo, come la condizione di un ergastolano che attende la propria morte tra le pareti di una cella, ma per di più di costui la morte che sopraggiunge sarà vana per la fine della pena da scontare, perché nessuno li ha mai giudicati. Che venga anch’esso, un momento di sollievo a rammentar l’accaduto della vita, ma soltanto per un istante per rammentare la vanità della memoria che attente inquieta, soltanto, l’ultimo instate, lo scontar della pena che avvolge tutto finanche la perpetua verità, che spaventosa come un lampo mille volte più forte di ogni altro, brucia tutto il tempo, ognuno, chi già morì per infausta fede e chi, nel peggio per lui, per infausta fede crebbe nella menzogna più grande – di una materia senza tempo. Nessuno potrà salvarti. “Tu sei fatto di tempo, di incessante tempo. Sei ogni solitario istante.”
Hgfdghgfgf Non posso cambiare il passato, e non credo che lo farei. Non mi aspetto di essere capito. Mi piace quello che ho scritto, i racconti e i due romanzi. Se dovessi rinunciare a quello che ho scritto per guarire da questa malattia, non lo farei.
SI PUÒ ESSERE stanchi del mondo — stanchi dei re della preghiera, dei re della poesia, i cui rituali sono un intrattenimento umano e gradevole, ma assolutamente irritante perché non hanno alcuna realtà — mentre la realtà in sé continua a essere molto preziosa. Il desiderio è di intravedere degli squarci di reale. Dio è un’immensità, mentre la malattia, questa morte, che è in me, questo piccolo evento pedestre circoscritto entro confini tanto precisi, è semplicemente reale, privo di miracoli — o di istruzioni. Sono in piedi su una zattera che ha sciolto gli ormeggi, una piccola chiatta che si muove sulla fluida superficie scorrevole di un fiume. È precaria. L’ignoranza dell’ignoto, l’equilibrio difficile, i sobbalzi e l’instabilità si allargano in ampie increspature su tutti i miei pensieri. Pace? Non ce n’è mai stata alcuna nel mondo. Ma ora sto viaggiando sull’acqua arrendevole, sotto il cielo, senza ormeggi, e mi sento ridere, con un certo nervosismo all’inizio e poi con genuino stupore. È tutta intorno a me.
(da questo Buio feroce di Harold Brodkey. Traduzione di Delfina Vezzoli)
hfggfhfhgfgQuando basta un momento soltanto, solo quel momento, la morte di un attimo per capire, comprendere le sequenze della vita. Ma quando la morte è già sopraggiunta, e non dico perché si è malati o cose di questo genere; quando la morte è eterna e non basta più morire per afferrare la vita. Se il mondo fosse già finito prima della fine della sua materia? L’uomo non è già privo della sua coscienza, non è già seguace di un sistema basato sulla persuasione occulta, non vive seguace dell’illusione, in preda alla menzogna e non ottiene quello che identifica con il bene con l’inganno, con la vanità della dimostrazione, con la viltà del furto dei sentimenti, col proprio bisogno di onnipotenza che non ha più per giustificazione neanche la condizione di inconsapevolezza. Anche i più piccoli ormai son persi. E se solo un uomo fosse fuori da tutto questo, soltanto lui si salverebbe e per questo forse vana sarebbe la sua salvezza. La morte è eterna come uno spavento senza fine, che non conosce niente altro che se stesso e l’inganno più grosso è diventato l’uomo. Un uomo che ha dimenticato ciò che l’aspetta, preferendo l’eternità della morte ad un suo momento; ed anche per questo la morte stessa è diventata un’illusione, la sua vanità la sola consolazione umana, soltanto chi muore non s’inganna.
[…]
hgffdgfgfgfgg((Ecco il nostro vero stato. Il quale ci rende incapaci di sapere certamente e di ignorare assolutamente. Andiamo vogando su di un mare vasto, sempre incerti e fluttuanti, spinti da un estremo verso l’altro. Qualunque termine a cui pensassimo di attaccarci e di assicurarci, tentenna e ci abbandona; e se noi lo seguiamo esso sfugge ad ogni presa, scivola e fugge con una fuga eterna. Nulla si ferma per noi. È lo stato per noi naturale, e tuttavia il più contrario alle nostre inclinazioni; noi bruciamo dal desiderio di trovare una positura stabile, e una ultima base costante per edificarvi una torre che si elevi all’infinito, ma ogni nostro fondamento schianta, e la terra s’apre fino agli abissi!
((Desistiamo dunque dal cercare la sicurezza e la stabilità. La nostra ragione è sempre ingannata dalla incostanza delle apparenze: nulla può fissare il finito tra i due infiniti che lo rinchiudono e lo fuggono)) (ibid.).
((L’ultimo passo della ragione è di riconoscere che vi è un’infinità di cose che la sorpassano. È ben debole se non giunge a riconoscere ciò. Bisogna saper dubitare dove bisogna dubitare, essere certi dove bisogna, e sottometterci opportunamente. Chi non fa così non intende la forza della ragione. Ve n’è che peccano contro questi tre principi, o affermando tutto come dimostrativo, per poca pratica che hanno alle dimostrazioni, o dubitando di tutto, per non sapere dove ci si debba sottomettere, o sottomettendosi in tutto, per non sapere dove si debba giudicare)) (ibid.).
3. Mio De Profundis
Ma la pagina più difficile di questo libro è ancora da scrivere. La pagina più difficile sei Tu, mio Signore.
Di Te ho scritto insensatamente e all’infinito, e non ho detto nulla: nulla che sia degno di ciò che Tu sei, nulla di quanto si possa immaginare di Te.
Per aggiungere subito che ogni immagine è un tradimento.
Il dramma vero dell’uomo sei Tu: Tu dramma a Te stesso, perché anche Tu vivi una passione che non riesci a soddisfare.
Di Te così ho cantato:
Tu
sempre a creare
e noi a morire...
E ancora:
O cercarTi solo
senza nominarTi,
chiamarTi appena a gesti...
Ancora:
Baluginosa presenza che acceca
come i raggi schiantati del sole
a mezzodì
sulle rocce salate
del Mare Morto...
E ancora:
Tu sempre dentro la Tua
divina solitudine, Tu
condannato
a solamente essere:
il dramma è Tuo,
o misterioso Amore.
Exinanivit..., Egli ci ha spogliati:
Si, bisogna distruggerTi, Dio
per crederTi quale Tu sei.
E quando il pieno Nulla
avremo raggiunto
finalmente saremo
una cosa sola,
o Deità.
Dramma per la Tua trascendenza a noi sempre irraggiungibile: non c’è altro Dio né lassù in cielo né quaggiù sulla terra. Non l’universo intero Ti può contenere, non i cieli dei cieli, Tu abiti una dimora di luce inaccessibile:
Abbiamo schermi che segnano il fiato:
men che bisbigli di particelle
di raggi in arrivo dalle Galassie;
apparati che registrano pensieri quando
increspano come la luce nell’aria
più tersa del mattino: apparecchi
che registrano il gemito di animelle
ardenti sulle tombe la notte;
ma non abbiamo congegni che annuncino
almeno un ((tic)) udibile
della tua presenza, uno fra tanti
che ti colga a caso, o per errore almeno:
Tu sempre oltre, a spostarti
mano a mano che si sposta
il confine: oltre,
per gioco, lasciandoci perfino credere
alla tua assenza! Non una
meridiana che segni l’ora
esatta del tuo apparire
e sparire...
Dramma per la Tua immanenza, fino a incombere sugli spiriti come un dolcissimo incubo; fino ad essere Tu, Spirito purissimo, mescolato alla materia coinvolto più d’ogni Tua creatura nello stesso mistero del Male. E noi a inseguirTi, a sognarTi, a travolgerTi nelle nostre stesse infinite miserie, Dio fattosi nostra ((carne di peccato)).
Noi da soli sempre più disperati e perduti e Tu senza di noi un povero Dio solitario e inutile: per questo Tu sempre più simile a noi, all’ultimo di tutti noi: un Dio umile, debole, sperduto, appassionato e pietoso, venuto a vivere di ogni nostra infermità. Sempre meno Dio dell’onnipotenza, sempre più Dio della misericordia e del perdono.
È questa la vera onnipotenza: riuscire a perdonarci, continuare a perdonarci, e rifare monde tutte le cose, rifare una creazione che sia degna di Te, e insieme sia l’ultima reggia di questa creatura, per cui Tu sei impazzito da sempre, mio Signore.
E CI SARANNO CIELI NUOVI...
Mentre la terra sarà di nuovo informe e vuota
e le tenebre ricopriranno l’abisso,
e lo Spirito aleggerà sulle acque, dirà:
((Verdeggi la terra,
un manto di erbe e foreste la copra)).
E ancora tra sera e mattina dirà finalmente,
—nell’attesa di tutta la terra—,
una parola inaudita:
il misterioso incredibile verbo
non mai finito e sempre al presente,
così maestoso suo verbo sul mondo:
((Facciamolo ancora!))
Bello e meraviglioso sarà
oriens ex alto:
luce da luce
splenderà più del sole
creazione finalmente senza peccato!
(da il dramma è Dio, di Davide Maria Turoldo)
[hhdssdsfggffLa storia di una pazzia senza possibilità di soluzione, se c’è una possibilità di dannazione contemporanea è scritta in queste poche righe, anonime, che ho trovato. Vi si narra di qualcosa che non si vuol raccontare, una storia di miseria e presunzione, una storia, fatta di mille intrecci e pazzesche giustificazioni, di un vuoto senza soluzioni, di un odio che ha per fine soltanto la morte, dove tutti la praticano… Ma tutto nasce dal furto di un libro e dalle interpretazioni faziose, per convenienza e per assurda invidia di chi volle leggerlo con la sola sua presunzione. Tutti finirono per fare tutto il contrario di ciò che era scritto nel libro e la loro interpretazione li sprofondò nell’odio e nella voglia di uccidere. Si organizzarono in gruppi e anche molti gruppi insieme e si persero nella ricerca delle associazioni, fino alle più assurde e lontane, fino a crederle invisibili, per dire che era vero quello che loro volevano accadesse, e dire che il male, che procuravano, non esisteva. Il male li fa continuare e non riescono più a fermarsi, sono ormai prigionieri dell’inganno e l’unico modo che vogliono avere per dire che non è vero è quello di continuare e continuare, fino alla distruzione: una tentazione da cui non riescono a liberarsi: una folle vanità senza speranza, che cerca soltanto il plagio della vita altrui. Continuano ad ingannare ogni frase, parola per distruggere il pensiero a chi hanno deciso, senza sapere perché, di molestare la vita; chiamarli perversi non è poi un inganno, per tutte le loro azioni; preferiscono continuare a praticare l’inganno della coscienza, e se c’è la possibilità di un bene non lo si svela e per questo è un male, perché la vita ha bisogno della verità per essere reale.
[…] Questi tre puntini non servono a svelare le azioni che anonime su questo foglio, sono state scritte e raccontate, non perché chi li ha scritti non sappia tutti i fatti, ma perché la verità non trova spazio in chi non vuole credere - e l’inganno dell’illusione deve forse giungere al suo compimento — e soltanto la più palese azione reale, che lascio immaginare a chi sa, può far sì che l’inganno non compia il suo fine.
Due righe di chiusura sono scritte sul foglio e dicono: Non fraintendete il libro di cui si parla, non pensate a nessuno dei testi che state immaginando.]
HgfhggfgfgfdUna Notizia la Repubblica.it
Mondo
Pubblicata dal Vaticano la lettera di suor Lucia L’ultima parte del messaggio ai tre pastorelli
Il testo integrale del terzo segreto di Fatima
CITTA’ DEL VATICANO - Ecco il testo integrale del terzo segreto di Fatima, così come riportato nella lettera in cui suor Lucia rivela il messaggio della Madonna di Fatima del 13 luglio 1917.
“Scrivo in atto di obbedienza a voi mio Dio, che me lo comandate per mezzo di sua Eccellenza Reverendissima il signor Vescovo di Leiria e della Vostra e Mia Santissima Madre. Dopo le due parti che ho già esposto, abbiamo visto a lato sinistro di nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembra dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza.
E vedemmo in una luce immensa che è Dio: ‘Qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti’ un Vescovo vestito di Bianco ‘abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre’ Vari altri vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire su una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregare per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi d’arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della Croce c’erano due Angeli ognuno con un innaffiatorio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio”.
(26 giugno 2000)
(da www.repubblica.it)
Il Seguito del Libro
Nel film Blu di Kieslowski, tra i dialoghi principali, c’è nascosto un dialogo che si svolge tra un uomo e una donna… Julie ha scoperto un nido di topi nel ripostiglio del suo appartamento, nella scena che segue si vede lei, sdraiata sul letto, che cerca di addormentarsi, ma è disturbata dallo squittio dei topi. La voce nascosta quella della donna, dice: “Avevi paura dei topi quando eri piccola?” In una delle scene seguenti, quella in cui Julie fa visita alla madre, che non la riconosce scambiandola per sua sorella. Julie chiede alla madre:
Julie: Mamma…
Madre: Sì?
Julie: Avevo paura dei topi quando era piccola?
Madre: Tu non avevi paura. Julie aveva paura.
Julie: Adesso ho paura.
Questa voce altra e mirabile che Kieslowski ha inserito nel film, in un dialogo subliminale, con la coscienza della protagonista, e nell’etica del film stesso, si rivolge al pubblico…
Mi sono accorto di questo dialogo vedendo la videocassetta, con l’aiuto dall’impianto Hi.Fi…
Senza via di scampo, è la fine ch’è capitata. A forza di praticare la menzogna è finita che quando ritornarono a praticare la verità, la verità non poteva più essere tale — oramai le loro intenzioni non riuscivano più ad essere vere. Infatti ciò che rende vera ogni azione è la sua radicale limpidezza, ancor di più di ogni limpidezza. Ciò che non è tale genera morte e la morte torna polvere, per sempre. La violenza non può darsi motivi.
La sindrome maniacale di carattere collettivo, ha attraversato in vari momenti il sapere e l’agire umano, l’esempio più lampante sono state le dittature di ogni epoca, anche se ciò che ha caratterizzato quelle degli ultimi cento anni è stata la loro programmazione scientifica – la sindrome maniacale è diventata un’istituzione metodologica, con tanto di riconoscimento accademico. La differenza che intercorre tra un maniaco e chi applica i metodi del maniaco, come cura, è quella che il maniaco non sa di essere un maniaco e il dottore non sa di comportarsi da maniaco.
In questo capitolo voglio elencarvi alcuni episodi di sindrome collettiva e loro metodologia, per dimostrare come dall’assurdo collettivo, (che supera di gran lunga qualsiasi spiegazione di carattere scientifico, ricercato più per paura e con metodi anch’essi maniacali) si possa facilmente giungere a realtà di fatto che possono rientrare nell’associazione a delinquere.
Gli episodi che in parte elencherò sono naturalmente realmente avvenuti e non rientrano in un discorso ipotetico.
Pro Memoria incompiuto
Dunque facciamo un attimo il conto degli ultimi psicopatici che mi hanno molestato. C’è stata M.A… Sabato quel matto che ha cercato di mandarmi fuori strada. Quella che fuori dalla chiesa, ha incominciato ad alzare il braccio al lato del mio viso, se non sbaglio è la stessa che la mattina era ad aspettarmi sotto casa con quell’altro in macchina, non so proprio chi sia. Poi c’è stato quello che si è messo ad urlami vicino al finestrino di andare a casa. Credo sia un pazzo di internet. Come sempre nel tragitto di ritorno si sono organizzati con la compulsione dei gesti, le frasi e le parole dissociate-associate per stimolarmi i riflessi condizionati, le percezioni e gli stati d’animo e farmi associare alle parole i luoghi e le persone da cui le avevo sentite, per istigarmi all’aggressività o alla sudditanza, in realtà al disorientamento. Ma questa cosa merita una spiegazione a parte se non conoscete quello di cui sto parlando, non lo farò ora… dico che quello che può accadere naturalmente, riprodotto diventa una patologia senza fine o un’associazione a delinquere …La solita rottura di coglioni del mettere la seconda o la terza marcia in prossimità del centro sociale. Non so com’è cominciata, se a istigare l’aggressività verso di me è stata M.S. o… Ma tutto questo nasce da lontano molto lontano, oltre quello che sta accadendo a me. E come sempre va a finire che tutto s’intreccia, le responsabilità di uno con quelle di un altro, tutti finiscono per nascondere le “cose e soprattutto le intenzioni, …perché la patologia più grossa è la vanità di sentirsi potenti nei confronti dell’altro, …il senso della distruzione. Lunedì c’è stata A. sconosciuta, se non sbaglio una gran troia che lavora nelle istituzioni mediche - è completamente pazza e dissociata moralmente e intellettualmente, vuole a tutti i costi dimostrare le sue teorie, per dire che inconsciamente uno fa, in questo caso io, quello che lei m’induce a pensare. Questi “istituzionali e non” richiederebbero una lista approfondita di nomi e fatti. Poi quella… poi quello… sono tante le persone che dovrei nominare, i fatti da raccontare gli estranei incontrati, le sfumature di ogni perché che si è ripetuto e ripete ogni volta, cambiano i fattori ma la menzogna rimane la stesse, l’inganno, l’intenzione del male. Tutti si sono arrogati il diritto di giudicare condannare, senza né sapere né capire, ma costoro non sono alla fine diversi da chi condanna e giudica con l’intendo di alimentare l’odio e la menzogna. È un miracolo che sia ancora vivo, un paio di volte hanno provocato degli incidenti contro la mia vita, ma non è servito a nulla, si continua imperterriti verso la distruzione. Chi è così preso da ciò è ormai affetto da una dannazione che lo giubila, da un terrore che lo spaventa così bene che in fretta né dimentica la responsabilità. Sia esso stato, famiglia o religione o altro. Come da curriculum.
Non so se è più il caso di bussare, credo che nessuno risponderebbe. Si salvi chi può, chi non ha colpe.
L’Urlo della Fine
Molto tempo fa due bambini piccoli stavano giocando. Quello più piccolo dice a quello più grande: “Lo sai se io di dico guarda e contemporaneamente ti indico con la mano dove guardare tu ci guardi.” Il bambino più piccolo fece questa azione a quello più grande, guardò dove gli fu indicato. Il bambino più grande disse a quello più piccolo: “Anche io se ti dico guarda e ti indico dove guardare tu ci guardi.” Certo rispose il bambino più piccolo. Tornarono a giocare ma mentre il bambino più piccolo continuò come prima, il bambino più grande in mezzo a un gioco o a una frase, scambiata con il bambino più piccolo, all’improvviso diceva: “Guarda!” E indicava dove guardare, oppure: “Guarda qui!” E indicava dove guardare. Il bambino più piccolo guardava dove gli diceva quello più grande, ma dove guardava non c’era niente da guardare e il bambino più grande non gli diceva cosa e perché dovesse guardare dove gli indicava. Il bambino più piccolo disse a quello più grande, va bene ho capito, ma adesso continuiamo a giocare, se continui a fare così, senza motivo, diventi scemo.
Molti anni dopo…
Siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii Noooooooooooooooo. Una persona stava seduta sul balcone di una casa, il cielo era ormai buio, la sera inoltrata. Osservava la gente che partecipava alla festa che si svolgeva sotto la casa. Aveva i pensieri in continua tensione, ormai da diverso tempo dovunque andasse incontrava gente che continuamente gli faceva gesti e cenni per attirare la sua attenzione e poi non dirgli niente, persone che gli intralciavano il cammino per costringerlo a spostarsi. Quando parlava con qualcuno gli venivano fatte continuamente domande che l’interlocutore formulava come risposte, che lo lasciavano interdetto, oppure continuamente domande, a cui non riusciva a rispondere; ogni volta, con un cenno della mano lo interrompevano. Ormai i discorsi con la gente erano diventati impossibili, era costretto ad ascoltare continuamente un mare di frasi piene di allusioni, fuori dall’argomento trattato, che così diventava ipotetico, era altro; quel che si voleva dire non era mai pronunciato con chiarezza. Certe volte poteva capitargli, ad esempio, di fare uno sbadiglio e alzare la mano per coprirsi la bocca, se qualcuno vedeva quello che aveva fatto, subito gli accadeva di incontrare persone che facevano finta di sbadigliare e alzavano la mano, o che alzavano la mano davanti alla bocca senza sbadigliare, tutto questo ripetuto all’infinito. Come un’infinita serie di manie; ogni cosa che si incrociava con un’altra e che si associava ad un’altra veniva ripetuta all’infinito. Era diventata una vita impossibile sovrumana. Tutto quello che era sempre avvenuto normalmente, tutti quei comportamenti che potevano avere un senso, non avevano più alcun senso, e non era plausibile pensare ad un mondo di cafoni. In realtà si era diffusa una sorta di pazzia collettiva, tutti nel fare queste cose si sentivano potenti, e in questa euforia collettiva erano arrivati a credere che quel tipo sul balcone non sapesse niente, non conoscesse quei comportamenti e non si accorgesse di niente. Prima di questo nessuno ne parlava, perché ognuno credeva di essere l’unico a conoscere queste cose, poi quando si accorsero che altri sapevano “queste cose” dissero che solo quello sul balcone, non sapeva “queste cose”. E incominciarono a tormentarlo, ma soprattutto a non farlo parlare, perché ognuno voleva credere di essere stato il primo ad aver scoperto e conoscere qualche “ nuova mania”. Lui non aveva capito perché il mondo fosse completamente impazzito e si chiedeva come fosse possibile vivere in un mondo siffatto. Mentre stava cercando di pensare a tutto questo una farfalla notturna, una falena si posò sopra la ringhiera di quel balcone, vicina al suo sguardo, lui l’osservo, era piena di vita, ma intorno a lui continuavano con quei gesti senza risposta, a richiamare la sua attenzione e sentiva provenire dalla folla quei siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii e quei nooooooooooooo in corrispondenza delle azioni che faceva o che vedeva. Guardò la falena, era immobile, d’improvviso le sue zampe cedettero, di schianto, cadde dalla ringhiera giù, verso il basso, col peso di miliardi di tonnellate nelle ali, come tutto il tempo - in quell’istante - lui pronunciò con il pensiero la parola No! e dalla folla sotto casa sentì: noooooooooooooooo, ma era un no cosi inconsapevole, ignaro di quel che era accaduto, un no assurdo come la violenza. Nel momento in cui la falena morì sprigionò un infrasuono così forte che attraversò case, città mari montagne e su tutta la terra si udì il suono della sua morte, solo l’uomo non seppe di udirlo.
Lettera da una sconosciuta/o
Gentile signore so che quello che sto per dirle le apparirà a dir poco strano, per questo mi affretto a dirle ch’è qualcosa che anche per me è difficile definire, come un evento che riguarda la sfera della bellezza e dell’essere sani. Ma il mio intento per quanto possa apparire contraddittorio, dato il mio anonimato, è tutt’altro che in sintonia con ciò che le racconterò. Le dico inoltre che al mio stato di anonimato, sono pronto a rinunciarvi, qualora gli eventi lo ritenessero indispensabile. Mi permetta quindi di raccontarle i fatti, nel modo più breve e conciso, facendo una premessa, per quando mi è possibile esplicativa.
Non molto tempo fa sono venuto a conoscenza, in circostanze del tutto fortuite di un’azione tutt’altro che edificante che delle persone compiono nei suoi riguardi. La natura delle loro azioni li rende a dir poco, pericolosi per loro stessi e per gli altri, giacché è del tutto indefinibile quale sia il reale perché e le conseguenze a cui possono portare tali azioni, la linea di “confine è superata da queste persone senza nessuna percezione di quale sia il senso della realtà.
Sono sicuro che nello svolgere la sua vita lei sia motivato dalla sua esperienza, dalle sue conoscenze, dalla cultura che ha deciso di acquisire, dal gusto e i concetti che ha formato nel cammino della sua vita, dalla scoperta sempre innovativa che il presente che continuamente si rinnova le prospetta. Immagino che nella sua casa ci siano mille e più colori, oggetti di forma e uso diverso, forme e luoghi che lei conosce. So che dove abita lei le strade, ogni giorno, sono attraversate da ogni cenere di veicolo, persona, in cielo passano aeroplani e uccelli, quando esce di casa trova alberi, altre case manifesti, insomma le cose comuni che credo di conoscere anche io e con cui molte persone convivono quotidianamente tra le infinite sfaccettature delle loro relazioni personali e non. Ora per cercare di spiegarle quello che avviene le dico di immaginare di uscire di casa e fare una cosa che fa abitualmente, quando lei compirà ciò incontrerà delle persone, degli oggetti, quel giorno può darsi che pioverà, e mentre lei se ne va tranquillo per i fatti suoi qualcuno, per esempio parcheggia la macchina, un’altra persona le passa davanti con un paio di scarpe bianche, lei saluta qualcuno che conosce, una donna attira la sua attenzione, ma non le fa vedere il viso, sale su un motorino di un certo colore e va via. Le ho detto tutto questo perché questi episodi sono legati tra loro e queste persone che ha incontrato finiranno per far parte della sua vita senza che lei ne sappia niente. Naturalmente mentre tornerà a casa rivedrà pressappoco le stesse cose accadere del tutto casualmente, quante macchine vedrà parcheggiare, chissà quante paia di scarpe bianche incontrerà, chissà quanta altra gente saluterà. Ma lo stesso quelle persone, per un fine che risulta incomprensibile alla mia conoscenza, incominceranno, davanti a lei, ogni volta che potranno, a ripetere quelle cose fatte. Questo perché lei faccia la cosa che ha fatto quella prima volta che le ha incontrate e che inevitabilmente, lei, prima poi farà ancora. Ma dalla prima volta lei le ha incontrate in molti altri posti, ci sono state delle variazioni, e allora ricominceranno da capo magari aggiungendo qualcosa di nuovo. Come parcheggiare la macchina, magari la stessa persona che vide, con una macchina diversa. Le passerà davanti la stessa persona con le scarpe bianche, poi magari la vedrà con lo stesso paia di scarpe, ma di colore diverso. Poi vedrà la stessa persona che parcheggiò la macchina passarle davanti con le scarpe bianche, e la persona che portava le scarpe bianche, parcheggiare la macchina. Nel frattempo la saluteranno continuamente, anche senza motivo, sperando che lei così si arrabbi con la persona che salutò e che con questa storia non c’entra niente. Naturalmente sarà coinvolto anche nelle variazioni che riguardano la ragazza, che intravide sul motorino. E questo è qualcosa che per quanto mi impegni non riesco a comprendere, perché questa ragazza ha nascosto il suo viso per farsi desiderare da lei? E perché lei per questo dovrebbe desiderarla? Se il desiderio della ragazza nei suoi confronti è reale non è più sensato che si presenti, che le dica quello che sente, quello che vorrebbe da lei? Ma la cosa più inverosimile, il motivo per cui le scrivo, è quello che sto per dirle, giacché tutte le cose che questi individui hanno fatto, con tutte le possibili variazioni, e riduzione, fino all’ottusità, le ripetono sotto casa sua, mentre lei sta facendo quello che le pare e piace, per vedere se farà quello che passa loro per la testa. Capirà che anche per me è a dir poco incomprensibile tutto ciò, forse lei è a conoscenza di qualcosa che possa spiegare tutto questo, forse qualcosa che aveva un senso è stato così distorto da perdere ogni verosimiglianza con esso. Il perché e se c’è qualcuno che ha provocato tutto questo contro di lei per il momento mi è oscuro, ma stia tranquillo nel qual caso mi riprometto di informala. Comprendo che tutto ciò sia alquanto inquietante, per questo le chiedo ancora di scusarmi dell’anonimato.
Una strana fama letteraria
…indubbiamente la stranezza di certi posti può, ma forse è meglio dire certe epoche bizzarre, creare fenomeni di così paradossale espressione, che appunto in quella determinata epoca appaiono plausibili e logici.
- Come si accorse di quello che le stava avvenendo intorno?
- Come, come me ne sono accorto? Avevo dato in lettura il manoscritto… (continua)
…il giocatore avanza sulla fascia, arriva sul fondo entra in aria dal lato sinistro, si spinge sino al limite dell’aria piccola, sta per calciare verso la porta, interviene un avversario, la palla rimbalza, uno spettatore seduto sulle gradinate, in segno di disappunto esclama: “E su!” ma la palla giunge ad un compagno di squadra: calcia. Goal! Tutti si alzano in piedi in segno di gioia, anche il tifoso che un attimo prima aveva temuto che l’azione fosse sfumata, poi torna a sedersi mentre intorno a lui tutti restano in piedi. Finita la partita quel tifoso torna a casa soddisfatto per l’avvenuta vittoria della sua squadra, ma tra i tifosi si stava diffondendo la voce che lui con quel “E su!” detto prima del goal, avesse fatto alzare in piedi l’intero stadio e che perciò lo avesse detto a posta.
Ora immaginando un mondo con un certo equilibrio tutto ciò può sembrare assurdo, tanto più quello che poi seguì. Infatti da quel giorno ogni volta che quel tifoso tornava allo stadio e si sedeva tranquillamente per guardare la partita, qualcuno il più delle volte uno sconosciuto, gli si sedeva vicino e incominciava ad alludere a quell’episodio. Nessuno aveva il coraggio di dirgli quel che pensavano, perché tutti sapevano che quel che pensavano era una cosa completamente da matti e nessuno voleva dichiararsi tale, o lasciare che altri pensassero tal cosa di loro. Ma il loro alludere era ancor più folle di quel che immaginavano volesse significare quel “E su!” pronunciato dal quel tifoso, infatti successe che finirono col pronunciare quel “E su!” ogni volta che un giocatore si avvicinava alla porta con la palla, per vedere se così, poi, avesse segnato, ma anche perché qualcuno aveva ipotizzato un accordo tra il calciatore e il tifoso, altrimenti come poteva accadere, dicevano, una coincidenza di quel tipo; così in questo modo, immaginavano, che se il tifoso si fosse accorto di quel che facevano, voleva dire che era vero, che si era accordato con il calciatore e che aveva detto quel “E su!” per fare alzare in piedi lo stadio. Ma il loro tentativo di far riconoscere al tifoso quel che immaginavano come vero, non si esauriva a questa cosa, già di per se incredibile, ma si univa e moltiplicava in altri comportamenti alquanto bizzarri. Del tipo che magari due o più persone si mettevano d’accordo tra loro e allora una diceva guardando la partita: “E su!” l’altra come sentiva quel “E su!” si alzava in pedi, un’altra diceva tira la palla “giù” avanti, e quello che si era alzato in piedi tornava a sedersi. Un altro alzava il braccio e due o tre persone si alzavano contemporaneamente a quel gesto. Tutto ciò in continuazione. Accadeva anche, che quel tifoso che disse “E su!” si alzasse del tutto naturalmente, all’improvviso, per imprecare per un’azione sbagliata da un giocatore, o per qualche decisione arbitrale e che qualche altra persona, in quel momento si alzasse, chi prima di lui, chi insieme, altre dopo e che mentre tornava a sedersi dicesse: “Porca vacca doveva portare la palla giù in fondo alla fascia prima di crossare.” E quelli che si erano alzati intorno a lui tornavano a sedersi. Subito, quelli che si erano accordati tra loro incominciavano a dire: “Vedi!” come per dire lo sa anche lui e si è messo d’accordo con degli altri; dicevano solo quel “Vedi!” senza senso, da scemi, il resto continuavano a crederlo senza dirlo. E a forza di pensare e agire così, non solo complicavano la vita al tifoso - che incominciava a credere di essere attorniato da gente molesta, ma anche la loro, che oramai vivevano in funzione di quel modo d’essere e la “partita di calcio” non aveva più il suo senso, alcun senso reale. Allora chiamarono “l’esperto” che ad insaputa del tifoso, che ne capì le molestie, finì grazie ad esse per rimbambire da solo, e comportarsi ancor più da scemo di chi lo aveva chiamato. Grazie all’esperto capirono che il tifoso non era d’accordo con nessuno, e l’esperto disse loro per giustificare il fatto del suo rimbambimento, che quel tifoso si comportava in maniera normale perché così li avrebbe costretti ad ammettere che i matti erano loro. Allora smisero di mettersi d’accordo, ma si comportarono in base a quello che accadeva loro intorno, come ora dicevano, aveva fatto quella volta che si era alzato in piedi il tifoso. E così finì che anche la naturalità diventò innaturale e pian piano perse il senso e il significato reale e anch’essa si trasformò in menzogna. Non ci si capiva più niente ed erano sempre più coloro che perdevano la bussola. C’erano quelli che ancora si mettevano d’accordo tra loro: i maniaci più incalliti, e quelli che invece non si accordavano; e oramai le persone naturali non riuscivano più ad incontrarsi, tanto poche ne erano rimaste.
Ognuno pensava che se avesse detto ad un altro che era matto, perché faceva quelle cose, gli rispondesse che il matto era lui che le immaginava; e così tutti continuavano a comportarsi da matti per indurre gli altri a dire che erano dei matti e così potevano rispondere, che loro erano i matti. In realtà erano diventati tutti matti, lo sapevano ma lo accettavano e così continuavano ad esserlo e l’unica cosa che volevano, non era non essere più innaturali, ma che tutti fossero come loro. Un giorno guardando la partita, quel tifoso, appena il calciatore entrò in aria e ci fu un contrasto al limite dell’aria piccola esclamò: “E su!” e quelli di sempre dissero: “Finalmente!” come a dire, ha ammesso anche lui di essere innaturale, e la cosa è inutile dirlo era diventata ancor più innaturale di quando era “iniziata”, incredibilmente innaturale; quel giorno il tifoso capì che le partite di calcio da quella cosa meravigliosa che erano, erano diventate un gran rottura di coglioni e pensò: chissà se ci sarà ancora un posto dove godere della bellezza della vita, e chissà se c’è ancora qualcuno con cui goderla. Ma!
…(continua)
nel raccontare il goal abbiamo perso la storia narrata dal protagonista dello strano caso di fama letteraria. Cercherò di riassumerla brevemente in base a ciò che mi ha detto.
In sostanza è accaduto che dopo aver dato in lettura il romanzo, nella fattispecie ad una casa editrice ed una persona privata, combinazione ha voluto che il giorno susseguente la consegna a quest’ultima dovunque l’autore andasse sentiva allusioni precise dei fatti raccontati nel libro, in particolare di quelli che per l’opinione pubblica del posto apparivano più scandalosi. Naturalmente nessuno si rivolgeva a lui personalmente, ma ne parlavano in sua presenza. Chi e cosa avesse generato tutto ciò non lo si può dire con certezza, giacché anche qualcun altro oltre i succitati poteva carpire i fatti scritti nel libro e provocare questa strana forma di fama letteraria. La persona privata a cui era stato consegnato il libro poteva averne parlato con altri, con il suo analista; o all’interno della casa editrice c’era qualche strano personaggio che si prestava a strani giochi. Infatti quello che il parlare del libro denotava era l’intendo di offendere l’autore per i fatti che vi erano narrati, senza neanche avere l’opportuna consapevolezza di distinguere tra il protagonista del romanzo e il suo autore, un clima che ondeggiava tra il bigotto perbenismo e la più schiatta e misera volgarità.
Cosa aveva determinato tutto ciò e perché? Facendo un’indagine e chiedendo in giro è venuto fuori che c’erano dei “personaggi” che imbeccavano questi parlatori, riferendo loro quello che dovevano dire e a che scopo. In modo di forviare la verità. Fatto sta, chi per vanità, chi per ignoranza, accadeva che costoro finissero per prestarsi a fare qualcosa che era tutt’altro che moralmente corretto. Con la tecnica della maldicenza parlavano alle spalle di qualcuno che conoscevano solo in base a quello che gli era stato detto da estranei e che per vanità, loro, avevano creduto, senza capire quale fosse la verità.
L’autore del libro mi ha parlato della sensazione che gli procurava tutto ciò, dicendo che era come se una donna gli si masturbasse nuda davanti agli occhi, pensandolo, “e che come lui stava per chiederle se non fosse meglio facessero all’amore, ancor prima, lei le rispondeva di no.” Era questo che più lo disturbava. Per quando riguardava la fama in sé, mi disse che non c’era molto da dire, perché non aveva nessuna certezza che proprio del suo libro parlassero, non sapeva affatto degli individui che andavano ad imbeccare la gente per fargli dire quelle cose, poteva sospettare delle persone che lui sapeva essere in relazione con il libro, ma ad indagare, in fondo che ne avrebbe ricavato, se non l’ulteriore dimostrazione che era meglio non fidarsi. In aggiunta a questo mi disse che di per se la popolarità di una sua opera lo poteva toccare riguardo un suo stato d’animo interiore, ma di certo non gli avrebbe causato la perdita della sua integrità creativa, per lui è questo il massimo del successo, l’affetto anonimo degli altri è qualcosa che riguarda più il libro, l’opera in sé che la totale vita del sua autore. Fu proprio questo a far degenerare ancor di più lo stato delle cose, perché quando le persone coinvolte si resero conto che quel che suscitavano nell’autore non corrispondeva a quel che loro immaginavano, per rabbia invece di prendersela con se stessi per la loro vanità, ignoranza o per aver creduto a chi li aveva ingannati, continuarono a credere ancora a questi ultimi, e fecero come questi, nella loro follia gli dissero di fare. Così cominciarono a trasformare quello che può avvenire in un normale colloquio tra persone, in qualcosa di diabolico e malato: incominciarono a parlare e commentare tra di loro quello che l’autore faceva - in sua presenza - e come se non bastasse in aggiunta, alludevano alle conclusioni che pensavano che il loro parlare suscitasse nell’autore, credendo che tutto accedesse come lo immaginavano. Come è ovvio successe che tutti incominciarono a impazzire, a credere vero solo ciò che immaginavano, non quello che in realtà era; con il tempo finirono per commentarsi quello che facevano l’un l’altro, ma non era più come quando le cose accadevano naturalmente, perché tutto ciò aumentava l’immaginazione a discapito della realtà. E così successe che tutti i loro discorsi erano determinati più da quello che immaginavano, che dalla realtà. Che tutti vivessero sempre più nell’immaginazione del reale, e con la paura, l’angoscia di scoprire la realtà. E in questa situazione finivano preda dell’odio.
Il problema dell’autore era diventato quello di non avere più una relazione con chi che sia plausibile, e le possibilità che la sua opere fosse compresa per quel che era e accettata, alquanto incerte; la realtà e l’oggettività della sua opera d’arte non poteva essere compresa in un mondo che non sapeva più distinguere tra una sana immaginazione e una sana realtà. Solo nel suo essere scrittore, era rimasta la sua possibilità di poter integrare la fantasia con la realtà senza che si sovrapponessero l’una sull’altra.
L’inconveniente più grande per l’autore fu quello dell’amore con le donne, giacché era diventato impossibile entrare in relazione con loro, se non attraverso un’elaborata rete di sovrastrutture fantastiche immaginative, per condizionare quella che loro chiamavano realtà. Così accadde che dire ad una donna ti amo, ho voglia di fare all’amore con te, non significasse più quello che aveva sempre voluto dire, e che per chiederle ciò bisognasse dirle, per esempio: il tappeto è un carciofo incartato e costa molto, e lei così avrebbe capito che l’amavi: L’autore non è mai riuscito a capire come si facesse, e se c’è stata qualche donna che gli ha detto che lo amava in questo modo non è stato in grado di capirlo, però di una cosa è sicuro, che una volta, parlando di broccoli o di tappeti, o di soldi con qualcuno, mentre per caso passava di lì una donna, quella sicuramente capì che diceva che l’amava, e gli rispose parlando con la sua amica, dicendo: il mattone è riscaldato, per dirgli che a lei lui piaceva, ma naturalmente l’autore non capì e lei si incazzo a tal punto che gli si mostrò dinanzi e gli disse: impianto stereo e video cassetta, gli fece un gesto e se ne andò e l’autore nella sua dabbenaggine disse: Ma chi è?!
Il Seguito del Libro
Parte II
Primo Commento
L’eternità dell’uomo, neanche la sua illusione può essere considerata eterna, forse, l’uomo nella sua assoluta convinzione può dire eterna soltanto la polvere di cui è composto, quella polvere che nel suo divenire torna alla sua organizzazione primaria, dopo che per un breve istante si è organizzata per diventare materia umana, ma che cosa ha che fare l’uomo con questo sviluppo. Non è forse avvenuto a sua insaputa, non si è trovato ad essere materia organizzata già prima che tale materia potesse soltanto chiedersi cosa fosse? E questa materia cosa è stata capace di creare in rapporto con l’eternità? Quale primaria conoscenza possiede per poter creare qualcosa che abbia a che fare con la realtà dell’eternità: soltanto la conoscenza di essere polvere organizzata che tornerà polvere. A questa conoscenza l’uomo ha affidato la presunzione, la sua eternità; si è posto al di sopra di tutto ritenendosi come il gradino più alto di tale processo; ha dedotto che ciò bastasse per poter dire che la sua evoluzione di materia organizzata fosse la misura di tutte le altre, e questa coscienza, la coscienza dell’eternità del mondo.
E per questo l’uomo ha cominciato a generare un mondo a sua immagine e somiglianza, prendendo la materia e organizzandola in base alle sue convinzioni sul mondo, da questo è nato un mondo umano dalle più svariate cose, ma non c’è nulla di queste cose che non torni polvere, che non affidi la sua eternità al suo stato primario.
E per questo l’uomo ha generato della materia organizzata che di gran lunga supera le possibilità esistenziali di se stesso, ha affidato il suo concetto di eternità a materia organizzata priva di coscienza, e pertanto più vicina allo stato primario di polvere, è riuscito a generare una polvere, costruita attraverso la sua coscienza di essere polvere organizzata, misura di tutte le altre. Questa polvere è così forte da risultare così tanto simile all’uomo, da avere la capacità di modificare la materia organizzata umana, per trasformarla in qualcosa di diverso dalla sua naturale e primaria organizzazione. L’uomo tornerà sempre polvere, ma attraverso un processo che appartiene al suo agire, alla sua coscienza di eternità.
Secondo Commento
Da un livello superiore a questo, da uno stato d’incorruttibilità spirituale, a cui l’uomo apparteneva, rimane difficile non pensare allo stato di materia organizzata umana, in cui l’uomo è finito, come a qualcosa di diverso dall’inferno, forse un inferno consono, quasi specifico per l’essere umano, un inferno che è stato capace lui stesso di generare. Difatti la dimensione spirituale a cui in origine apparteneva, non era del tutto incorruttibile, per meglio dire era così perfetta da contenere in essa la realtà dell’incorruttibilità dell’eternità e la possibilità della sua perdita, ma allora qual era la consapevolezza dell’essere umano riguardo il suo stato di spiritualità? E perché ha scelto l’inferno umano? la perdita della sua spiritualità. A cosa può corrispondere, infatti, una condizione come quella dell’uomo, che ha perso la scelta dell’incorruttibilità spirituale, e che come riferimento della realtà dell’eternità ha solo il suo essere polvere, se non a un costante stato di dannazione? E peggiore dannazione può esserci, solo, se oltre questo stato c’è un inferno spirituale, in cui la consapevolezza della propria dannazione non cessa con la condizione di essere polvere, ma si perpetua in una condizione di spiritualità corruttibile, in antitesi alla spiritualità incorruttibile.
E se lo stato spirituale si differenzia l’uomo a quale di esso tende?
E l’uomo vuole essere in uno stato spirituale?
Il suo maggior impegno lo riversa nell’immaginare come vincere la morte, come perdere la finitezza della sua materia, come evitare l’eternità di essere polvere. Forse basta questo per dire che l’uomo nolente o volente, vuole trasformare la sua attuale condizione, il suo dolore. Eppure nel suo svolgersi al mondo, il richiamo all’eternità lo porta a perpetuare con ogni mezzo a sua disposizione, ogni idea, azione, che di per se sa di essere transitoria, finita, ininfluente e fuori dallo stesso tempo globale che si è dato, a tal punto da aver frammentando la sua condizione, in stati epoche, culture, razze, poteri che usa contro se stesso; lotta con essi contro l’altro per un frammento di tempo, per avere un attimo di sicurezza in più. Ma il paradosso di tutto ciò è che questo stato delle cose ha determinato la perdita della scelta individuale, la possibilità di ognuno di ritrovare la sua dimensione spirituale; la frammentazione artificiosa ha organizzato la materia umana in un popolo che va verso la propria sorte senza che nessuno possa farci niente, senza che nessuno possa influire sul percorso individuale dello stato della propria materia organizzata, nessuno può pensare un percorso diverso da quello comune, nel ritornare niente altro che polvere allo stato primario. Quale tragedia può superare questa consapevolezza di essere senza via di scampo.
Terzo Commento
Nel mondo può per qualcosa di inimmaginabile esistere il bene e il male? Voglio dire c’è un bene e un male che permette all’uomo di superare il suo relativismo, che gli permetta di pensarsi al di fuori del suo stato primario di polvere, che gli permetta di immaginare una condizione in cui la sua materia organizzata è la fine solo del suo stato, il limite della sua consapevolezza, che possa esistere un mondo spirituale al di là della sua consapevolezza di materia organizzata? Se esiste un bene e un male siffatto, noi siamo in grado di aprire le possibilità della nostra condizione materiale ad una condizione che le superi - non potremmo forse raggiungere questa condizione - non riusciremmo forse a rinunciare a pensare la nostra eternità in funzione della nostra condizione di polvere primaria?
Dato il nostro stato attuale di dannazione, fuori da una possibile incorruttibilità spirituale, questo male che ci trascende come influirebbe sulla nostra possibilità? Forse saremmo spinti da esso a rimanere nello stato in cui siamo, nella perdita di poter scegliere, o saremmo spinti verso quella dannazione di corruttibilità spirituale perpetua? E quale mezzo più efficace, per ottenere ciò, ci sarebbe se non quello di perpetuare un bene e un male vincolato all’interesse della percezione di eternità, legata allo stato di materia primaria, di fare di noi stessi la misura di tutto, contro quella dell’altro. Ma così, forse, questa condizione spirituale ci apparirebbe quando non c’è più tempo, quando oltre la fine dello stato di polvere la nostra condizione spirituale si è ormai determinata. Forse sarebbe bello pensare che dopo la nostra morte c’è una spiritualità incorruttibile e che l’inferno finisce con la nostra dannazione terrena, ma lo stato di spiritualità ci è così inimmaginabile che soltanto una fede oltre le nostre più autentiche possibilità può farla entrare nella nostra storia personale.
Quarto Commento
Dio, da quando è che fa parte della storia dell’uomo, da quando l’uomo ha pensato alla spiritualità, da quando l’uomo ha iniziato a guardarsi, a osservare cosa sentisse? E se non è da sempre, come ha potuto ad un certo punto accorgersi di un mondo spirituale che non esiste? Perché dentro di sé si è aperto questo spazio che lo trascende, che lo spinge nella sua storia, alla ricerca di una spiegazione che contempli uno stato organizzato, in armonia tra se e con il sentire spirituale dell’uomo? E perché questo stato è caduco, perché può chiudersi in se stesso, in una spiritualità di cui è demiurgo l’uomo stesso, che può generare morte e distruzione? Non esiste nessun Dio, l’uomo è preda delle sue fantasie, della sua paura, del suo stato destinato all’illusione dell’eternità della materia di cui è fatto: polvere. Ma allora perché ha generato questo immane scandalo della responsabilità, come ha potuto credere che della materia con un sorte determinata, acquisisse una coscienza che determinasse un qualche concetto di responsabilità? E quale responsabilità è capace di determinare una sorte diversa da quella di tornare polvere? - e dato quest’inevitabile sorte comune, dato questo tempo finito in cui tutto lo spazio dell’uomo finirà, che senso ha sottostare alle regole di una responsabilità, che vede nelle esigenze della specie la sorte di ogni individuo? In realtà, in questo stato l’uomo perde ogni responsabilità, non può essere partecipe di niente, perché niente è in grado di determinare se non la consapevolezza che la sua responsabilità è uguale a quella della materia di cui è composto, lui può essere responsabile come può esserlo la polvere in cui ritornerà.
Lo scandalo più grande è la responsabilità. Dio è lo scandalo più grande, il tempo finito dell’uomo si è rotto è andato in frantumi, si è polverizzato, lo spazio e il tempo hanno perso ogni possibilità, la storia è finita per sempre. L’uomo passo dopo passo ha dovuto rispondere alla domanda di Dio: “Che cosa stai facendo? Perché?” Dio ha posto l’uomo dinanzi al suo agire, nella visione delle conseguenze che produceva. La risposta dell’uomo è stata di chi è la colpa? Se tu sei così grande perché permetti che io sbagli, perché la durezza della tua legge colpisce inesorabilmente la mia specie? Perché per la tua dolcezza devo rinnegare me stesso? L’uomo con ogni mezzo ha chiesto a Dio cosa fare e lo ha ascoltato udendone le parole attraverso la sua coscienza, lo ha visto e ha dialogato con lui con i mezzi che aveva, con tutto se stesso a cercato di capirlo, ma la domanda di Dio era sempre quella: “Che cosa stai facendo? Perché?” La risposta dell’uomo non è stata certa, l’unica cosa che poteva vedere era quel che faceva, ma non riusciva a comprendere perché la responsabilità di quel che faceva fosse la sua e perché Dio nella sua grandezza permettesse che sbagliasse, senza fare niente affinché le conseguenze non ricadessero così pesantemente sull’uomo. La sorte dell’uomo entrava a far parte del percorso della vita di Dio, una vita che trascende quella umana.
Dio ha posto l’uomo in uno stato di spiritualità. L’Uomo ha scelto di abbandonarlo. Dio ha posto l’uomo dinanzi alle conseguenze del suo agire, perché potesse vederle e comprendesse quale fosse il suo stato e prendesse su di sé la responsabilità della sua scelta.
Lo scandalo più grande di Dio è Gesù Cristo: in un unico essere, l’uomo, la spiritualità che lo trascende e Dio stesso che trasforma la sua essenza. Quale scandalo più grande poteva accadere, se non quello della possibilità che Dio ha dato all’uomo di giudicarlo in base al metro della sua giustizia, e quale scempio più grande l’uomo poteva commettere se non quello di condannarlo a morte. Non può esserci tragedia più grande per l’uomo che condannare a morte un altro uomo, non c’è ingiustizia più grande nella storia dell’uomo come quella commessa contro Gesù Cristo. Sembra che Dio abbia detto all’uomo: ora tu mi hai giudicato e condannato ma per questo assumiti la responsabilità di quel che hai fatto, assumiti la responsabilità dei tuoi errori, ora che mi hai giudicato sei l’unico responsabile delle tue scelte, ed ora guarda qual è il tuo stato. Ma con il sacrificio estremo di Gesù Cristo si è aperta la possibilità dell’uomo di vincere la sorte comune, il gesto dell’infinità sua spiritualità ha ridato ad ogni essere umano la responsabilità di poter decidere della propria sorte individuale, di trascendere la sua condizione di polvere organizzata, di superarne attraverso la spiritualità il limite finale comune, ed ogni individuo attraverso il suo atto spirituale può ristabilire un contatto con la fede in Dio per l’eternità comune.
Quinto commento
Non so perché dopo ciò l’essere umano ancora continua a chiedere a Dio perché? Non capisco perché pretenda che quel che è accaduto a Gesù Cristo si ripeta, quasi che Dio abbia l’obbligo di dimostrare continuamente di volerlo salvare, forse perché l’essere umano ancora non ha deciso se vuol essere polvere o no. Non credo comunque sia ancora il caso di prendersela con Dio.
All’Inizio del Libro
Tic Tac la voce della pioggia
Tic Tac bagna il calore del sole come una pioggia umida dopo una tempesta nucleare – Tic Tac dopo che non si è più stabilito qual è il fine e le cose accadono perché debbono accadere; potenti e illustri sapienti, gli uni vecchi e stantii gli altri morti e dormienti perturbano insieme le membra di un’epoca senza coscienza - Tic Tac fuori mentre una puttana non racconta più nessuna storia se non quella dei suoi deboli ossequi, in onore della protuberanza omologata come uomini per ovunque. Ci riscatta la prostituta ch’è più facile che sia santa quando una puttana non sarà mai una donna Tic Tac – Tic Tac vendete la vostra coscienza all’ignoranza di una scuola, barattate la vostra libertà all’ossequio della convenienza. Leccate polverosi deretani per garantirvi la spregiudicatezza dei qualunquisti Tic Tac. Vestitevi da leccapiedi scimmiottando le epoche che non vi hanno dato che rimostranze spocchiose, assorbite il fumo che non vi ricorda niente – Tic Tac urlate incazzati quanto volete, tanto nessuno vi ascolterà – Tic Tac – soltanto la voce delle parole può cambiare le cose. Stereotipi con tre pezzi di carta e senza nessun talento che con tre tappi ostruite tutto ciò che fluisce. Non c’è nessun rispetto per nessuna lacrima che percorra le gote della schietta e sincera realtà Tic Tac. Detto di ciò che si è fatto per non sentir parlare di ciò che si fa – infuria la tempesta dove soltanto il luogo della storia non vuole affrancarsi dalla menzogna – Tic Tac – informatevi di ogni coazione a ripetere se non volete dimenticare di amare, se non volete perdere la dignità di capire, se non volete assorbire tutto ciò che ascoltate. L’omologazione sta trascinando tutto dove la sensualità a smesso di parlare. Tic Tac non rompete i coglioni – mai, per parlare come il dibattito dei vestiti confezionati sulla misura di un altro e dire con la meschinità di chi è privo di generosità: lui ha bisogno di me Tic Tac. Le epoche perdono le epoche e gli uomini non hanno molto da raccontarsi – lei masturba i pensieri e ha finito di toccare. Tic Tac la pioggia fluisce serena dal cielo, lo impolvera con i dolori dell’iride e solo colui che distende le sue lacrime tra le gocce della pioggia di una giornata di sole, forse grida così forte da oscurate all’udito della vita le voci dei mass media per sentire ancora le proprie emozioni. Tic Tac – la propria spiritualità.
…“Mi rialzo,” ma qualcuno da un’altra parte dice che si alza, forse è Gim che non osteggia nulla al tempo o forse è Giuli che non sa quello che vuole fare. Un metro di nastro, forse più o meno, aspettando che la tecnologia liberi il suo tempo, che superi il suo profitto.
Gim è incavolato perché un giovane sperimentatore ha trovato all’interno del suo corpo un particolare gene e si è affrettato a brevettarlo a suo nome per sfruttarlo economicamente. Giuli sa di avere qualcosa nel suo organismo che potrebbe essere brevettato, sta cercando di farlo lei per prima.
Giuli racconta che non si ricorda perché non riusciva a dire quello che sentiva alla persona che voleva, non si ricorda cosa aveva fatto, quando aveva aspettato che un altro le dicesse che voleva fare all’amore. Aveva inventato mille artifizi con se stessa per non dire ciò che avrebbe desiderato. Era stato tanto tempo fa in un’altra epoca del mondo, quando gli alibi avevano più importanza della realtà e capire non era la cosa giusta. Gim ricordava quella che voleva farlo innamorare senza neanche “toccarlo”, per poi digli che si era sbagliato - lei lo aveva fatto un’infinità di volte e… continuava a farlo; non c’era un motivo “reale,” ma continuava ad accadere. Era il tempo in cui la finzione era più importante della realtà. Un tempo Gim e Giuli erano stati insieme – A Gim piaceva accarezzare il pube peloso di Giuli, le piaceva baciarla quando era bagnata, eccitata. Giuli quando voleva Gim glielo diceva, o lo baciava, spesso lo toccava. Capivano chi erano e perché si volevano. (fruscio silenzioso che si posa sull’inconsistenza degli avvenimenti) Gim e Giuli non parlano di quello che vogliono - e aspettano. Gim e Giuli non hanno mai fatto all’amore - non si sono mai accarezzati con le mani dei loro pensieri. Gim e Giuli vivono insieme, ma sono seduti a un tavolo l’uno di fronte all’altra e in un locale pieno di gente - non riescono a parlare, ma rimangono seduti, ognuno con la sua sigaretta. Gim e Giuli dicono che va bene così. Fuori sul giornale c’è la notizia che un rifiuto spaziale è caduto sulla terra e per miracolo l’atmosfera non lo ha disintegrato, colpendo un essere umano che caduto, per miracolo, prima di morire ha detto: “Mi rialzo” – lo ha fatto e questa volta da un’altra parte nessuno ha detto – “dice che si alza.”
La Storia… certo è come entrare in un supermercato, vedere un prodotto sugli scaffali, del tipo di una crema per bambini. La stessa che qualche tempo prima poteva essere venduta solo in fismacioe e che ora trovi ovunque. Magari con la stessa confezione, ma con meno crema dentro, tanto per far credere costi meno…
L’Avidità… già, sembrava fatta come una cosa sensata che quella crema non potesse essere venduta da nessuno all’infuori di una fismacioe, ma era solo una questione di accumulo di denaro – o la dai a me e la vendo solo io, o io non la vendo. Era questo il ragionamento della lobby delle fismacioe, che naturalmente conveniva anche al produttore. La gente che…
La Miseria… un giorno alcune confezioni di quella crema furono vendute in una sanitaria, la lobby delle fismacioe disse alla ditta che non poteva essere fatto. Il proprietario della ditta che aveva distribuito la crema andò nella sanitaria per ritirare le confezioni della crema e disse al proprietario della sanitaria che avrebbe dovuto dichiarare, che il rappresentante della sua ditta non sapeva dell’impedimento, di cui altresì lui era a conoscenza, altrimenti lo avrebbe licenziato, alla richiesta del proprietario della sanitaria del perché avrebbe dovuto fare ciò, la buttò sul ricatto morale e nella discussione che ne seguì venne fuori che il proprietario della sanitaria era un cristiano e che quindi aveva l’obbligo morale di aiutare il rappresentante, cosa che a lui da non credente, disse non spettava. Il rappresentante non fu licenziato e il non credente evitò di pagare, forse, qualche penale dell’accordo con la lobby delle fismacioe e si tenne stretta la sua “ricchezza”.
Il Seguito del Libro
Ultima Parte
Pezzi di Lettere
1
…inconsistenza del mondo, forse è tutta nel luogo in cui mi trovo a vivere. Sai bene la situazione di futilità che quotidianamente sono, malgrado tutto costretto a subire. Credo che di quest’epoca ci sia poco, se non nulla da salvare, mi chiedo comunque e sai bene che non lascio nulla d’intentato, se ci sia una via d’uscita, pur anche utopica, ma ciò è veramente la vanità della speranza, la sola eventualità di un’utopia, nel contesto e nelle situazioni che si concatenano continuamente è qualcosa di veramente assurdo, data la necessità, l’urgenza della verità di cui vi è bisogno. Quando sono giunto su questo pianeta non prevedevo le conseguenze che la mia coscienza avrebbe subito, nel constatare che non è possibile aderire alla verità e che ogni forma di realtà è corrotta. Lo stato dei fatti non è cambiato molto dall’ultima vota che ti ho scritto, non ho ancora scoperto nessuno che sia in grado di aderire completamente alla verità, che non viva in una realtà corrotta dalla menzogna. E come ti ho detto la mia coscienza soffoca, urla, non sopporta più i limiti che le sono imposti da una falsa libertà e dall’intreccio di concussioni che ne determinano l’esistenza. La vanità del sapere, lo scopo stesso della conoscenza è soggiogato, soggetto alla malattia di una morte che non aderisce realmente a nessuna vera fede, su questo è basato l’intero sistema che costituisce le motivazioni degli abitanti di questo pianeta, un’arroganza senza mezzi termini, una vanità d’intenti e di azioni che li rende ciechi, di una cecità così grande che non lascia nessuna possibilità di guarigione. La loro contrapposizione a Dio, da cui si sono generati continua instancabile in ogni loro azione e vi aderiscono a tal punto, che finanche l’assenza di Dio è permeata dello stesso intento, combattono per un primato che non ha nessuna conoscenza, nessuna vera armonia, solo il predominio sulla verità, sulla realtà. Non sanno chi sono e tanto basta loro per non voler sapere chi è l’altro, non riconoscerne la verità. Ho bisogno per tutto questo e forse per altro di tornare, di andarmene da qui, è per questo che ti chiedo…
2
…quella volta soltanto, credo proprio di sì, ma da non confondere con il fatto di non prendere in considerazione le conseguenze, di non essere pienamente responsabili perché non c’era stata una programmazione, non era neanche qualcosa che avesse a che fare con l’istinto e basta. Il fatto era che non c’era niente intorno a me e per questo c’era tutto, che sentivo ogni nostro respiro, ogni sensazione e ti sembrerà strano, ma sentivo che non vi era nulla che corrompesse quella sensazione, quel pensiero, sentivo che tutto il tempo passato presente e futuro agiva in me in quel momento, non vi era, e non vi sarebbe potuto essere in alcun modo qualcosa che non amassi profondamente e che al contempo non profondesse amore senza alcun limite. Ero in questa dimensione, tutt’uno in essa e amavo lei, il suo corpo, così. Era tanto incredibile perché percepivo me stesso, la mia consapevolezza, mille un milione di volte più grande più profonda, la sentivo come parte di me, ma in un mondo senza più limiti, nessuna illusione. Le sensazioni del corpo erano così belle da renderlo vivo, profondamente legato ad ogni mistero della vita. Era così che ho sentivo di amarla che volevo creare con lei un figlio. Non è accaduto, ma di una cosa sono certo, se anche in quel momento i nostri corpi si fossero uniti e lei fosse stata mille volte più feconda della normalità, ma non avesse sentito tutto ciò, non sarebbe nato nessun figlio.
In realtà credo che si dovrebbe fare all’amore solo in questo stato, nessun altro ha a che fare con la realtà.
Come ti ho detto quella volta soltanto sono stato vicino alla più perfetta armonia. Quell’esperienza non è stata vana e non era nata per caso, ma per quanto sia possibile riprodurla il contesto in cui ci troviamo, quasi ne rende utopico il significato. È chiaro che il viverla in un contesto soggetto ai limiti della storia e alla cultura del momento la rendono destrutturante per il contesto stesso, in realtà equivale quasi ad un voto di castità, ma una castità che non appartiene autenticamente ad una scelta, ma è conseguenza della coerenza di voler fare all’amore. Nulla toglie che si possa amare qualcuno nella sua persona, in tutto il suo mondo, con la sensualità e sessualità, senza nessuna divisione tra il mondo sessuale, sensuale, spirituale e culturale: anche quando il contesto socio-storico-culturale dell’ambiente in cui quest’amore si determina pone dei limiti alla sua libera e naturale esistenza. Ciò che permette a questo amore di vivere è la possibilità di immutabilità, ma al contempo di cambiamento della sua forma espressiva. L’immutabilità sta nella capacità che il sentimento che determina l’intento di vivere l’amore nella sua totalità, l’uno verso l’altro, sia incorruttibile nei confronti di tutto ciò che cambia nel contesto socio-storico-culturale; la mutabilità sta nel fatto che la forma per vivere la totalità dell’amore verso l’altro cambiando non possa corrompere la realtà, trasparenza, verità del sentimento. In questo mondo frammentato dove il sesso, la cultura la spiritualità, non sanno niente l’uno dell’altro, mentendo tra loro per creare quell’illusione ipocrita che li giustifichi e legittimi agli occhi della storia, assistiamo alla caducità di ogni possibilità di sentimento, alla perdita di ogni possibilità di amare. L’amore non ammette menzogna, mai, è un fatto oggettivo.
…Non credo abbia senso parlare di amore libero nello stato in cui l’essere umano è, ma forse della possibilità della libertà dell’amore. Per questo essere coerente con questa condizione ti pone in uno stato, è più esatto dire, di astinenza delle possibilità del fare all’amore. Che senso ha fare del sesso se non si prova nessuna possibilità di sentire l’altro e attraverso il mondo dell’altro il mondo, l’intimità più profonda, ma sapere che l’indomani non ci sarà nessuna reale comunione con l’altro. E che senso ha scegliere di dare così importanza al sesso solo perché l’altro appaga il senso storico e con esso il falso istinto della procreazione.
Forse l’unica possibilità è un amore unilaterale, fare all’amore in tal modo che giunga qualcosa del tuo mondo, anche solo una parte di tutto quello di cui ti ho parlato, ma si rischia di avere “quella sensazione di scoprire una fiducia mal riposta. Forse un amore cosi, paradossalmente, avrebbe senso in una situazione estrema, dove il mondo è così spaventevole che una donna rende così reale la realtà storica da renderla ineludibile, quasi annullarla, e scoprire lì, incredibilmente dei lampi così forti per quando rapidi di amore, per salvarti…
3
…conclusione…
C’era un sentiero che non riuscivo più a comprendere, era quello che il resto del mondo non voleva conoscere ma soltanto, per il fatto che le cose non hanno conosciuto il loro reale significato non possiamo certo dire che non sappiamo quello che facciamo, ma del resto non importa realmente quello che facciamo, ma soltanto quello che gli altri non vogliono capire.
Materiale non utilizzato per il libro
Ciò che segue è materiale vario, mio e datomi da Patrizio Marozzi. Il carattere informativo di suddetto materiale può portare il lettore a deduzioni di conoscenza non corrispondenti alla realtà. Pertanto ogni comprensione non sufficiente e forviante della realtà rappresentatavi è espressione peculiare del lettore.
Manifesto per associazioni culturali
…Un’altra associazione Culturale, uh! Dimmi un po’ questi che vanno blaterando.
— Indovina un po’?! la qualità naturalmente.
— Ah! Ah! la qualità, concetto divenuto ormai astratto e del tutto inutilizzato. Vedrai che alla fin fine saranno come tutti gli altri, la solita associazione: qualunquista, spocchiosa, chiusa nel suo guscio a difendere il suo feudo appena conquistato con la saccenteria di chi blatera di cultura, ma rifiuta ogni confronto, chiusa nel suo orticello che nutre non con la “partecipazione”, ma con il numero dei biglietti paganti, attenti al consenso e a non dire mai di no a chi…
Di cosa si occuperanno?
— Di ciò che rientra nell’ambito della creatività artistica.
— E’ un po’ generica come definizione.
— L’ho pensato anch’io, ma in fondo, se avessero detto di occuparsi di Musica, Cinema, Arte figurativa ed altre… in realtà quello che interessa loro è creare un momento esterno a quello che è il mondo culturale di ogni persona, attraverso la partecipazione consapevole all’opera d’arte.
— Vuoi dire che la soggettività di ognuno si nutre e quindi viene messa in discussione attraverso il confronto con l’oggettività che si esprime per esempio attraverso la proiezione di un film, oggettività dell’opera d’arte.
Non mi sembra niente di nuovo è il senso reale di ogni vera associazione culturale.
— Be’ loro cercheranno di proporre attività che aiutino la fruizione di opere che non rientrano nei circuiti ufficiali, ciò per un confronto migliore con tutto ciò che viene dall’ufficialità, questo offrendo proposte motivate dalla loro espressione qualitativa.
— Da chi è formata questa associazione, che tipi sono?
— Sai bene che le persone che compongono ogni associazione esprimono quelli che sono i difetti e i pregi di tutti. La capacità di associarsi sta nel valorizzare le potenzialità per far si di riuscire ad integrare quelli ch’è solito definire come difetti. Per questo si rivolgono a tutti quelli che si vogliono associare con loro invitandoli a partecipare, dichiarando sempre attivamente la loro approvazione o disapprovazione costruttivamente ma senza mai perdere di vista la prerogativa qualitativa dell’associazione.
— Quando si sono costituiti, hanno uno statuto?
— L’atto costitutivo è del […] legalmente riconosciuto; lo statuto è a disposizione dei soci che ne vogliono prendere conoscenza.
— Ma insomma ora quale attività svolgono e con che mezzi?
— I mezzi per ora non sono molti, ma loro sono sicuri che cresceranno, non dimenticare che è pur sempre retta dall’attività del volontariato e in esso va trovato il tempo e le disponibilità necessarie. Ma vedi lo spirito che anima questa associazione non è quello di far qualcosa a tutti i costi, ma di riuscire con i propri mezzi a realizzare momenti di peculiarità per la crescita qualitativa degli associati.
— È per tutti questa associazione?
— La Cultura è per tutti, ma per tutti coloro che hanno l’interesse concreto d’impegnarsi per conoscere.
— E se fallissero!
— Il fallimento per loro non è contemplato, giacché non vi è nessun obbligo se non quello ludico; e la cultura, quella vera, accetta anche di morire ciò è dignitoso; ma non accetta mai di camuffarsi spacciandosi per quel che non è più. Mai!
— Be’! allora proviamo ad associarci?
Biglietto per Auguri
Bum! su per giù è ciò che hanno sentito le mie orecchie, nell’udire la parola AUGURI. Appena uscito dal caldo mondo materno, la risposta al mio primo vagito: AUGURI!
“Pur nella mia totale consapevolezza”, in compagnia dell’urlo del nascere, (l’unica vera espressione nella nostra vita) compresi l’esistenza del mistero nel mio scoprire, tra la nebbia di una vista nascente, quella strana componente dell’esistenza, vana ed inutile per molti e per molti altri ancor di più, della parola: Il nome.
Quelle strane facce che mi accerchiavano, con quello strano buco che si allargava e stringeva e che “aveva” anch’esso un nome: bocca… e quel suono che ne usciva: AUGURI AUGURI… DOVE SONO CAPITATO! ma ormai era troppo tardi…
Dopo molto, ancora mi ritrovo nato e ad ogni festa, o accenno d’essa, ma peggio, al solo mio immaginare, dire… e là! ecco subito il signor AUGURI che torna e con esso tutta l’illusione dei nomi: nomi di cose, persone, lavori, emozioni, sommersi dai nomi, con i nomi possiamo essere tutto, tranne che noi stessi; con essi ci “auguriamo” d’esistere, per vincere la paura di dover essere realmente. La vita è fatta di tanti nomi falsi, ma per fortuna in mezzo ad essi, maltrattato, affaticato c’è qualche nome vero… Tutto questo per spiegarti i miei NON AUGURI, con questo mio NON BIGLIETTO, in una NON BUSTA perfettamente sigillata, per un vero NON BIGLIETTO di NON AUGURI.
TANTI NON AUGURI PER TUTTE LE NON FESTE DELLA VITA
Una lettera di Auguri
21 Dicembre 1994
Una breve letterina, per farmi “perdonare” il fatto che a tuttora, ancora non ti ho spedito il mio biglietto di auguri; quindi non fuggire impaurita. Be’ perdonare e’ un po’ eccessivo, un essere perfetto come il sottoscritto e’ pressoché’ impossibile che sbagli, ma certe volte bisogna fare finta di essere come tutti gli altri, come voi comuni mortali.
Per queste feste ho deciso di dimenticare il mondo, ma volevo vedere se il mondo era capace di dimenticare me, ovviamente e’ inutile che ti dica cosa e’ accaduto, i quintali di posta che ho ricevuto. Ho dovuto assumere, due splendide segretarie, carine e molto “disponibili” per rispondere a tutti gli auguri che ho ricevuto. Quindi reputati molto fortunata, giacche’ il qui presente sua maestà’, IO, sta digitando per te una risposta personalmente. Non fa niente, non Occorre che ti genufletta per ringraziarmi. In realtà’ e’ anche un po’ merito tuo. Sì ho trovato interessante il tuo biglietto d’auguri.
Un filosofastro che ho conosciuto in una delle mie precedenti vite, una volta mi disse una frase che pressappoco faceva cosi’: “Penso dunque sono o esisto.” Ora leggendo la frase scritta sul tuo biglietto: “Ancora esisto!” sono rimasto alquanto perplesso; se tu dici di esistere vuol dire che dunque pensi e ciò’ lo sappiamo bene io e te, e’ una cosa impossibile.
Dopo essermi un po’ lambiccato il cervello sono giunto alla conclusione, che tu si’, effettivamente esisti, ma il merito dell’evento, della tua esistenza e’ esclusivamente mio, infatti la tua fortuna sfacciata ha voluto che tu, tra tutte le vacue cose che ti frullano nella testa, abbia incontrato l’unico pensiero reale in tuo possesso: hai pensato a me per mandarmi gli auguri, questo ti ha salvata ha dato senso a tutta la tua esistenza, almeno fino a Pasqua. Pensandomi hai dimostrato che sei in grado di realizzare con il tuo, va be’ su, cervello il pensiero.
Non c’è bisogno, non ringraziarmi, noi Dei siamo generosi alcune volte. Ringrazia la dea bendata chi ti ha fatto conoscere un tipo straordinario come me.
Come avrai ben notato la mia modestia non ha uguali, come potrebbe essere altrimenti, perciò’ facendo finta di essere un semplice mortale, anche per quest’anno di mando i miei più’ sinceri auguri e per non smentire la mia fama, aggiungo un lussorioso bacio.
Non dimenticarmi (come potresti) Tuo affettuoso, spiritoso…
Lettere Perse
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: L’amicizia
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi <[email protected]>
To: <[email protected]>
Sent: Monday, June 23, 1997 12:07 AM
Subject: L'amicizia?
> L'amicizia non nasce, ne si inventa, neanche si trova. L'amicizia è
> quell'alchimia che si genera oltre le capacità delle persone coinvolte, ma
> è proprio dall'espressione delle capacità di codeste persone che
l'amicizia
> si determina. La frequente perdita ne dimostra, paradossalmente, la sua
> natura non relativa, ma oggettiva nei confronti delle soggettività
> coinvolte, che si "dimostrano esistenti", forse, solo generando
la realtà
> attraverso
> l'espressione delle variazioni dei comportamenti, che si evolvono
> nell’invarianza dell'oggettività del valore.
> E' da chiedersi - "e' indispensabile l'amicizia?"
> BUONA NOTTE PICCOLA PROVOCATRICE.
>
> [email protected]
>
Nessuna Risposta forse per indirizzo errato?
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: L’amicizia
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi <[email protected]>
To: <[email protected]>
Sent: Wednesday, November 22, 2000 11:43 AM
Subject: I: L'amicizia?
> Credo che chiunque lei sia questo mio messaggio le apparirà bizzarro -
> guardando tra le mie vecchie cose ho trovato questa e-mail, non ricordo
> esattamente a cosa si riferiva, ma ho notato che del tutto
involontariamente
> commisi l'errore nel definire il mio indirizzo postale e quindi se lei mi
> avesse risposto si è trovata nell'impossibilità di farlo - le chiedo scusa
e
> la saluto cordialmente
> Patrizio Marozzi
> [email protected]
>
> ----- Original Message -----
> From: Patrizio Marozzi <[email protected]>
> To: <[email protected]>
> Sent: Monday, June 23, 1997 12:07 AM
> Subject: L'amicizia?
>
>
> > L'amicizia non nasce, ne si inventa, neanche si trova. L'amicizia è
> > quell'alchimia che si genera oltre le capacità delle persone
coinvolte, ma
> > è proprio dall'espressione delle capacità di codeste persone che
> l'amicizia
> > si determina. La frequente perdita ne dimostra, paradossalmente, la
sua
> > natura non relativa, ma oggettiva nei confronti delle soggettività
> > coinvolte, che si "dimostrano esistenti", forse, solo
generando la realtà
> > attraverso
> > l'espressione delle variazioni dei comportamenti, che si evolvono
> > nell'invarianza dell'oggettività del valore.
> > E' da chiedersi - "e' indispensabile l'amicizia?"
> > BUONA NOTTE PICCOLA PROVOCATRICE.
> >
> > [email protected]
> >
Nessuna risposta.
A:
Mister x
Cc:
oggetto: I: messaggio per corrispondenza
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi <[email protected]>
To: <[email protected]>
Sent: Monday, June 30, 1997 11:08 PM
Subject: messaggio per corrispondenza
> Ho trovato il tuo annuncio e pigio le lettere sulla tastiera. In questo
> momento non so bene cosa dirti, ma solo perché ho sonno.
> Per quel che ho potuto constatare in internet non ci sono dei veri
> scrittori di lettere; mi sembra più come si fa tra radioamatori che non
> sanno quello che dirsi e finiscono per dire solo se si sente o no la
> propria voce.
> Penso anche che ci vuole un po' più di semplice coraggio nel dichiarare la
> propria voglia di comunicare. diciamo chi siamo, di cosa si ha paura?! In
> un mondo zeppo di informazioni su ognuno di noi... celare un nome per
> nascondere cosa; alla fin fine siamo noi che finiamo per celarci a noi
> stessi.
> Nell'iniziare questa lettera ho avuto dei dubbi, e forse li ho tuttora.
Chi
> c'è dietro Maria C.? Chissà se lo saprò mai, giacché altra caratteristica
> di molti internauti è quella di fuggire appena hanno sentore che le parole
> incominciano a "dichiarare" se stesse, a svelare qualcosa e ci
chiedono di
> dimostrare quel che realmente pensiamo. Mentire con le parole è
l'illusione
> di chi non sa che ogni parola ci comunica sempre qualcosa di chi la dice.
> Giocare divertirsi, perché no! però esserci per non far finta di esserci,
> per non accorgersi che le cose che pensiamo di vivere ormai sono su altri
> livelli; in mondi paralleli che detengono la realtà. Il piacere di dire a
> se stessi: "eccomi qua!" mi vedo, mi sento, esisto.
> Ora me ne devo andare, se vuoi scrivermi, sono qui sotto.
>
> QUEL CHE MANCA AL "TEMPO CERTE VOLTE, E' L'OCCASIONE DI "ESISTERE
> [email protected]
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: Failed mail
----- Original Message -----
From: NTMail <[email protected]>
To: <[email protected]>
Sent: Wednesday, November 22, 2000 12:10 PM
Subject: Failed mail
> ---------------------------------------------------------------------
> Could not resolve the address "wyvern.peg.it"
> Please check you have entered the email address correctly.
>
---------------------------------------------------------------------
> Your message follows:
>
>
> >Received: from [195.223.93.165] by jonathan.jth.it (NTMail
3.03.0018/4c.adrf) with ESMTP id ja789629 for <[email protected]>;
Wed, 22 Nov 2000 12:10:25 +0100
> >Message-ID: <000701c05474$cc7c1f80$a55ddfc3@pii>
> >From: "Patrizio Marozzi" <[email protected]>
> >To: <[email protected]>
> >Subject: I: messaggio per corrispondenza
> >Date: Wed, 22 Nov 2000 12:10:13 +0100
> >MIME-Version: 1.0
> >Content-Type: text/plain;
> > charset="iso-8859-1"
> >Content-Transfer-Encoding: 8bit
> >X-Priority: 3
> >X-MSMail-Priority: Normal
> >X-Mailer: Microsoft Outlook Express 5.00.2615.200
> >X-MimeOLE: Produced By Microsoft MimeOLE V5.00.2615.200
> >
> >Credo che chiunque lei sia questo mio messaggio le apparirà bizzarro -
> >guardando tra le mie vecchie cose ho trovato questa e-mail, non
ricordo
> >esattamente a cosa si riferiva, ma ho notato che del tutto
involontariamente
> >commisi l'errore nel definire il mio indirizzo postale e quindi se lei
mi
> >avesse risposto si è trovata nell'impossibilità di farlo - le chiedo
scusa e
> >la saluto cordialmente
> >Patrizio Marozzi
> >[email protected]
> >
> >P.S.
> >Dato il mio errore e rileggendo quello che affermavo e tuttora affermo
nella
> >lettera - mi sono divertito non poco, spero sia capitato lo stesso
anche a
> >lei.
> >----- Original Message -----
> >From: Patrizio Marozzi <[email protected]>
> >To: <[email protected]>
> >Sent: Monday, June 30, 1997 11:08 PM
> >Subject: messaggio per corrispondenza
> >
> >
> >> Ho trovato il tuo annuncio e pigio le lettere sulla tastiera. In
questo
> >> momento non so bene cosa dirti, ma solo perché ho sonno.
> >> Per quel che ho potuto constatare in internet non ci sono dei
veri
> >> scrittori di lettere; mi sembra più come si fa tra radioamatori
che non
> >> sanno quello che dirsi e finiscono per dire solo se si sente o no
la
> >> propria voce.
> >> Penso anche che ci vuole un po' più di semplice coraggio nel
dichiarare la
> >> propria voglia di comunicare. diciamo chi siamo, di cosa si ha
paura?! In
> >> un mondo zeppo di informazioni su ognuno di noi... celare un nome
per
> >> nascondere cosa; alla fin fine siamo noi che finiamo per celarci
a noi
> >> stessi.
> >> Nell'iniziare questa lettera ho avuto dei dubbi, e forse li ho
tuttora.
> >Chi
> >> c'è dietro Maria C.? Chissà se lo saprò mai, giacché altra
caratteristica
> >> di molti internauti è quella di fuggire appena hanno sentore che
le parole
>
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: cica cica bum
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi <[email protected]>
To: <[…]>
Sent: Thursday, November 23, 2000 9:00 AM
Subject: I: cica cica bum
> Credo che ti sembrerò un po' bizzarro -
> guardando tra le mie vecchie cose ho trovato questa e-mail, ho notato che
> del tutto involontariamente
> commisi l'errore nel definire il mio indirizzo postale e quindi se mi
> avessi risposto ti sei trovata nell'impossibilità di farlo - ti chiedo
scusa
> e
> ti saluto cordialmente
> Patrizio Marozzi
> [email protected]
>
>
> ----- Original Message -----
> From: Patrizio Marozzi <[email protected]>
> To: <[…]>
> Sent: Friday, June 20, 1997 10:22 PM
> Subject: cica cica bum
>
>
> > Giovedì 19 Giugno 1997
> >
> > Cara Lilly, già sì, perché no. Iniziare con Cara equivale alla
> > realizzazione di un progetto. Ma dove si trova questo progetto? Dove
sta
> il
> > ricevente, o soltanto al di qua di chi invia il termine? Paradossale
> > inesistente o semplice complicato: incertezza o richiesta di
"speranza".
> La
> > speranza di un progetto è l'atto della sua attuazione, della verifica
> della
> > funzionalità del progetto nell'ambito della realtà.
> > Mi chiedo? Dove sto aspettando? E' qui il luogo dell'appuntamento, o
i
> > luoghi dello spazio che sente e non interpreta sono altrove.
> > L'AVVENIMENTO può avere luogo (sono rilassato)
> > L'UNIVERSO NELLA NOSTRA MANO
> > Lo spazio tra l'immagine e la parola è l'atto che sente, come il
luogo tra
> > la pelle della guancia e la lacrima che vi scivola sopra. La guardo
dopo
> il
> > sorriso e osservo la confidenza degli sguardi, anche io sono lì?
> > Quando tra un po' uscirò non saprò "ancora perché, ore 22,30.
> > Tutto comincia di nuovo, nuove persone che ancora non ci sono -
"Ho il tuo
> > E-Mail, ed altri due nomi. Tutto comincia è bello! Ciò ch'è stato
come
> > sarà, sarà ancora?
> > QUANDO C'E' IL SOLE.
> > Sento il suo calore anche se non lo vedo e guardo quell'immagine che
> > aspetto dove vorrei che fosse, ma che sorprendendomi mi dice dove
sto, e
> > scopro "l'immagine".
> > Ho afferrato i miei occhi ed ho guardato le cose che ho visto. Dove
le ho
> > trovate? Prima del mio sguardo, dopo ho aperto le palpebre ed esse mi
> hanno
> > visto; erano già lì quando io chiusi le mie palpebre.
> > Non ricordo più la storia, la storia è il mio avvenimento nel mondo,
l'ho
> > trovato cercando di guardare un quadro di Van Gogh, non ho potuto
perché
> > ero proprio lì, troppa emozione. Venezia è meravigliosa, ti guarda
negli
> > occhi e ti chiede di essere. Venezia.
> >
> > Scarpe COME un abbraccio
> >
> > FORTE
> > Sono tutte lì le cose che sono, vicine alla realtà che sovrasta ogni
> > debolezza, ogni paura: "il peccato, il peccato mortale è di dire
no alla
> > libertà, a quel che forte vuole vivere per esistere. Camminare dove
il
> > passo giungerà, senza "ascoltare più", ma soltanto
"sentire".
> > Mi appresto a dialogare e vorrei dire solo quello che ho da dire, in
> verità
> > non vi è altra possibilità e questa mia affermazione si perde,
> annullandosi
> > in chi la trova.
> >
> > LA FORZA CON CUI
> > CI SI PROPONE
> > UN FIORE
> >
> >
> > ED ANCHE LA
> > CHIAREZZA DI PROPOSTA
> >
> > Cara Lilly! So essere amico?
> >
> >
> > Patrizio Marozzi
> > [email protected]
>
>
Nessuna risposta. Le frasi scritte in maiuscolo sono riportate su dei poster realizzati da lei.
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: R: Schiaroli
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi <[email protected]>
To: Igor Wolfang <[email protected]>
Sent: Saturday, October 03, 1998 2:45 PM
Subject: R: R: Schiaroli
> [email protected]
>
> ----------
> Da: Igor Wolfang <[email protected]>
> A: Patrizio Marozzi <[email protected]>
> Oggetto: Re: R: Schiaroli
> Data: domenica 27 settembre 1998 16.49
>
>
>
> Patrizio Marozzi wrote:
>
> > [email protected]
> >
> > ----------
> > Da: Igor Wolfang <[email protected]>
> > A: Patrizio Marozzi <[email protected]>
> > Oggetto: Re: Schiaroli
> > Data: lunedì 13 luglio 1998 12.01
> >
> > Patrizio Marozzi wrote:
> >
> > > Le tue foto sono veramente interessanti, hai un occhio
fotografico
> molto
> > > attento al tempo dell'avvenimento che ritrai più che allo
"spazio". Per
> > > certi versi sembra che alle tue foto manchi qualcosa, forse
proprio
> > > l'apparente spazio, ma è proprio questa mancanza che ne
determina la
> > > sostanza, che fa si che sia arte con una sua, tua peculiarità.
In
> > > equilibrio verso il tempo che si sente.
> > > ciao
> > > patrizio
> >
> > Ciao,
> > ti ringrazio del commento e sopratutto sono felice che trovi
interessanti
> > le
> > mie foto......
> > sono un fotografo d'istinto e non capisco bene cosa intendi per
> spazio..non
> > so se nella
> > fotografia sia importante lo spazio e il suo equilbrio con il
> > tempo....forse
> > proprio perche' ho sempre
> > scattato senza conoscere fino in fondo molti dei concetti
fondamentali di
> > questa disciplina......
> >
> > ciao
> >
> > Igor Wolfang Schiaroli
> >
> > Ciao,
> > Quando penso allo spazio in fotografia mi viene in mente il concetto
di
> > dimensione, ma come concetto di percezione del senso. Immaginando una
> foto,
> > la sua altezza e larghezza, penso alla sua terza dimensione come la
> > profondità che si realizza attraverso lo spazio e il tempo che in
essa vi
> > viene ritratto: l'avvenimento, ma l'avvenimento non è soltanto il
fatto
> che
> > in essa vi viene ritratto, ma il senso che da esso viene espresso -
da un
> > gesto, una linea che va e conduce attraverso questo gesto e che si
> esprime
> > nella fisicità di ciò che è fotografato; che va e conduce
l'osservatore
> > verso il tempo e lo spazio, attraversando il senso che l'autore della
> > fotografia ha espresso e che è rivelato dall'oggettività della
> fotografia.
> > Questa percezione dell'osservatore che si coniuga con "l'occhio
> > fotografico" dell'artista fanno si che l'immagine fotografica
possa
> > approdare a ciò che forse può essere definita la sua quarta
dimensione:
> la
> > fusione dello spazio e del tempo attraverso il senso, il suono della
> luce,
> > una luce che a questo punto non è più l'oggetto del diaframma, ma
diventa
> > l'essenza stessa e l'oggettiva presenza dell'arte all'interno del
tempo
> > umano che osserva il tempo.
> > Io penso che in questo senso il migliore fotografo che ci sia stato è
Van
> > Gog, capire Vag Gog è entrare in contatto con l'essenza stessa della
> > fotografia. Qualcuno molto istruito ma poco colto come Sgarbi ha
detto
> che
> > Vag Gog non sapeva dipingere; questa è anche un po' la differenza che
> passa
> > tra un artista e non Sgarbi per l'appunto, tra un "artista"
che usa la
> > fotografia per esprimersi e chi è un fotografo istruito. Faccio
questo
> > esempio un po' approssimativo per dirti che quando parlo di occhio
> > fotografico mi riferisco alla poetica dell'artista che fotografa,
alla
> sua
> > ragion d'essere: questo fa si che l'arte e in questo caso l'arte
della
> > fotografia diventi una disciplina, campo di ricerca. (I discorsi che
> fanno
> > i fotografi dei fotoclub li trovo più passatempi che girano intorno
alla
> > tecnologia della fotografia che alla sua reale capacità espressiva).
Da
> > questo punto di osservazione ho guardato le tue foto, punto di
> osservazione
> > che è parte della mia poetica espressiva.
> > La peculiarità che ho percepito nelle tue fotografie è quella di
ridurre
> > l'avvenimento ritratto ad un'essenza che ne enfatizza la
frammentazione,
> > quasi a dire che quello che vediamo non è più parte di ciò che è
stato ma
> > un suo divenire, mi viene in mente la foto intitolata girotondo dove
il
> > senso di quel gioco ci è si restituito, ma solo perché quel che ne
resta
> > nella fotografia è l'abbraccio che esprime, ma ora, nel frammento
> > fotografico è diventato un abbraccio che va verso altri luoghi...
Quella
> > del funambolo, scusa ma in questo momento ho l'immagine della foto in
> testa
> > ma non ricordo il suo titolo; dove la foto è attraversata da linee e
> > l'inquadratura riduce e "cerca" lo spazio verso una
verticale che è
> > l'immagine dell'orizzontalità della corda che viene attraversata dal
> > protagonista della foto - il funambolo.
> > Spero di essere riuscito a rispondere alle tue osservazioni, un
saluto
> > Patrizio Marozzi.
> >
> > P.S.
> > Sono andato a vedere, ora, nel sito di net-art per leggere il titolo,
ma
> > non so perché la parte che riguarda la galleria non si apre.
> > Ti mando questo messaggio in questa forma, ma no so se ho infranto
> qualche
> > regola burocratica degli internauti...
>
> Ciao,
> mi scuso per non averti risposto prima a causa di
> numerosi viaggi fatti in
> questo periodo...
>
> Sarei felice di continuare uno scambio di mail , sopratutto per le
> interessantissime parole delle tue precedenti..
>
> UN BREVE SALUTO
>
> Igor
> ----------
> Ciao,
> Spero che i tuoi viaggi ti siano stai utili e che ti abbiano portato i
> cambiamenti che ogni viaggiatore ricerca...
> Per quello che riguarda il tuo invito per uno scambio di mail sono
> disponibile; nelle possibilità della virtualità, ma anche nella
> consapevolezza dei suoi limiti.
> Ti saluto e ti auguro una buona Domenica
> Ciao
> Patrizio
Nessun seguito.
Lettere Rubate
Porto d’Ascoli, 21 Maggio 1997
Meravigliosa creature di Dio, (non riesco ad immaginare altro creatore che lui, capace di un risultato così bello; devo riconoscerlo in questo caso mi ha superato.) ho da poco ricevuto il tuo catalogo e ti ringrazio; ed ho acceso il computer e mi sono messo a scrivere le mie impressioni, in modo che i miei pensieri vengano formulati e letti come un impatto immediato con le tue opere.
Io credo (so) che dietro ogni azione artistica il concetto di esperienza vissuta si colloca in uno spazio elaborativo altro da quello della pura consapevolezza, ma in questa analisi e coscienza di questo verificarsi, l’artista coniuga con il proprio esistere la disciplina della sua azione progettuale. I risvolti che ci chiamano che ci dicono, portano il gesto creativo, dove un’immagine ci spinge all’agire, spesso prima ancora che noi siamo consapevoli della rappresentazione oggettiva di quest’immagine, da cui ricaviamo energia dentro lo scrigno alchemico della nostra esistenza.
Chi siamo e chi c’è dove noi siamo? Siamo soli o apparteniamo all’intero “tempo” dell’esistenza umana? E qual è il disvelamento a cui andiamo incontro quando generiamo “un passo” oltre noi stessi, nella realizzazione di un’opera artistica? La risposta la troviamo in parte proprio nel compimento dell’opera; in parte perché non assoluta in riferimento all’intera vita, ma compiuta nella sua rappresentazione segnica e simbolica, dove afferrare l’evoluzione dello “stato” del progetto in divenire è l’espressione della sua compiutezza.
In questo momento sto guardando fuori dalla finestra e mi accorgo che è iniziato a piovere; la mia bicicletta si sta bagnando, ma io sono seduto, qui, davanti al computer e non la vedo, ma la posso immaginare, e questa immagine può spingermi ad andare fuori e metterla in ’garage o restare qui e lasciare che si bagni. L’immagine della bicicletta che si bagna ha generato in me dell’energia psichica, che si sviluppa in una azione empirica “consapevole”. Ora saltando vari passaggi, pensiamo al formarsi di un’immagine tanto profonda dentro di noi da non saperne distinguere con chiarezza la forma, ma di cui avvertiamo, forte, l’energia; quest’energia inevitabilmente genera in noi un’esperienza psichica, che si trasforma in un’azione empirica per la comprensione nostra e di questa immagine. In questo processo dell’energia archetipa c’è la matrice originale di ogni azione. Superando parte delle elaborazioni psicanalitiche di tale esperienza, è impossibile non riflettere su di essa per la comprensione di quei processi creativi, che hanno una qualsiasi reale e seria espressione. Penso a Pollock che ha attraversato questo processo, ma razionalizzando e rendendo concettuale i processi “psichici” junghiani. Ma li vedo veramente “concepiti”, nella ferrea e assoluta disciplina progettuale di Vag Gog, ancora incompreso ma “inconsciamente” apprezzato. Non mi piace citare scusa.
Meravigliosa creatura di Dio ti ho parlato di queste cose, perché penso che le tue opere siano spinte verso la ricerca di immagini ben precise, che non hanno nulla di astratto, ma che nell’elaborazione della destrutturazione del segno, la valenza simbolica si appresta, però, a ritrovarlo. Anche nella scelta di certi materiali che si coniugano con altri, sento la necessità di vivere un’immagine da realizzare, un’immagine rappresentativa, che già dice, ma che vuol dire che dirà. L’esigenza di capire, forse, serenamente.
Meravigliosa creatura di Dio, spero che queste mie immediate riflessioni ti siano utili.
Mi viene di dirti che se posso ti aiuterò, ma non so se sono poi così bravo.
Be’ per adesso ti saluto e spero che non ti dispiaccia se ti mando alcune mie cose; una è un piccolo saggio sulla televisione ed altro che ho fatto in occasione di una mostra che ho curato; e un’altra è un racconto che ho or or spedito a quei puzzoni di nuovi argomenti, sperando che lo pubblichino. È un lavoro che è nato in occasione di un altra mostra che ho curato. Pensando alla stronza (scusa la caduta) dell’artista con cui ho avuto a che fare, per fortuna ne ho tratto qualcosa di positivo. Forse questo lavoro sarà il primo capitolo di viaggi puramente letterari che saranno fatti attraverso la tecnologia della multimedialità.
Meravigliosa creatura di Dio concedimi le eventuali imperfezioni nello svolgimento di questa lettera, ma nella piacevole urgenza che ho di spedirtela preferisco non soffermarmi oltre una breve rilettura.
a Presto
Porto d’Ascoli, Domenica 15 Giugno 1997
Meravigliosa Creatura di Dio, sono tornato Venerdì notte.
Ho guardato dentro gli occhi il mondo e ho pensato dentro al mio cuore una città. Ho amato profondamente Venezia; meraviglioso pensiero di vita, meravigliosa “nello stupirti” ché tutto quel che ti fa sentire è vero. Dove sono stato tutto questo tempo —Nell’illusione che quel che avevo intorno fosse la realtà, quante volte mi sono sentito un fantasma, per scoprire ora che quel che avevo sempre visto come realtà non è neppure illusione, ma solo povera misera paura, è il peccato mortale nei confronti della vita. La realtà dei valori è immensa, nonostante tanta cecità, nonostante tanta volgarità.
Venezia è generosa, e per questo meravigliosamente esigente. Venezia ama e non accetta che le si impedisca ciò, ma per prendere questo amore devi chiedere tutto a te stesso, devi essere pronto e all’altezza. Venezia ti mostra al mondo per quello che sei, ma puoi essere solo vero, profondamente vero, solo in tal caso ti accetta, solo così ne fai parte. È per questo che in questa città senti che l’impossibile è lì, e può accadere a te. Venezia può essere più forte di tutta la stupidità che hai intorno.
Ho passeggiato, navigato e sentivo sulla pelle di appartenere ad un posto unico al mondo. Ho respirato con gli occhi la moltitudine di donne interessanti, ne ho afferrate due nel mio desiderio, come belle, mentre navigavo sul vaporetto. Ho ancora in me l’immagine della morbida pelle, le linee della classicità e la purezza della forma del suo orecchio. Venezia mi ha Salutato con il suo ultimo sguardo attraverso gli occhi incuriositi di una bella donna tra le braccia di un uomo.
Mariantonietta il valore dell’arte è una cosa importante, me ne sono reso conto con intensità visitando palazzo Grassi e quel meraviglioso esempio morale del Peggy Guggenheim. Ogni vera e autentica opera è un pezzo unico e irripetibile che sprigiona un’energia che solo quell’autore che la realizzata poteva dargli in rapporto al mondo. Pensare di possedere tali opere è pura illusione, tanto è forte la libertà che emanano da essere possedute solo da chi la sente. Immaginare che tali opere possono avere un prezzo è pura stupidità, è solo l’illusione di chi pensa di appropriarsi con tale mezzo di un valore che non conosce. Per questo il Guggenheim è una cosa meravigliosa.
A Palazzo Grassi ho avuto un’esperienza unica nella mia vita. C’è una bella mostra: da Van Gogh ai contemporanei, non avevo mai visto un Van Gogh con i miei occhi, è stata la prima volta. Sono riuscito a dargli solo uno sguardo, perché quanto ho visto i suoi quadri, mi è salita dentro un’emozione fortissima, sensazioni, stava per venirmi una crisi di pianto, che ha fatica ho controllato. Sono passato nell’altra sala, poi ancora Van Gogh ed ho sentito ancora questa forte emozione, un profondo “esserci stato”; ho ritentato ancora, un attimo ma non ce l’ho fatta. Sono corso a guardare Mondrian pensando che i suoi quadri mi distogliessero dal pensiero di Van Gogh. Ho attraversato la mostra cercando di non piangere e raggiungere l’uscita.
Preferisco non parlare dei miei compagni di viaggio, lo farò quanto sarà, per raccontarti un po’ di tragicomiche, per farti sorridere. Scusami, non vorrei apparirti sciocco, ma tante persone che “conosciamo”, viste lì, mettevano in evidenza il loro aspetto ridicolo dell’essere nell’arte, mostrando tutta la meschinità e povertà dei valori umani, tanto da confondere atteggiamenti di maleducazione, con atti, addirittura di vana superiorità.
Mariantonietta, nel mandarti i miei lavori, ti ho scritto questa lettera perché mi fa piacere scriverti e naturalmente aggiungo che spero d’incontrarti ancora.
A presto
Momenti dell’Arte
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: A proposito di Duchamp
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi
Sent: Sunday, October 24, 1999 12:59 PM
Subject: A proposito di Duchamp
Ieri sera ho letto buona parte dell'ultimo numero di Tema celeste, quello con in copertina la frase di John Currin - "L'arte concettuale è un losco affare che ha successo se umilia la pittura." Niente di più vero e più falso se l'arte concettuale è quella di Duchamp. Sarò breve e per quanto possibile caustico, non posso certo dire che gli argomenti sviscerati in questo numero della rivista non mi abbiano fatto riflettere su quell'aspetto dell'arte contemporanea che definirei con labile crisi d'identità; è per questo che Tema celeste è rimasta l'unica rivista cartacea d'arte che compro. Però le cose a proposito di Duchamp e quella frase di Currin mi hanno dato lo spunto per una riflessione che in pratica mi ha tenuto le sinapsi accese per parte della nottata - per tranquillizzarvi vi dico che quello che vi scriverò è la versione, direi sintetica-enunciativa del prodotto delle mie sinapsi.
Lungo il tempo dell'arte ci sono artisti che con le loro opere riescono a chiudere ed aprire l'intero spazio dell'arte e dell'essere artisti: Duchamp è uno di questi e quella frase di Currin ha significato proprio perché nessuno meglio di Duchamp l'a rappresentata - Duchamp con la sua azione ha chiuso lo spazio concettuale per aprirlo alla consapevolezza del, e dell'essere artista, in questa prospettiva non ha alcun senso lo schieramento "concettuale" sul modo di fare arte; può avere partecipazione e valenza solo quello di essere artisti o non nel determinare l'oggettività della propria arte. La fibrillazione a cui è sottoposto l'artista con Duchamp è quella di rimanere tale con la presenza di un aria concettuale non più classificabile nei parametri temporali della storia dell'arte, ma nella dinamica della presenza concettuale dell'artista nel mondo, e nello spazio-tempo che riesce a generare.
Gli anni appena trascorsi all'ottica paradossale di tale atteggiamento - ascoltando qualcuno parlare del sistema dell'arte, confondendolo con le speculazioni della borsa hanno svilito la dimensione etica di essere artista, lasciandoci di quegli anni il narcisismo primario di chi del fare arte delega all'apparenza il suo esistere. Pensando a questo non posso che approvare quegli editoriali di Tema celeste che pungolano la questione istituzionale dell'arte in Italia, e non posso non dire che non siano fatti con prezioso acume, ma penso che per riuscire ad esprimere la forza di Duchamp bisognerebbe dire a chiare lettere di chiudere tutte le accademie e suoi derivati, finirla con quel sottobosco dell'arte che pretende di certificare l'identità dell'artista attraverso un aspetto burocratico che non ha niente a che fare con l'arte e gli artisti, e che non fa altro che indebolire la reale dimensione etica delle prospettive dell'arte. Penso che tutti i maestri ci abbiano sempre detto questo, ma con Duchamp non possiamo più far finta di non aver capito. Io per non dimenticare questo mi sono fatto un pro memoria realizzando un pezzo pianistico che s'intitola ed è scritto "Etandoné" una sequenza di note ripetute, da ascoltare premendo il tasto repeat del lettore cd - e questo atto del premere il tasto repeat da avvio alla composizione della firma soltanto udibile sull'oggetto lettore cd, attraverso la composizione musicale, per trasformarlo in un'opera d'arte seriale e riproducile da chiunque compia tale gesto, fuori da ogni logica burocratica economica. La firma dell'artista è nel suo contenuto. Un altro pro memoria che voglio costruirmi, questa volta plagiando Duchamp - è quello di strappare due pagine della bella rivista Tema celeste, quelle con la pubblicità dell'accademia di brera - naturalmente firmarle, metterle sotto una cornice di vetro e scriverci sopra - "Per non dimenticare Duchamp."
La ringrazio di avere letto questa mia lettera e le invio i miei più cordiali saluti per una buona giornata.
Patrizio Marozzi
Il CD contiene un’istantanea fotografica realizzata attraverso il computer – raffigurante un’opera d’arte ed il suo artista- l’istantanea è stata eseguita durante la programmazione TV
Titolo: 31/1 1999-2000 Prezzo un Milione
Porto D’Ascoli, lunedì 10 gennaio 2000
Patrizio Marozzi
Via IV Novembre 19
63037 Porto D’Ascoli, A.P.
tel e fax 0735 753745
e-mail [email protected]
Dir.Demetrio Paparoni
Tema Celeste
Piazza Borromeo 10
20123 Milano
Egregio direttore, le invio questo mio lavoro sperando che lei lo accetti in regalo. Il suo contenuto è il valore dell’arte, con esso la sua ricchezza sarà illimitata. Può portarlo ovunque nel mondo e il suo prezzo si adeguerà al milione della moneta corrente del posto in cui si trova – il suo valore sarà sempre adeguato nello spazio e nel tempo.
Può duplicarlo liberamente nella sua integrità per diffondere la ricchezza dell’arte a chiunque voglia. L’opera è concettualmente entrata a far parte del patrimonio pubblico: in data 31 gennaio 1999 la Galleria Marconi ha emesso uno scontrino di un milione che ha dato al sottoscritto in cambio di una copia dell’opera 31/1 1999-2000, realizzando che lo Stato ne percepirà il 20% per mezzo del denaro. Ricordandomi quello che un mio eteronomo – Bernardo Joyce – mi disse sul fatto che è importante considerare nell’opera di Duchamp la realtà che ad un certo punto Duchamp decise che poteva essere artista giocando a scacchi, la saluto cordialmente.
Patrizio Marozzi
Porto D’Ascoli, lunedì 3 Febbraio 2000
Patrizio Marozzi
Via IV Novembre 19
63037 Porto D’Ascoli, A.P.
tel e fax 0735 753745
e-mail [email protected]
Dir.Demetrio Paparoni
Tema Celeste
Piazza Borromeo 10
20123 Milano
…non so se mi servisse una definizione concettuale conclusiva, ma con rimandi Hasserliani non ne voglio più sapere di cialtroni che si sentono artisti se il critico di turno o la rivista si accorge di loro, non ha più senso neanche pensare al mondo dell’arte come facente parte dell’arte – l’ha spiegato un po’ di tempo fa Van Gogh, ma mai come ora questo è vero. Il mondo dell’arte attuale ha una percezione così meschina dell’esistere che se riesce a preparare una merenda può dirsi che abbia raggiunto il suo scopo – intanto la dimensione morale di chi muore di fame è completamente fuori dall’etica degli artisti attuali – il loro narcisismo primario è uno squallido esempio di quello dei bambini, un Dalì li farebbe impallidire. Nelle accademie gli unici artisti sono sempre stati i modelli in posa, ma ora più che mai.
Certo continuerò a fotografare, fare video, musica forse dipingerò anche e naturalmente continuerò ad esprimermi nella regina di tutte di tutte le arti – la letteratura – scrivere libri in attesa d’incontrare un editore che concettualmente non sia un morto di fame, ma questo per continuare a sentirmi con il piacere di creare – con rimandi Hasserliani tutto il rappresentabile attraverso il processo artistico è concettualmente avvenuto e non rimane altro che osservare il mondo come opera espressa da un creatore superiore – per me Dio.
Il lavoro che le mando è la riproduzione con custodia della matrice digitale, simile ma non uguale dell’opera originale di rimandi Hasserliani lavorata su carta in un'unica copia da me firmata e non in vendita. La riproduzione con custodia anch’essa da me firmata è realizzata in pochissimi esemplari.
Egregio direttore mi lasci dire quella parola che solo chi è ricco veramente “fa – grazie e accetti questo mio dono. Continuerò a leggere Tema Celeste anche se i margini concettuali si sono ridotti, fin tanto che non sarò deluso nel profilo della competenza, ma soprattutto dell’onesta intellettuale. Quindi non dovrebbero esserci problemi.
Nell’augurarle una buona giornata le mando i miei cordiali saluti.
Patrizio Marozzi
5 Settembre 2000.
Dir. Simona Vendrame
Tema Celeste
Patrizio Marozzi
Via IV Novembre 19
63037 Porto D’Ascoli, A.P.
tel e fax 0735 753745
e-mail [email protected]
Anche dopo aver ascoltato la premessa incisa nel cd, il mio consiglio è quello di rilassarsi e ascoltare. Indubbiamente la percezione dell’opera è soggetta allo stato soggettivo dell’individuo che l’ascolta, in questo caso lei. Pertanto non mi dilungherò nella spiegazione concettuale dell’opera, parlando dei riferimenti in essa evidenti dello stato delle proprie percezioni sensoriali e la realtà che da essa ne risultano. Di come tali percezioni possano essere manipolate per portare ad una percezione altra della realtà soggettiva, il più delle volte a fine dell’incremento del denaro, fino allo svilimento della bellezza stessa della vita, o anche peggio per acquisire un potere che ha senso solo in se stesso. Ma indubbiamente l’intento di questa opere è proprio quello di far riflettere su ciò, sulla condizione primaria che determina l’esistenza umana: “Devi Mangiare”, che con le sue molteplici sfaccettature attraversa le culture dell’uomo – la cultura umana.
Quindi si rilassi e ascolti nel tempo strutturale che ho dato all’opera, così forse potrà avvertire, “sue variazioni percettive” che andranno ad arricchire e varieranno il suono, il senso, e fors’anche il volume di quello che ascolta. Non so se riuscirà a raggiungere quello stato in cui percepirà qualcosa di molto vicino all’allucinazione uditiva con il suono che produce significati al di fuori di quelli primari incisi. Se non avviene vorrà dire che ha bisogno di una variazione temporale dell’opera, ma purtroppo io ho deciso che debba essere questo il suo tempo.
Le mando un infinito saluto e l’augurio che la rivista non barcolli mai nella futilità vanesia dell’arte contemporanea.
Patrizio Marozzi
P.S.
L’ascolto in cuffia non è affatto sconsigliato, magari direttamente dal lettore cd. Comunque si consiglia un ascolto privo dei filtri degli alti e dei bassi, qualora non fosse possibile, posizionali in flat.
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: tema celeste
----- Original Message -----
From: Valeria Mariani <[email protected]>
To: <[email protected]>
Sent: Thursday, September 21, 2000 2:22 PM
Subject: tema celeste
>
> Gentile Signor Marozzi,
>
> il direttore, Simona Vendrame, ha ricevuto la sua lettera e relativo cd,
> che ha ascoltato con curiosità.
>
> Cordiali saluti
>
> Valeria Mariani
> --
> tema celeste (Editorial Assistant)
> Piazza Borromeo, 10
> 20123 Milano
> Pho 0039 02 80651788
> Fax 0039 02 80651787
> E-mail: [email protected]
>
>
>
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: tema celeste
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi <[email protected]>
To: Valeria Mariani <[email protected]>
Sent: Friday, September 22, 2000 8:20 AM
Subject: R: tema celeste
> Gentile collaboratrice di Tema Celeste mi permetto di ringraziare lei e il
> suo direttore per la comunicazione pervenutami. E valutarla come una
> sostanziale miglioria rispetto alla ottima precedente direzione del Sig.
> Paparoni.
> Qui c'è un bel sole e auguro anche a lei una bellissima giornata
> Patrizio Marozzi
> ([email protected]
> ----- Original Message -----
> From: Valeria Mariani <[email protected]>
> To: <[email protected]>
> Sent: Thursday, September 21, 2000 3:22 PM
> Subject: tema celeste
>
>
> >
> > Gentile Signor Marozzi,
> >
> > il direttore, Simona Vendrame, ha ricevuto la sua lettera e relativo
cd,
> > che ha ascoltato con curiosità.
> >
> > Cordiali saluti
> >
> > Valeria Mariani
> > --
> > tema celeste (Editorial Assistant)
> > Piazza Borromeo, 10
> > 20123 Milano
> > Pho 0039 02 80651788
> > Fax 0039 02 80651787
> > E-mail: [email protected]
> >
> >
> >
>
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: tema celeste
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi <[email protected]>
To: Valeria Mariani <[email protected]>
Sent: Monday, October 23, 2000 10:52 PM
Subject: R: tema celeste
> Le ho provate tutte, con diverse password, cambiando il codice postale e
> l'intestazione del comune, siglando la provincia ecc.
> Va be' in fondo volevo solo sentire l'odore, sapere se era possibile poter
> respirare con le narici senza percepire l'odore intenso della
decomposizione
> dell'arte, ma chissà, forse avrei potuto percepire quello di una
> decomposizione avanzata, ma naturale - l'odore della polvere e questo
> vorrebbe dire, anche se da molto tempo, che qualche artista è passato di
lì,
> o meglio qualche essere umano. Vorrà dire che ogni tanto scriverò a lei,
per
> chiederle se arrivati a Van Gogh dopo Duchamp c'è ancora, ogni tanto,
> qualcuno che elevi l'arte al suo livello e che non l'ha confonda con il
> prezzo che ha clippato addosso, magari su un orecchio, ma a costui una
solo
> cosa vorrei chiedere - "se Van Gogh in vita non valeva un soldo tu
perché
> dovresti valere qualcosa?" ma la risposta è proprio lì in quella
quantità di
> denaro, magari tantissimo, ma che pur sempre determinerà un valore finito,
> un limite in cui contenere un'intelligenza e un talento che non c'è, ma
> l'importante è far finta di niente, tanto il mercato va avanti dando
potere
> e importanza a chiunque lo ossequi, lo rappresenti in una assurda
> originalità.
> Una Gran Buonanotte e un Gran Buongiorno
> Patrizio Marozzi
> [email protected]
> ----- Original Message -----
> From: Valeria Mariani <[email protected]>
> To: <[email protected]>
> Sent: Wednesday, October 18, 2000 10:20 AM
> Subject: tema celeste
>
>
> >
> > Gentile Patrizio Morozzi,
> >
> > ho ricevuto la sua e-mail.
> >
> > Cortesemente potrebbe iscriversi nuovamente all'area members usando
> > password e user ID diverse da quelle già utilizzate.
> >
> > Cordiali saluti
> >
> > Valeria Mariani
> > --
> > tema celeste
> > Editorial Assistant
> > Piazza Borromeo 10
> > 20123 Milano
> > Ph.0039.02.80651754
> > Fax 0039.02.80651787
> > E-mail [email protected]
> >
> >
> >
> >
>
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: che strana storia
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi
Sent: Wednesday, November 08, 2000 1:42 AM
Subject: che strana storia
...che strano è proprio lì, nel punto esatto in cui ha deciso di essere, e non può esserci niente altro che può collocarla in un altro posto. Certo si sposterà da lì, forse lo farà il vento, la pioggia, qualche animale, chissà persino un uomo potrebbe farlo, quantomeno crederlo. Quella foglia che ho visto cadere dall'albero non poteva essere in nessun altro luogo "di quel preciso istante, dell'istante che lo ha preceduto e in quello che lo ha seguito - preceduto seguito. Un po' più in là passava un aborigeno che guardando quella foglia la raccolse con l'arte del suo popolo e traccio un tempo nel tempo infinito. C'erano dei piedi ancora nudi che toccavano la terra e la voce creava il mondo quando l'arte era così contemporanea da essere essenza spirituale della cultura di un intero popolo.
E' sempre bello mordere una mela, respirarne il sapore percepire con le dita la pelle che la copre, è quasi una percezione erotica.
Leggo sulla rivista che nel 72 Acconci si è masturbato in galleria, pubblicamente. Nel 2000 questa notizia mi getta nello sconcerto, quando mi masturbo, anche se privatamente, vuol dire che faccio un atto ormai storicizzato e quindi la mia masturbazione è una masturbazione di classe? ma a che classe appartiene, fosse quella dell'ozio, allora io sono uno che riflette alla grande. Mi scusi il gradino sceso, "forse dovrò scenderne qualcun altro". Salvando Acconci e soprattutto me stesso, l'ozio di cui lei parla nel contesto dell'arte contemporanea attuale non è abbastanza ozio da poter incidere realmente sull'identità dell'arte. Se l'epoca attuale ha perso una coscienza di classe e con essa il senso stesso di appartenenza, ed io dico per fortuna, altresì ha peggiorato la situazione inibendo le possibilità che ci sono per la crescita di una cultura trasversale. Assistiamo ad una nuova definizione di ceto che non è neanche sostenuta dai contenuti, ma dalla forma della dimensione economica, ciò crea un virtualizzazione dei contenuti che non acclara la realtà dei valori, ma favorisce un sistema, causa il vuoto d'identità, che tende inevitabilmente all'omologazione, si sta generando una forma di virtualizzazione dei valori così perfetta che nell'illusione di uno stato comune si generano variabili minimali infinite che creano un'illusione di autodeterminazione: la logica dell'omologazione. Il mondo occidentale sta perdendo il significato e con esso la sua stessa memoria, non che non sia accaduto altre volte, anzi credo sia una cosa congenita alla cultura occidentale, ma il guaio è che ogni volta che ciò accade la dimensione spirituale sembra andare in fibrillazione, implodere in mondo oscuro dove non ci sono più argini per la caducità, il senso della materia come culto del significato di un oggetto storico-finto diventa il limite supremo, all'antitesi della più vera spiritualità cristiana. Dio stesso è diventato un oggetto, qualcosa di finito misurabile organicamente, omologato, un assurdo inconsapevole, un'illusione accattivante di liberazione. L'arte contemporanea non è sfuggita a tutto ciò, vive ormai da tempo anch'essa nella sua logica d'identità omologata. Mi scusi la scorrettezza, ma lei crede veramente che ci sia qualche artista che all'interno del sistema dell'arte non ambisca a restarci, o che quelli, magari già confezionati in strutture omologate, non ambiscano al sistema dell'arte. E chiediamoci ma cosa è questo sistema dell'arte, se non un'organizzazione per produrre denaro? E qual è il sistema che usa? Scendendo diversi gradini voglio dirle che un certo mio amico, qualche anno fa "ha guardato aprire una galleria, è rimasto ad osservare come tutti i critici, vassalli, galoppini, o come si chiamassero aspettassero di essere chiamati, che si stabilisse un prezzo per loro, ma tutti restavano fermi. Poi questo mio amico ha deciso di scrivere gratis, senza badare a spese, per qualità dei contenuti e numero di pagine, non gliela faccio lunga se pur nell'oggettività del lavoro, nel ridicolo di artisti in crisi d'identità e con l'oggettiva qualità del lavoro svolto questo mio amico ha dovuto confrontarsi, non con la capacità degli altri, ma con il sovvertimento della loro logica: tu non mi paghi ti pago io. Non le racconto tutto l'accaduto e le interessanti sfaccettature e dettagli. Naturalmente il mio amico dopo questa operazione sull'arte a quel punto si è defilato, ...per osservare ancor di più la situazione ad un certo punto aveva persino creato un critico virtuale, che aveva scritto con lui nel presentare una mostra, accendendo subito una nuova attenzione sul tipo. Credo che nella diversità il mondo dell'arte esprima a tutti i livelli queste situazioni, e che tutto sommato finisca per legittimare un sistema un tantinello mafioso. Da quello che ho potuto capire lei lotta per qualcosa di diverso da questo, ma l'ozio non è ancora ozio, scusi la mia intransigenza.
Mi scusi per la lunga lettera, e se non la riguardo con attenzione per eventuali errori, ma data l'ora devo proprio andare a dormire.
Cordiali Saluti
Patrizio Marozzi
P.S.
Un Saluto alla Signora Valeria Mariani.
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: che strana storia
----- Original Message -----
From: Simona Vendrame
To: Patrizio Marozzi
Sent: Thursday, November 09, 2000 11:25 AM
Subject: Re: che strana storia
Caro Patrizio Marozzi,
grazie per la lettera. Potrei
pubblicarla - e quindi non sto a risponderle ora - ma non così come è in quanto
è troppo lunga (come può immaginare, abbiamo esigenze di spazio) e, in alcune
parti, confusa. Se è d'accordo, scriva al mio assistente Daniele Perra a
[email protected].
Cordialmente,
Simona Vendrame
Patrizio Marozzi wrote:
...che strano è proprio lì, nel punto esatto in cui ha deciso di essere, e non può esserci niente altro che può collocarla in un altro posto. Certo si sposterà da lì, forse lo farà il vento, la pioggia, qualche animale, chissà persino un uomo potrebbe farlo, quantomeno crederlo. Quella foglia che ho visto cadere dall'albero non poteva essere in nessun altro luogo "di quel preciso istante, dell'istante che lo ha preceduto e in quello che lo ha seguito - preceduto seguito. Un po' più in là passava un aborigeno che guardando quella foglia la raccolse con l'arte del suo popolo e traccio un tempo nel tempo infinito. C'erano dei piedi ancora nudi che toccavano la terra e la voce creava il mondo quando l'arte era così contemporanea da essere essenza spirituale della cultura di un intero popolo.E' sempre bello mordere una mela, respirarne il sapore percepire con le dita la pelle che la copre, è quasi una percezione erotica.Leggo sulla rivista che nel 72 Acconci si è masturbato in galleria, pubblicamente. Nel 2000 questa notizia mi getta nello sconcerto, quando mi masturbo, anche se privatamente, vuol dire che faccio un atto ormai storicizzato e quindi la mia masturbazione è una masturbazione di classe? ma a che classe appartiene, fosse quella dell'ozio, allora io sono uno che riflette alla grande. Mi scusi il gradino sceso, "forse dovrò scenderne qualcun altro". Salvando Acconci e soprattutto me stesso, l'ozio di cui lei parla nel contesto dell'arte contemporanea attuale non è abbastanza ozio da poter incidere realmente sull'identità dell'arte. Se l'epoca attuale ha perso una coscienza di classe e con essa il senso stesso di appartenenza, ed io dico per fortuna, altresì ha peggiorato la situazione inibendo le possibilità che ci sono per la crescita di una cultura trasversale. Assistiamo ad una nuova definizione di ceto che non è neanche sostenuta dai contenuti, ma dalla forma della dimensione economica, ciò crea un virtualizzazione dei contenuti che non acclara la realtà dei valori, ma favorisce un sistema, causa il vuoto d'identità, che tende inevitabilmente all'omologazione, si sta generando una forma di virtualizzazione dei valori così perfetta che nell'illusione di uno stato comune si generano variabili minimali infinite che creano un'illusione di autodeterminazione: la logica dell'omologazione. Il mondo occidentale sta perdendo il significato e con esso la sua stessa memoria, non che non sia accaduto altre volte, anzi credo sia una cosa congenita alla cultura occidentale, ma il guaio è che ogni volta che ciò accade la dimensione spirituale sembra andare in fibrillazione, implodere in mondo oscuro dove non ci sono più argini per la caducità, il senso della materia come culto del significato di un oggetto storico-finto diventa il limite supremo, all'antitesi della più vera spiritualità cristiana. Dio stesso è diventato un oggetto, qualcosa di finito misurabile organicamente, omologato, un assurdo inconsapevole, un'illusione accattivante di liberazione. L'arte contemporanea non è sfuggita a tutto ciò, vive ormai da tempo anch'essa nella sua logica d'identità omologata. Mi scusi la scorrettezza, ma lei crede veramente che ci sia qualche artista che all'interno del sistema dell'arte non ambisca a restarci, o che quelli, magari già confezionati in strutture omologate, non ambiscano al sistema dell'arte. E chiediamoci ma cosa è questo sistema dell'arte, se non un'organizzazione per produrre denaro? E qual è il sistema che usa? Scendendo diversi gradini voglio dirle che un certo mio amico, qualche anno fa "ha guardato aprire una galleria, è rimasto ad osservare come tutti i critici, vassalli, galoppini, o come si chiamassero aspettassero di essere chiamati, che si stabilisse un prezzo per loro, ma tutti restavano fermi. Poi questo mio amico ha deciso di scrivere gratis, senza badare a spese, per qualità dei contenuti e numero di pagine, non gliela faccio lunga se pur nell'oggettività del lavoro, nel ridicolo di artisti in crisi d'identità e con l'oggettiva qualità del lavoro svolto questo mio amico ha dovuto confrontarsi, non con la capacità degli altri, ma con il sovvertimento della loro logica: tu non mi paghi ti pago io. Non le racconto tutto l'accaduto e le interessanti sfaccettature e dettagli. Naturalmente il mio amico dopo questa operazione sull'arte a quel punto si è defilato, ...per osservare ancor di più la situazione ad un certo punto aveva persino creato un critico virtuale, che aveva scritto con lui nel presentare una mostra, accendendo subito una nuova attenzione sul tipo. Credo che nella diversità il mondo dell'arte esprima a tutti i livelli queste situazioni, e che tutto sommato finisca per legittimare un sistema un tantinello mafioso. Da quello che ho potuto capire lei lotta per qualcosa di diverso da questo, ma l'ozio non è ancora ozio, scusi la mia intransigenza.Mi scusi per la lunga lettera, e se non la riguardo con attenzione per eventuali errori, ma data l'ora devo proprio andare a dormire.Cordiali SalutiPatrizio Marozzi P.S.Un Saluto alla Signora Valeria [email protected]
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editor
tema celeste
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20123 milano
pho 0039+02+80651754
fax 0039+02+80651787
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oggetto: I: che strana storia
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi
Sent: Friday, November 10, 2000 5:21 PM
Subject: I: che strana storia
Gentile Daniele Perra in riferimento a quanto sotto, sono tendenzialmente d'accordo all'eventualità della pubblicazione della mia lettera - servisse alla causa - l'unica cosa a cui, ce ne fosse bisogno, vi chiedo di prestare attenzione è all'eventualità che le parti che decideste di togliere non mi obblighino a reiterare l'eventuale precisazione in esse contenuta. Detto questo mi auguro che la vostra eventuale manipolazione della lettera mi procuri piacevolezza...
Grazie
Patrizio Marozzi
----- Original Message -----
From: Simona Vendrame
To: Patrizio Marozzi
Sent: Thursday, November 09, 2000 11:25 AM
Subject: Re: che strana storia
Caro Patrizio Marozzi,
grazie per la lettera. Potrei
pubblicarla - e quindi non sto a risponderle ora - ma non così come è in quanto
è troppo lunga (come può immaginare, abbiamo esigenze di spazio) e, in alcune
parti, confusa. Se è d'accordo, scriva al mio assistente Daniele Perra a
[email protected].
Cordialmente,
Simona Vendrame
Patrizio Marozzi wrote:
...che strano è proprio lì, nel punto esatto in cui ha deciso di essere, e non può esserci niente altro che può collocarla in un altro posto. Certo si sposterà da lì, forse lo farà il vento, la pioggia, qualche animale, chissà persino un uomo potrebbe farlo, quantomeno crederlo. Quella foglia che ho visto cadere dall'albero non poteva essere in nessun altro luogo "di quel preciso istante, dell'istante che lo ha preceduto e in quello che lo ha seguito - preceduto seguito. Un po' più in là passava un aborigeno che guardando quella foglia la raccolse con l'arte del suo popolo e traccio un tempo nel tempo infinito. C'erano dei piedi ancora nudi che toccavano la terra e la voce creava il mondo quando l'arte era così contemporanea da essere essenza spirituale della cultura di un intero popolo.E' sempre bello mordere una mela, respirarne il sapore percepire con le dita la pelle che la copre, è quasi una percezione erotica.Leggo sulla rivista che nel 72 Acconci si è masturbato in galleria, pubblicamente. Nel 2000 questa notizia mi getta nello sconcerto, quando mi masturbo, anche se privatamente, vuol dire che faccio un atto ormai storicizzato e quindi la mia masturbazione è una masturbazione di classe? ma a che classe appartiene, fosse quella dell'ozio, allora io sono uno che riflette alla grande. Mi scusi il gradino sceso, "forse dovrò scenderne qualcun altro". Salvando Acconci e soprattutto me stesso, l'ozio di cui lei parla nel contesto dell'arte contemporanea attuale non è abbastanza ozio da poter incidere realmente sull'identità dell'arte. Se l'epoca attuale ha perso una coscienza di classe e con essa il senso stesso di appartenenza, ed io dico per fortuna, altresì ha peggiorato la situazione inibendo le possibilità che ci sono per la crescita di una cultura trasversale. Assistiamo ad una nuova definizione di ceto che non è neanche sostenuta dai contenuti, ma dalla forma della dimensione economica, ciò crea un virtualizzazione dei contenuti che non acclara la realtà dei valori, ma favorisce un sistema, causa il vuoto d'identità, che tende inevitabilmente all'omologazione, si sta generando una forma di virtualizzazione dei valori così perfetta che nell'illusione di uno stato comune si generano variabili minimali infinite che creano un'illusione di autodeterminazione: la logica dell'omologazione. Il mondo occidentale sta perdendo il significato e con esso la sua stessa memoria, non che non sia accaduto altre volte, anzi credo sia una cosa congenita alla cultura occidentale, ma il guaio è che ogni volta che ciò accade la dimensione spirituale sembra andare in fibrillazione, implodere in mondo oscuro dove non ci sono più argini per la caducità, il senso della materia come culto del significato di un oggetto storico-finto diventa il limite supremo, all'antitesi della più vera spiritualità cristiana. Dio stesso è diventato un oggetto, qualcosa di finito misurabile organicamente, omologato, un assurdo inconsapevole, un'illusione accattivante di liberazione. L'arte contemporanea non è sfuggita a tutto ciò, vive ormai da tempo anch'essa nella sua logica d'identità omologata. Mi scusi la scorrettezza, ma lei crede veramente che ci sia qualche artista che all'interno del sistema dell'arte non ambisca a restarci, o che quelli, magari già confezionati in strutture omologate, non ambiscano al sistema dell'arte. E chiediamoci ma cosa è questo sistema dell'arte, se non un'organizzazione per produrre denaro? E qual è il sistema che usa? Scendendo diversi gradini voglio dirle che un certo mio amico, qualche anno fa "ha guardato aprire una galleria, è rimasto ad osservare come tutti i critici, vassalli, galoppini, o come si chiamassero aspettassero di essere chiamati, che si stabilisse un prezzo per loro, ma tutti restavano fermi. Poi questo mio amico ha deciso di scrivere gratis, senza badare a spese, per qualità dei contenuti e numero di pagine, non gliela faccio lunga se pur nell'oggettività del lavoro, nel ridicolo di artisti in crisi d'identità e con l'oggettiva qualità del lavoro svolto questo mio amico ha dovuto confrontarsi, non con la capacità degli altri, ma con il sovvertimento della loro logica: tu non mi paghi ti pago io. Non le racconto tutto l'accaduto e le interessanti sfaccettature e dettagli. Naturalmente il mio amico dopo questa operazione sull'arte a quel punto si è defilato, ...per osservare ancor di più la situazione ad un certo punto aveva persino creato un critico virtuale, che aveva scritto con lui nel presentare una mostra, accendendo subito una nuova attenzione sul tipo. Credo che nella diversità il mondo dell'arte esprima a tutti i livelli queste situazioni, e che tutto sommato finisca per legittimare un sistema un tantinello mafioso. Da quello che ho potuto capire lei lotta per qualcosa di diverso da questo, ma l'ozio non è ancora ozio, scusi la mia intransigenza.Mi scusi per la lunga lettera, e se non la riguardo con attenzione per eventuali errori, ma data l'ora devo proprio andare a dormire.Cordiali SalutiPatrizio Marozzi P.S.Un Saluto alla Signora Valeria [email protected]
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oggetto: I: che strana storia
----- Original Message -----
From: Daniele Perra
To: Patrizio Marozzi
Sent: Monday, November 13, 2000 11:16 AM
Subject: R: che strana storia
Gentile Marozzi,
come anticipato dal direttore dovremmo fare dei tagli poiche' la lettera e' piuttosto lunga.
C'e' un punto in particolare dove lei racconta l'aneddoto del suo amico che scrive di arte etc...
Dovrebbe sintetizzare quei punti in due righe sorvolando la storia specifica. Da: "Scendendo diversi gradini..." fino a "un tantinello mafioso".
Inoltre: mi puo' spiegare meglio questi concetti ed in modo sintetico?
XXXXXAssistiamo ad una nuova definizione di ceto che non è neanche sostenuta dai contenuti, ma dalla forma della dimensione economica, ciò crea un virtualizzazione dei contenuti che non acclara la realtà dei valori, ma favorisce un sistema, causa il vuoto d'identità, che tende inevitabilmente all'omologazione,XXXXX si sta generando una forma di virtualizzazione dei valori così perfetta che nell'illusione di uno stato comune si generano variabili minimali infinite che creano un'illusione di autodeterminazione: la logica dell'omologazione.XXXX
Resto in attesa di un suo cordiale riscontro.
Daniele Perra
-----Messaggio originale-----
Da: Patrizio Marozzi [mailto:[email protected]]
Inviato: venerdì 10 novembre 2000 17.21
A: [email protected]
Oggetto: I: che strana storia
Gentile Daniele Perra in riferimento a quanto sotto, sono tendenzialmente d'accordo all'eventualità della pubblicazione della mia lettera - servisse alla causa - l'unica cosa a cui, ce ne fosse bisogno, vi chiedo di prestare attenzione è all'eventualità che le parti che decideste di togliere non mi obblighino a reiterare l'eventuale precisazione in esse contenuta. Detto questo mi auguro che la vostra eventuale manipolazione della lettera mi procuri piacevolezza...
Grazie
Patrizio Marozzi
----- Original Message -----
From: Simona Vendrame
To: Patrizio Marozzi
Sent: Thursday, November 09, 2000 11:25 AM
Subject: Re: che strana storia
Caro Patrizio Marozzi,
grazie
per la lettera. Potrei pubblicarla - e quindi non sto a risponderle ora - ma
non così come è in quanto è troppo lunga (come può immaginare, abbiamo esigenze
di spazio) e, in alcune parti, confusa. Se è d'accordo, scriva al mio
assistente Daniele Perra a [email protected].
Cordialmente,
Simona Vendrame
Patrizio Marozzi wrote:
...che strano è proprio lì, nel punto esatto in cui ha deciso di essere, e non può esserci niente altro che può collocarla in un altro posto. Certo si sposterà da lì, forse lo farà il vento, la pioggia, qualche animale, chissà persino un uomo potrebbe farlo, quantomeno crederlo. Quella foglia che ho visto cadere dall'albero non poteva essere in nessun altro luogo "di quel preciso istante, dell'istante che lo ha preceduto e in quello che lo ha seguito - preceduto seguito. Un po' più in là passava un aborigeno che guardando quella foglia la raccolse con l'arte del suo popolo e traccio un tempo nel tempo infinito. C'erano dei piedi ancora nudi che toccavano la terra e la voce creava il mondo quando l'arte era così contemporanea da essere essenza spirituale della cultura di un intero popolo.E' sempre bello mordere una mela, respirarne il sapore percepire con le dita la pelle che la copre, è quasi una percezione erotica.Leggo sulla rivista che nel 72 Acconci si è masturbato in galleria, pubblicamente. Nel 2000 questa notizia mi getta nello sconcerto, quando mi masturbo, anche se privatamente, vuol dire che faccio un atto ormai storicizzato e quindi la mia masturbazione è una masturbazione di classe? ma a che classe appartiene, fosse quella dell'ozio, allora io sono uno che riflette alla grande. Mi scusi il gradino sceso, "forse dovrò scenderne qualcun altro". Salvando Acconci e soprattutto me stesso, l'ozio di cui lei parla nel contesto dell'arte contemporanea attuale non è abbastanza ozio da poter incidere realmente sull'identità dell'arte. Se l'epoca attuale ha perso una coscienza di classe e con essa il senso stesso di appartenenza, ed io dico per fortuna, altresì ha peggiorato la situazione inibendo le possibilità che ci sono per la crescita di una cultura trasversale. Assistiamo ad una nuova definizione di ceto che non è neanche sostenuta dai contenuti, ma dalla forma della dimensione economica, ciò crea un virtualizzazione dei contenuti che non acclara la realtà dei valori, ma favorisce un sistema, causa il vuoto d'identità, che tende inevitabilmente all'omologazione, si sta generando una forma di virtualizzazione dei valori così perfetta che nell'illusione di uno stato comune si generano variabili minimali infinite che creano un'illusione di autodeterminazione: la logica dell'omologazione. Il mondo occidentale sta perdendo il significato e con esso la sua stessa memoria, non che non sia accaduto altre volte, anzi credo sia una cosa congenita alla cultura occidentale, ma il guaio è che ogni volta che ciò accade la dimensione spirituale sembra andare in fibrillazione, implodere in mondo oscuro dove non ci sono più argini per la caducità, il senso della materia come culto del significato di un oggetto storico-finto diventa il limite supremo, all'antitesi della più vera spiritualità cristiana. Dio stesso è diventato un oggetto, qualcosa di finito misurabile organicamente, omologato, un assurdo inconsapevole, un'illusione accattivante di liberazione. L'arte contemporanea non è sfuggita a tutto ciò, vive ormai da tempo anch'essa nella sua logica d'identità omologata. Mi scusi la scorrettezza, ma lei crede veramente che ci sia qualche artista che all'interno del sistema dell'arte non ambisca a restarci, o che quelli, magari già confezionati in strutture omologate, non ambiscano al sistema dell'arte. E chiediamoci ma cosa è questo sistema dell'arte, se non un'organizzazione per produrre denaro? E qual è il sistema che usa? Scendendo diversi gradini voglio dirle che un certo mio amico, qualche anno fa "ha guardato aprire una galleria, è rimasto ad osservare come tutti i critici, vassalli, galoppini, o come si chiamassero aspettassero di essere chiamati, che si stabilisse un prezzo per loro, ma tutti restavano fermi. Poi questo mio amico ha deciso di scrivere gratis, senza badare a spese, per qualità dei contenuti e numero di pagine, non gliela faccio lunga se pur nell'oggettività del lavoro, nel ridicolo di artisti in crisi d'identità e con l'oggettiva qualità del lavoro svolto questo mio amico ha dovuto confrontarsi, non con la capacità degli altri, ma con il sovvertimento della loro logica: tu non mi paghi ti pago io. Non le racconto tutto l'accaduto e le interessanti sfaccettature e dettagli. Naturalmente il mio amico dopo questa operazione sull'arte a quel punto si è defilato, ...per osservare ancor di più la situazione ad un certo punto aveva persino creato un critico virtuale, che aveva scritto con lui nel presentare una mostra, accendendo subito una nuova attenzione sul tipo. Credo che nella diversità il mondo dell'arte esprima a tutti i livelli queste situazioni, e che tutto sommato finisca per legittimare un sistema un tantinello mafioso. Da quello che ho potuto capire lei lotta per qualcosa di diverso da questo, ma l'ozio non è ancora ozio, scusi la mia intransigenza.Mi scusi per la lunga lettera, e se non la riguardo con attenzione per eventuali errori, ma data l'ora devo proprio andare a dormire.Cordiali SalutiPatrizio Marozzi P.S.Un Saluto alla Signora Valeria [email protected]
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oggetto: I: che strana storia
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From: Patrizio Marozzi
Sent: Tuesday, November 14, 2000 7:28 PM
Subject: R: che strana storia
Gentile Perra,
Ho ridotto la parte "Scendendo... fino a un tantinello mafioso. Per quanto riguarda la parte di cui mi chiede di spiegargli meglio i concetti, in modo sintetico - l'invito a riflette su di essi partendo dalla sua conoscenza personale, consapevole di questo, e non tralasciando ciò ch'è scritto precedentemente, può aiutarsi anche con un buon dizionario. Se per suo particolare interesse volesse un confronto su di essi, privato con me, volentieri. Le dico questo perché credo che se le dicessi per esempio: "Che il fine economico ha ridotto ogni ceto ad un oggetto, apparentemente consumabile, determinando in esso dei valori soggetti a regole comuni, che si differenziano, tra loro, soltanto per la ricchezza monetaria e tramite il potere che da essa deriva, si determina superflua ogni libera e reale differenziazione nell'espressione del proprio essere. Sembra più chiaro, ma in realtà non lo è, è soltanto più corto. Per rendere chiaro un concetto è essenziale narrare l'esperienza concreta, personale, attraverso fatti precisi, ma anche così è indispensabile l'elaborazione dell'esperienza altrui, per la sua reale accettazione e comprensione, per far sì che l'informazione si trasformi in conoscenza - è da questo incontro e leale gioco delle parti che nasce una reale comprensione. Le ho ricordato questo, che sono sicuro lei ben sa, perché credo che stimolare un atteggiamento mentale in chi naturalmente vi è predisposto non sia superfluo. Comunque ho aggiunto il termine "Oggetto" per rendere più chiaro il contesto, che rimane pur sempre astratto. Credo che lei volesse questo da me, altrimenti non l'ho capita e le chiedo scusa.
Cordialmente
Patrizio Marozzi
----- Original Message -----
From: Daniele Perra
To: Patrizio Marozzi
Sent: Monday, November 13, 2000 11:16 AM
Subject: R: che strana storia
Gentile Marozzi,
come anticipato dal direttore dovremmo fare dei tagli poiche' la lettera e' piuttosto lunga.
C'e' un punto in particolare dove lei racconta l'aneddoto del suo amico che scrive di arte etc...
Dovrebbe sintetizzare quei punti in due righe sorvolando la storia specifica. Da: "Scendendo diversi gradini..." fino a "un tantinello mafioso".
Inoltre: mi puo' spiegare meglio questi concetti ed in modo sintetico?
XXXXXAssistiamo ad una nuova definizione di ceto che non è neanche sostenuta dai contenuti, ma dalla forma "oggetto" della dimensione economica, ciò crea un virtualizzazione dei contenuti che non acclara la realtà dei valori, ma favorisce un sistema, causa il vuoto d'identità, che tende inevitabilmente all'omologazione,XXXXX si sta generando una forma di virtualizzazione dei valori così perfetta che nell'illusione di uno stato comune si generano variabili minimali infinite che creano un'illusione di autodeterminazione: la logica dell'omologazione.XXXX
Resto in attesa di un suo cordiale riscontro.
Daniele Perra
-----Messaggio originale-----
Da: Patrizio Marozzi [mailto:[email protected]]
Inviato: venerdì 10 novembre 2000 17.21
A: [email protected]
Oggetto: I: che strana storia
Gentile Daniele Perra in riferimento a quanto sotto, sono tendenzialmente d'accordo all'eventualità della pubblicazione della mia lettera - servisse alla causa - l'unica cosa a cui, ce ne fosse bisogno, vi chiedo di prestare attenzione è all'eventualità che le parti che decideste di togliere non mi obblighino a reiterare l'eventuale precisazione in esse contenuta. Detto questo mi auguro che la vostra eventuale manipolazione della lettera mi procuri piacevolezza...
Grazie
Patrizio Marozzi
----- Original Message -----
From: Simona Vendrame
To: Patrizio Marozzi
Sent: Thursday, November 09, 2000 11:25 AM
Subject: Re: che strana storia
Caro Patrizio Marozzi,
grazie per la lettera. Potrei pubblicarla - e quindi non sto a
risponderle ora - ma non così come è in quanto è troppo lunga (come può
immaginare, abbiamo esigenze di spazio) e, in alcune parti, confusa. Se è
d'accordo, scriva al mio assistente Daniele Perra a [email protected].
Cordialmente,
Simona Vendrame
Patrizio Marozzi wrote:
...che strano è proprio lì, nel punto esatto in cui ha deciso di essere, e non può esserci niente altro che può collocarla in un altro posto. Certo si sposterà da lì, forse lo farà il vento, la pioggia, qualche animale, chissà persino un uomo potrebbe farlo, quantomeno crederlo. Quella foglia che ho visto cadere dall'albero non poteva essere in nessun altro luogo "di quel preciso istante, dell'istante che lo ha preceduto e in quello che lo ha seguito - preceduto seguito. Un po' più in là passava un aborigeno che guardando quella foglia la raccolse con l'arte del suo popolo e traccio un tempo nel tempo infinito. C'erano dei piedi ancora nudi che toccavano la terra e la voce creava il mondo quando l'arte era così contemporanea da essere essenza spirituale della cultura di un intero popolo.E' sempre bello mordere una mela, respirarne il sapore percepire con le dita la pelle che la copre, è quasi una percezione erotica.Leggo sulla rivista che nel 72 Acconci si è masturbato in galleria, pubblicamente. Nel 2000 questa notizia mi getta nello sconcerto, quando mi masturbo, anche se privatamente, vuol dire che faccio un atto ormai storicizzato e quindi la mia masturbazione è una masturbazione di classe? ma a che classe appartiene, fosse quella dell'ozio, allora io sono uno che riflette alla grande. Mi scusi il gradino sceso, "forse dovrò scenderne qualcun altro". Salvando Acconci e soprattutto me stesso, l'ozio di cui lei parla nel contesto dell'arte contemporanea attuale non è abbastanza ozio da poter incidere realmente sull'identità dell'arte. Se l'epoca attuale ha perso una coscienza di classe e con essa il senso stesso di appartenenza, ed io dico per fortuna, altresì ha peggiorato la situazione inibendo le possibilità che ci sono per la crescita di una cultura trasversale. Assistiamo ad una nuova definizione di ceto che non è neanche sostenuta dai contenuti, ma dalla forma "oggetto" della dimensione economica, ciò crea un virtualizzazione dei contenuti che non acclara la realtà dei valori, ma favorisce un sistema, causa il vuoto d'identità, che tende inevitabilmente all'omologazione, si sta generando una forma di virtualizzazione dei valori così perfetta che nell'illusione di uno stato comune si generano variabili minimali infinite che creano un'illusione di autodeterminazione: la logica dell'omologazione. Il mondo occidentale sta perdendo il significato e con esso la sua stessa memoria, non che non sia accaduto altre volte, anzi credo sia una cosa congenita alla cultura occidentale, ma il guaio è che ogni volta che ciò accade la dimensione spirituale sembra andare in fibrillazione, implodere in mondo oscuro dove non ci sono più argini per la caducità, il senso della materia come culto del significato di un oggetto storico-finto diventa il limite supremo, all'antitesi della più vera spiritualità cristiana. Dio stesso è diventato un oggetto, qualcosa di finito misurabile organicamente, omologato, un assurdo inconsapevole, un'illusione accattivante di liberazione. L'arte contemporanea non è sfuggita a tutto ciò, vive ormai da tempo anch'essa nella sua logica d'identità omologata. Mi scusi la scorrettezza, ma lei crede veramente che ci sia qualche artista che all'interno del sistema dell'arte non ambisca a restarci, o che quelli, magari già confezionati in strutture omologate, non ambiscano al sistema dell'arte. E chiediamoci ma cosa è questo sistema dell'arte, se non un'organizzazione per produrre denaro? E qual è il sistema che usa? Scendendo diversi gradini voglio dirle per esperienza che quel che muove molti "addetti" del mondo dell'arte non è niente altro che uno scambio clientelare di favori reciproci, che certe volte finiscono per inficiare, finanche, le logiche legittime dello scambio merceologico - rischiando di legittimare un sistema un tantinello "mafioso." Da quello che ho potuto capire lei lotta per qualcosa di diverso da questo, ma l'ozio non è ancora ozio, scusi la mia intransigenza.
Mi scusi per la lunga lettera, e se non la riguardo con attenzione per eventuali errori, ma data l'ora devo proprio andare a dormire.Cordiali SalutiPatrizio Marozzi P.S.Un Saluto alla Signora Valeria [email protected]
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[Ludwig Klages - e le deduzioni sconosciute?]
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To: <[email protected]>
Sent: Monday, December 04, 2000 11:26 AM
Subject: tema celeste
> Caro Patrizio,
>
> Lei dice che, nell'epoca attuale, l'arte è omologata e Dio stesso è
> diventato un oggetto. Che Dio fosse "morto" lo ha scritto
Nietsche molto
> tempo fa, quando la società dei consumi non era ancora apparsa.
> Indubbiamente viviamo in un'epoca contraddistinta dai cosiddetti
> fenomeni di massa, pilotati spesso da interessi di potere - sia
> economico che politico - che sfuggono al controllo del singolo
> individuo. I consumi vengono indotti dalla pubblicità, il gusto è
> influenzato e convogliato dai media e il mondo dell'arte non è esente da
> simili pressioni. Chi è "dentro" il sistema, dice lei, non ha
nessuna
> intenzione di uscirne, sarebbe strano il contrario, rispondo io. Anche
> se eventuali crisi di rigetto sono sempre possibili. Come direttore di
> una rivista d'arte, ritengo sia importante lavorare con persone
> professionalmente preparate ma anche intellettualmente oneste, che
> contribuiscano a stimolare la qualità generale della produzione
> artistica e non si limitino a promuovere il proprio operato. Sicuramente
> una rivista, da sola, non può pensare di modificare le regole di un
> intero sistema che voracemente chiede novità a getto continuo e spesso
> premia ciò che è trendy più di ciò che è di valore. Ma se ognuno di noi
> si ferma a riflettere, di tanto in tanto, su quello che sta facendo ed
> evita di appiattirsi su posizioni critiche "narcotizzate",
allora credo
> che non si dovranno avere rimorsi né rimpianti verso se stessi, e che
> chi vale potrà far sentire la propria voce.
> Cordialmente,
> Simona Vendrame
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>
>
>
>
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From: Patrizio Marozzi <[email protected]>
To: <[email protected]>
Sent: Tuesday, December 05, 2000 10:11 AM
Subject: R: tema celeste
> Gentile Simona Vendrame si lasci dire che Nietsche non ha detto un bel
> niente, se non quello che nella sua persona ha patito, se lei è capace di
> tanto, cioè di percepire l'immenso paradigma che attraverso il
"gesto" di un
> filosofo ha espletato un'intera epoca, non può semplificare, oserei dire,
in
> modo omologato la figura di Nietsche. In ciò che affermo io c'è ben altro,
> ed è una percezione di Dio presente attuale, che si esplica in qualcosa di
> conformato di accettato come bene, una contraffazione, un imbroglio
> irresponsabile. Un tempo chi delinqueva sapeva bene ciò che faceva,
> paradossalmente aveva una struttura etica e su di essa poggiava la sua
forza
> per delinquere. Attualmente chi delinque cerca la legittimazione; in
questa
> espressione nichilistica possiamo vedere qualcosa di simile a ciò che
> esprimeva Nietsche. La percezione della morte di Dio nell'epoca
> contemporanea è ancora più paradossale - non è più l'uomo che si
sostituisce
> a Dio, ma un oggetto. L'uomo sa di non poter essere Dio e lo crea fuori da
> sè, badi bene, fuori da sè, non assistiamo a qualcosa di proiettivo, ma
alla
> nascita di un dio che è finito nell'utilizzo stesso di un oggetto, l'uomo
ha
> perso ogni dignità, non deve più confrontarsi con un Dio reale o
> immaginario, ma con l'illusione di perfezione di un oggetto, il competere
> con
> esso - e se l'uomo compete con ciò che non è più umano e lo considera Dio,
> che valore può avere l'uomo in confronto a ciò: Non è Dio ch'è morto, ma
> l'essere umano.
>
> ...I consumi vengono indotti dalla pubblicità, il gusto è
> > influenzato e convogliato dai media e il mondo dell'arte non è esente
da
> > simili pressioni. Chi è "dentro" il sistema, dice lei, non
ha nessuna
> > intenzione di uscirne, sarebbe strano il contrario, rispondo io....
>
> Se trovo legittimo il fatto che lei dice di cercare dei collaboratori che
> siano onesti intellettualmente e professionali, non può non tenere conto
del
> fatto che quello che viene comunemente chiamato arte, attualmente non sia
> null'altro che produzioni di merci da vendere, e che il sistema per dare
un
> valore alla merce sia conseguenza diretta di ciò ch'è descritto nella sua
> lettera. L'arte non ha proprio più nulla da dire, né da spiegare, l'Arte
che
> aveva queste caratteristiche, con un falso forse è finita nel 1917, se non
> ricordo male, con un'opera di Duchamp. quello ch'è venuto poi è quello che
> lei ben descrive.
> Sinceramente le dico che lei dovrebbe parlare delle opere che ho inviato
> alla rivista, nella sua persona e in quella del direttore precedente,
opere
> che non hanno nessuna possibilità di commercializzazione, ma riproduzione
> illimitata, per la libera circolazione delle arti, come si diceva un
tempo.
> Ma ognuno è libero di "narcotizzarsi" come vuole.
> La ringrazio della lettera che mi ha inviato, che non ho ben capito se
debbo
> considerare come sostitutiva di quella eventuale da pubblicare sulla
> rivista.
> La saluto cordialmente,
>
> Patrizio Marozzi
> [email protected]
>
> ----- Original Message -----
> From: Simona Vendrame <[email protected]>
> To: <[email protected]>
> Sent: Monday, December 04, 2000 11:26 AM
> Subject: tema celeste
>
>
> > Caro Patrizio,
> >
> > Lei dice che, nell'epoca attuale, l'arte è omologata e Dio stesso è
> > diventato un oggetto. Che Dio fosse "morto" lo ha scritto
Nietsche molto
> > tempo fa, quando la società dei consumi non era ancora apparsa.
> > Indubbiamente viviamo in un'epoca contraddistinta dai cosiddetti
> > fenomeni di massa, pilotati spesso da interessi di potere - sia
> > economico che politico - che sfuggono al controllo del singolo
> > individuo. I consumi vengono indotti dalla pubblicità, il gusto è
> > influenzato e convogliato dai media e il mondo dell'arte non è esente
da
> > simili pressioni. Chi è "dentro" il sistema, dice lei, non
ha nessuna
> > intenzione di uscirne, sarebbe strano il contrario, rispondo io.
Anche
> > se eventuali crisi di rigetto sono sempre possibili. Come direttore
di
> > una rivista d'arte, ritengo sia importante lavorare con persone
> > professionalmente preparate ma anche intellettualmente oneste, che
> > contribuiscano a stimolare la qualità generale della produzione
> > artistica e non si limitino a promuovere il proprio operato.
Sicuramente
> > una rivista, da sola, non può pensare di modificare le regole di un
> > intero sistema che voracemente chiede novità a getto continuo e
spesso
> > premia ciò che è trendy più di ciò che è di valore. Ma se ognuno di
noi
> > si ferma a riflettere, di tanto in tanto, su quello che sta facendo
ed
> > evita di appiattirsi su posizioni critiche "narcotizzate",
allora credo
> > che non si dovranno avere rimorsi né rimpianti verso se stessi, e che
> > chi vale potrà far sentire la propria voce.
> > Cordialmente,
> > Simona Vendrame
> > --
> > editor
> > tema celeste
> > piazza borromeo, 10
> > 20123 milano
> > pho 0039+02+80651754
> > fax 0039+02+80651787
> > e-mail: [email protected]
> >
> >
> >
> >
>
>
>
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: Rubrica lettere
----- Original Message -----
From: Daniele Perra <[email protected]>
To: <[email protected]>
Sent: Tuesday, December 05, 2000 2:36 PM
Subject: Rubrica lettere
> Gent.le signor Marozzi,
> le scrivo per comunicarle che purtroppo nel prossimo numero, per una
> questione di palinsesto, non verra' pubblicata la sua lettera. E' stata
cura
> del direttore Simona Vendrame risponderle personalmente ed in forma
privata
> alla sua lettera.
>
> Colgo l'occasione per farle anticipatamente i migliori auguri di Natale.
>
>
> Daniele Perra
>
> Assistant Editor
> (Coordination)
> tema celeste
> 10 piazza borromeo 20123 milan
> pho 0039 02 80651754 fax 0039 02 80651787
> e-mail: [email protected]
> www.temaceleste.com
>
>
>
La storia: l’insieme dei fatti, degli eventi umani considerati nel loro svolgersi. Sembra una definizione definitiva, non soggetta a nessuna modificazione se non fosse per quel “considerati” – già chi è che riflette soppesa i pro e i contro, che considera per trarre quelle conclusioni che definiscono la storia? E l’uomo basta per ritenere che l’osservazione del mondo, il suo sguardo sul mondo basti a considerare, per questo, il mondo come facente parte degli eventi umani? La storia nel suo limite dice di sì, eppure tutto ciò che non ha coscienza ci sopravvive, non considera, è parte dell’insieme dei fatti - azioni avvenute? Ma come riconoscere delle azioni in ciò che non ha coscienza. Se ne deduce, che con l’uomo, con la sua fine, la storia abbia termine; a meno che non si verifichi un’azione umana che trascenda e superi la condizione della conoscenza della storia dell’uomo e in maggior luogo il mondo senza coscienza che gli sopravvive. Solo così la storia può essere definita, non soggetta al relativismo. La realizzazione di questo è presente nel cristianesimo.
Partendo da questa considerazione ed esemplificandola nel profilo artistico, attraverso il video che propongo, mi sono posto la riflessione del senso del percepire la storia. Naturalmente non a caso ho usato un linguaggio cinematografico che amplifica le possibilità grammaticali, povere, del video, oltre ogni apparente logica narrativa. La rappresentazione della percezione della storia è nella documentazione estrema, attraverso un’osservazione constante dello svolgersi delle conseguenze di un’azione umana, simbolicamente rappresenta dall’immagine di una mela morsicata. Il “ritmo” del documentario è rappresentato essenzialmente dalla dimensione simbolica, sin dai primi, quasi tre minuti, di schermo nero, alla ripresa circolare, tecnicamente imperfetta, che lo segue, fino all’immagine dell’orologio che segna un’ora diversa dall’ombra solare, con accanto degli oggetti che “forse” sono la rappresentazione di un intervento tecnologico per la percezione della storia, poggiati sul sacrato ai caduti… la riflessione può andare ben oltre ed è in linea diretta con la percezione del fruitore, che è bene per questo non cada nella considerazione di opera astratta, ma rimanga nella dimensione di opera concettuale, in quanto espressione riflessiva di un concetto determinato.
Le commistioni con la video arte sono evidenti, ed io credo che la possibilità che da tale unione deriva, può portare il documentario ad osservare gli aspetti meno materiali dell’uomo.
Patrizio Marozzi
Joseph O’Dell Sabato pomeriggio 14 Dicembre 1996
Fax 11 Dicembre 1996
ITALIA MIA BENCHÉ; benché sia notte, benché sia notte e non mi resta che andare a dormire; benché desideri una fanciulla deliziosa che mi ricordi che il profumo non è un odore, ma il ricordo sottile della propria coscienza, che tocca ciò che lo sguardo accoglie semplicemente sentendo quel che dagli occhi cade: l’umidiccio di una lacrima sulla gota, che mi annuncia il gesto di una voce contenta. Benché stia immaginando tutto questo, preferisco pensarlo e tenermelo per domani, chissà! Lasciando ai sogni il compito di raccontarmi ciò che accadrà dopo domani.
Italia mia, benché tu non sappia quel che perdi, ho voglia di urlarti in faccia che non ricordi chi eri, per questo vuoi diventare ciò che non volevi essere; ma chi sei? cosa sei? BO! Mica me ne frega tanto, sapere che tu non sai; benché… Buonanotte.
P.S.
— Féuerbach, “Filosofia dell’avvenire”. Se non è questa e nessuno indovina domani riprovo con “Pensieri sulla morte e l’immortalità”.
tel e fax 0735/753745 PATRIZIO MAROZZI — 63037 PORTO D’ASCOLI A.P.
fax 12 Dicembre 1996
Il ricordo della sera non è ancora giunto, è fuori nei passi silenziosi assorbiti dalla sabbia ai margini del mare.
Il respiro freddo assorbe il suono della risacca.
Questa passeggiata notturna, ai margini della terra
non attenua il mio desiderio, ma lo accende di un respiro naturale;
spegne la stoltezza di chi disperde,
la non vana memoria nelle sue paure.
“TELEVISIONE, TELEVISIONE, sempre ’sta televisione. Un po’ di tempo fa curai una mostra di arte contemporanea, che aveva come oggetto espressivo il televisore, dal titolo — “Televisione, Puttana?” Nell’attesa che gli artisti coinvolti completassero le loro opere, scrissi un breve saggio che si integrò bene alla mostra.
Un attimo
“voglio dirvi che voci traverse ci hanno detto che la rai tre locale, invitata, non ha voluto dare nessuna notizia su tale avvenimento, per il fatto che compariva il termine “Puttana”, associato a televisione”.
Tale operazione è stata tutt’altro che priva di contenuti di riflessione; ma se non sbaglio il direttore del tg tre locale, è il fu memorabile Tonino Carino, che io da buon tifoso dell’Ascoli calcio, non dimentico. Evidentemente il tempo è passato, ma Carino fa sempre rima con cretino. Scusate la caduta di stile e la cronaca di un episodio che appartiene ad un passato non più utile.
Be’ vi mando ciò che segue, e se siete piacevolmente curiosi: buon divertimento.
Buonanotte e forse, se gradite a presto.” […
0735/753745 Patrizio Marozzi. Via IV Novembre 19 — 63037 Porto d’Ascoli A.P.
MOVIMENTO MINOLLICO
JOSEPH O’DELL
«AMERICA NON UCCIDERLO»
Non può esserci vita senza la vita stessa. Ogni pioggia non può rinunciare a nessuna delle sue gocce, ogni giorno a nessun altro giorno, ogni uomo a nessun altro uomo.
Le parole sono spesso inutili, però se esse trovano un terreno fertile, come quello della libertà ch’è dentro ogni essere umano, non sono mai vane.
È con questa speranza che io e le persone che hanno firmato, quest’appello, chiediamo all’ambasciatore degli Stati Uniti D’America di sentire la voce della Propria Coscienza, e come essere umano di agire affinché i principi di libertà del Suo paese non vengano stuprati dalla disumanità di leggi che hanno dimenticato di servire l’essere umano.
Che questa goccia di pioggia possa servire a Joseph O’dell. Grazie.
Patrizio Marozzi
P.S.
Patrizio Marozzi Via IV Novembre, 19 63037 Porto d’Ascoli A.P. ITALIA
Tel. e fax 0735/753745
MOVIMENTO MINOLLICO
JOSEPH O’DELL
«AMERICA NON UCCIDERLO»
Le firme raccolte saranno inviate all’ambasciata americana.
Firme raccolte 364
MANIFESTO
DEL MOVIMENTO MINOLLICO
(16 Luglio 1996, San Benedetto del Tronto, (A. P.) ITALIA)
Si scatenò un flusso incessante di fantasie, e feci del mio meglio per non perdere la testa e per ritrovare il modo di capirci qualcosa. Ero inerme di fronte a un mondo estraneo dove tutto appariva difficile e incomprensibile. Vivevo in uno stato di continua tensione, e spesso mi sentivo come se mi cadessero addosso enormi macigni. Le tempeste si susseguivano, e che potessi sopportarle, era solo questione di forza bruta. Per altri hanno rappresentato la rovina: Nietzsche, Hölderlin, e molti altri. Ma in me c’era una forza demoniaca, e mi convinsi fin da principio di dover cercare a ogni costo il significato di ciò che sperimentavo in queste fantasie. Nel reggere a questi assalti dell’inconscio ero sostenuto dal saldo convincimento di obbedire a una volontà superiore, e questo sentimento mi diede forza finché non dominai il mio compito. (C. G. Jung)
Lo schizofrenico è il paradigma ideale del MOVIMENTO MINOLLICO; la sua energia: la destrutturazione, di ogni sclerotizzazione accademica sociale; l’unica epistemologia sapienzale; è l’azione della ricerca che si incarna nell’essere umano. L’atto estremo per la libertà, contro la subordinazione, contro il non essere.
Minollico è colui che non “lecca”; Minollico è colui che non si fa “leccare”; colui che converge divergendo: il diseredato, ma anche l’erede; l’altro e il non altro, ma sempre il “singolo nudo”.
Il MOVIMENTO MINOLLICO non esiste, è libero da ogni identità “temporale”, appartiene all’agire di ogni essere, alla sua nuda identità che si proclama; non ha obblighi, ma scelte moralmente confrontabili.
Il manifesto del MOVIMENTO MINOLLICO è a disposizione di chiunque, persegua il superamento del pregiudizio ed è contro l’intolleranza. Ogni essere se sceglie di rispettarne la sua integrità, può appropriarsene e deve diffonderlo, accettando le analisi che da tale atto possono scaturire sul suo agire. Ogni essere che decide di aderire al manifesto è l’unico responsabile delle sue azioni individuali.
I principi del manifesto sono custoditi da chiunque ne prenda coscienza, costoro riflettono, sull’uso che di esso ne viene fatto.
Il manifesto del MOVIMENTO MINOLLICO non è proprietà esclusiva di nessuno.
L’origine ch’è in ognuno di noi è l’energia che ci spinge a ricordare, forse proprio per tornare a quell’origine, chissà!? Ed è proprio da un sentire profondo che nasce tutto, è quest’energia che ci dà la possibilità di ricordare, anche attraverso fenomeni psichici che ci sembrano inconciliabili, che ci sembrano irraggiungibili. Se noi comprendiamo che la nostra vita ha un senso, anche se ci appare misterioso, troveremo per essa il coraggio di accettare questo mistero e daremo ai fenomeni della nostra psiche l’utilità che essi meritano per la comprensione di tutti noi.
Un folle che comprende la sua follia è la rappresentazione dell’intera umanità che cerca di comprendere se stessa. (dal “Faust, la pazzia e il ricordo, di Patrizio Marozzi.)
Il minollo fondatore Patrizio Marozzi.
Nel libro “Lola Blues” di Patrizio Marozzi si trova la nuova versione del Manifesto Minollico che non ha più menzionato il luogo di nascita, né la parte tra parentesi che lo conclude.
Fax 16 Dicembre 1996
È notte e con gli occhi chiusi sono seduto sulla spiaggia
immaginando
di abbracciare una mano.
L’Amico di “Am…sty international” (scusate ma non ricordo come si scrive…)
mi ha dato il numero di fax dell’ambasciata degli Stati Uniti D’America, ma a quest’ora la linea fax non riceve; porcaloca. Riproverò domani mattina e se l’esito sarà negativo, di corsa da un corriere.
Vi invio il sabato pomeriggio e la domenica mia e degli amici che mi hanno aiutato e firmato.
Sarebbe bello ascoltare in trasmissione il nostro appello, e che così diventi anche il vostro, ma immaginando la burocrazia…; parlate almeno con una frase di Joseph O’dell, grazie.
Vi invio ciò che segue, questa piccola goccia, affinché il tempo che attraversa la notte, non passi invano.
Patrizio Marozzi
Fax PER ITALIA MIA BENCHÈ 16 DICEMBRE 1996
Questa mattina ho spedito, l’appello e le firme raccolte per il caso O’dell. Questa notte vi ho inviato, l’appello e parte delle firme raccolte. Pregandovi di farne cenno durante la trasmissione, che tra l’altro era anche in tema.
Ora ho ascoltato il tg del terzo canale, e la notizia che lo scandalo, in questo caso ha assunto dimensioni, mostruose. E che Mercoledì a mezzanotte è prevista l’esecuzione.
Tra lo psicanalista, che per fortuna non è stato detto ch’è junghiano, perché mi incavolo come una bestia quando sento gente che si spaccia per quello che non può essere; il pretuzzo che ha parlato della fede come dei cavoli a merenda, per fortuna l’eterogeneità e l’equilibrio dell’andropologa.
La morte è tutta la certezza e l’incertezza di cui dispone l’essere umano.
La morte è l’unico confronto sempre presente, ha vari livelli all’interno dell’essere.
Il confronto con la morte è l’unica possibilità che la soggettività dell’individuo ha, per capire i suoi limiti e così confrontarsi con l’oggettività.
La morte è l’unico ente innegabile, negare la morte equivale ad affermarla.
La morte va accettata, non affermata. Accettarla significa “portarla” nella sua dimensione naturale, all’interno del processo vitale.
La salvaguardia naturale della vita, degenera con la “paura” di morire, che crea la scissione artificiosa tra la vita e la morte; generando quell’assurdo antagonismo tra loro. La vita non accetta più la morte, l’uomo pensa di essere immortale, e porta nella vita quest’illusione. Esempio parossistico il nazismo.
Esempio banale, voi avete avuto paura di parlare di un uomo, che innocente sta per essere giustiziato, e non avete pensato che la vostra paura alimenta “la morte”. La paura è così inconscia che neanche ve ne rendete conto, e così vi sarà sembrato di aver fatto una cosa ragionevole, ““ragionevole””. Povera coscienza. In compenso, con un milioni di libri a puntata ci sarà più gente che vi seguirà, bravi!
Come dici tu Giordano Bruno: “Vergogna”!
Per te, sappi che tra un ateo e un cristiano, non vi è nessuna differenza entrambi debbono confrontarsi con l’oggettività della morte; il problema è chi è un vero ateo o un vero cristiano; non “amplifico” oltre perché ciò fa parte di un mio percorso personale che ho già sviscerato altrove. Se con questa mia ho offeso qualcuno nella sua umanità, chiedo scusa, ma certe volte basta così poco, e quando questo poco, per atti per cui vale la pena rischiare non c’è, mi capita di arrabbiarmi. Concludo da cristiano, quale io sono con una frase di un ateo; ricordandovi che da ora in poi ci sarà un po’ di gente che vi guarderà con un occhio più critico.
Morte ripugnante. La storia degli uomini è la storia dei miti con i quali essi hanno nascosto questa realtà. Negli ultimi due secoli la scomparsa dei miti tradizionali ha sconvolto la storia, perché la morte è divenuta priva di speranza. E tuttavia non può esistere verità umana senza l’accettazione della morte priva di speranza. Ciò significa accettare il limite, non in una cieca rassegnazione, ma in una tensione dell’intera persona che coincide con l’equilibrio.
Albert Camus - Taccuini, 1951
Ciao “sminollati”
Patrizio Marozzi
P.S.
Tel e fax 0735/753745 63 037 Porto d’Ascoli A.P.
MOVIMENTO MINOLLICO
Joseph O’dell
19 Dicembre 1996
Vi scrivo per informarvi di un fatto, che è accaduto nell’ambito dell’operazione umana svolta da più parti in Italia, del caso Joseph O’dell.
Io ed altre persone, nel pomeriggio di sabato 14 Dicembre, e della giornata di domenica, siamo stati promotori di un’azione, tendente a sensibilizzare, l’ambasciata americana in Italia. Nelle nostre possibilità, abbiamo fatto quel che potevamo; hanno aderito all’appello circa Cinquecento persone.
L’appello rivolto all’ambasciatore è stato inviato via fax, all’ambasciata Americana il 16 Dicembre 1996.
Nelle prime ore del 16 Dicembre, sempre via fax è stato spedito l’appello con buona parte delle firme, causa l’interruzione della ricezione del fax, anche al programma televisivo della rai, Italia Mia Benché, con l’invito di accennare, durante il programma, anche per pochi secondi, del caso di O’dell.
L’argomento della puntata del giorno 16 Dicembre, di Italia mia Benché, verteva sul tabù della morte.
Il nostro appello è stato completamente ignorato; a noi non sembra un fatto privo di gravità, per questo pensiamo sia utile informarvi.
Ringraziandovi vi invio i miei più cordiali saluti.
Patrizio Marozzi
P.S.
Aggiungo l’appello e a richiesta l’invio delle firme.
Patrizio Marozzi Via Iv Novembre, 19 63037 Porto d’Ascoli — comune di San Benedetto del Tronto. A.P.
Tel. e fax 0735/753745
A CHI E’ STATO INVIATO IL COMUNICATO STAMPA.
Agenzia Ansa, Messaggero, L’Unità, Avvenire, La Stampa, La Repubblica, Il Tempo, Il Resto Del Carlino, Il Sole 24 Ore, La Nazione, La Sicilia, Il Mattino, Il Giornale, Il Corriere della Sera, L’Espresso, Famiglia Cristiana, Amica, Panorama, Donna Moderna, Epoca, Il Manifesto.
Fax Comunicato all’Ansa – sede Marche
Vi comunico la notizia che segue; da inviare alla sede centrale.
Se c’è qualche problema, gradirei fax, sede centrale. Grazie.
MOVIMENTO MINOLLICO
Joseph O’dell
19 Dicembre 1996
Vi scrivo per informarvi di un fatto, che è accaduto nell’ambito dell’operazione umana svolta da più parti in Italia, del caso Joseph O’dell.
Io ed altre persone, nel pomeriggio di sabato 14 Dicembre, e della giornata di domenica, siamo stati promotori di un’azione, tendente a sensibilizzare, l’ambasciata americana in Italia. Nelle nostre possibilità, abbiamo fatto quel che potevamo; hanno aderito all’appello circa Cinquecento persone.
L’appello rivolto all’ambasciatore è stato inviato via fax, all’ambasciata Americana il 16 Dicembre 1996.
Nelle prime ore del 16 Dicembre, sempre via fax è stato spedito l’appello con buona parte delle firme, causa l’interruzione della ricezione del fax, anche al programma televisivo della rai, Italia Mia Benché, con l’invito di accennare, durante il programma, anche per pochi secondi, del caso di O’dell.
L’argomento della puntata del giorno 16 Dicembre, di Italia mia Benché, verteva sul tabù della morte.
Il nostro appello è stato completamente ignorato; a noi non sembra un fatto privo di gravità, per questo pensiamo sia utile informarvi.
Ringraziandovi vi invio i miei più cordiali saluti.
Patrizio Marozzi
P.S.
Aggiungo l’appello e a richiesta l’invio delle firme.
Patrizio Marozzi Via Iv Novembre, 19 63037 Porto d’Ascoli — comune di San Benedetto del Tronto. A.P.
Tel. e fax 0735/753745
A CHI E’ STATO INVIATO IL COMUNICATO STAMPA.
Agenzia Ansa, Messaggero, L’Unità, Avvenire, La Stampa, La Repubblica, Il Tempo, Il Resto Del Carlino, Il Sole 24 Ore, La Nazione, La Sicilia, Il Mattino, Il Giornale, Il Corriere della Sera, L’Espresso, Famiglia Cristiana, Amica, Panorama, Donna Moderna, Epoca, Il Manifesto.
MOVIMENTO MINOLLICO
Fax 20 Dicembre 1996
Patrizio Marozzi
Via IV Novembre, 19
63037 Porto d’Ascoli A.P.
presidente
Ammensty International
Roma
Vi scrivo per esprimervi alcune considerazioni, suscitatemi, dalla telefonata che ho fatto alla vostra organizzazione ieri.
Vi ho telefonato, perché mi sto occupando del caso O’dell, chiedendovi se per favore potevo avere da voi i fax delle redazioni dei giornali. Per comunicare ad essi, il fatto che l’invito, rivolto al programma della RAI, Italia Mia benché, (da me e dai firmatari l’appello inviato all’ambasciatore americano) di accennare durante il programma del caso O’dell, fosse stato del tutto ignorato. Per completare la notizia vi informo che successivamente a questo invito ho inviato, nel pomeriggio del giorno 16 Dicembre, una lettera via Fax alla redazione del programma dove esprimevo il mio dissenso, per il loro agire. Neanche a questa lettera, abbiamo avuto risposta.
L’unica volta che la redazione di Italia mia Benché, mi ha telefonato, è stato in risposta a un mio Fax, per invitarmi a partecipare al superculturquiz, seppur li ringrazio per la gentilezza; non posso non rilevare la discrepanza, di tale comportamento, data dal fatto che tra i due fatti non vi è dubbio quale fosse quello che avesse priorità.
Per quando riguarda voi faccio questa riflessione, io penso che ogni organizzazione che aggrega individui, non può e non deve deresponsabilizzare l’individuo stesso, di agire e di caricarsi delle responsabilità che vuole. Ogni individuo con la sua storia personale deve assumersi in ogni azione la sua responsabilità e non scaricarla sulla struttura a cui appartiene, e così alimentare la burocratizzazione e l’impoverimento creativo dell’individualità che partecipa a tale struttura.
Per questo ieri se pur comprendo, non approvo del tutto quel rifiuto che mi è stato fatto, quasi avessi chiesto, numeri di telefono segreti. Tanto più che la gentilezza che ho incontrato contattando le redazioni, mi hanno fatto pensare che forse, non so se voi in toto, o semplicemente, la persona che mi ha risposto, credo sia stata l’addetta stampa, sia un po’ contorta. Ma non voglio esprimere giudizi su chi non conosco, ma non posso altresì, se non rimanere un po’ perplesso, quando mi viene detto che un giornalista può fare ciò che vuole. Certo ma quel che vuole, in particolare quando è in un istituzione pubblica, che il pubblico lo sappia. E battersi anche per queste piccole gocce significa, legittimare anche l’impegno per quelle più grosse. Proprio per questo, pur non disconoscendo il vostro impegno, sono stato e rimango col dubbio che la mia persona possa mai aderire alla vostra organizzazione.
Se qualcuno vi chiede qualcosa approfondite di più la richiesta che vi viene fatta, quando si diventa troppo grandi si può anche diventare superficiali.
Io comunque ho fatto quel che potevo, fin ora, per Joseph O’dell e questa è la cosa che conta di più. Vi mando per informazione, l’appello inviato all’ambasciatore e il comunicato stampa, a richiesta, le firme raccolte. Vi do il merito che il Fax dell’ambasciata americana l’ho avuto, tramite Ammensty di San Benedetto del Tronto; ma state tranquilli non lo dirò a nessuno. Ma non sarà che vi prendete il merito di questa goccia ch’è venuta da qui per Joseph O’dell. Naturalmente sto scherzando, in questi casi non si lotta per i meriti.
Approfitto che sono prossime le feste per inviarvi i miei auguri, in particolare alle donne di Ammensty; mi raccomando a tutte le donne del mondo di Ammensty date miei auguri.
Con Simpatia
Patrizio Marozzi
Tel. e fax 0735/753745 — 63037 Porto d’Ascoli A.P. ITALIA
Uno strano clima
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: Ceneri alle Ceneri di Harold Pinter
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi <[email protected]>
To: <[email protected]>
Sent: Sunday, November 23, 1997 4:55 PM
Subject: Ceneri alle Ceneri di Harold Pinter
> RAPIDI PENSIERI senza INTERLOCUTORE per una non CRITICA PERSONALE
> CON CHI HA VISTO: "CENERI ALLE CENERI" DI Harold Pinter
> San Benedetto del Tronto. Teatro Calabresi, Martedì 18 Novembre 1997
>
>
> C'è un suono particolare quando si viaggia in macchina la notte, è come
> sentire il suono di un'armonica che "ti respira tra le labbra, la mia
> armonica che mi suona nella testa. Il tragitto che devo fare è di alcuni
> chilometri, pochi per definirlo un viaggio; ma è un viaggio perché è lo
> "spostarsi", lo SPOSTARSI.
>
> Sono entrato nel locale, ho scorso lo spazio i tavoli occupati, osservato
i
> volti, guardato i visi, incontrato gli sguardi. Una frase, due, il suono
> delle voci, il suono della musica, i miei passi che si "spostano,
> attraversano la sala da tè: raggiungo il banco. Dico alcune parole e ne
> ascolto alcune...
> Questo è accaduto prima che (stessi) viaggiando, ma ora che attraverso la
> notte in macchina accade di nuovo. DI NUOVO.
> (Entriamo nella pausa temporale, ascoltiamo il silenzio e trasformiamo il
> di nuovo in NUOVO-STATO)
> IL FLAUTO MAGICO. Sono seduto con tre donne, incontrate appena... a un
> tavolo.
> Si Parla senza approfondire la conoscenza (approfondire
> la conoscenza) ...poi se ne vanno e mi salutano. Penso allo spettacolo
> teatrale a cui ho assistito prima che fossi qui (che fossi QUI).
> -CENERI ALLE CENERI, polvere alla polvere, il luogo delle parole, il loro
> suono nel loro tempo (nel loro tempo).
> Harold Pinter - "ASHES TO ASHES (atto unico)
> interpreti - Adriana Asti e Jerzy Stuhr
> regia di Harold Pinter
> ......la luce sulla scena, il primo suono: "Il Tempo! C'è un silenzio
pieno
> che introduce le prime parole degli attori, uno spazio riflessivo che
> reggerà il senso dell'intero testo della pièce.
> "INTERVALLO"
> lo spazio silenzioso che spesso si verifica tra le frasi che gli attori
> enunciano, pronunciano, rappresenta il tempo che si dilata verso
> l'espressione della sua stessa compiutezza. Le domande, il rispondere, il
> dire degli attori prende corpo nel "suono silenzioso" della loro
voce che
> parla del perché delle loro domande, in questo sfalsamento del suono il
> segno entra nel
> progetto che ha generato la stessa domanda, viene inglobato nell'intero
> tempo che cerca il senso.
> Dove ci conduce una parola? E da dove proviene (proviene) il
"motivo" che
> ci fa pronunciare questa domanda? La risposta non la troviamo nel suono
> segnico
> che i due attori esprimono, ma nel silenzio che si trasforma in simbolo
> evocativo dell'origine stessa delle parole suono che gli attori si
> scambiano: l'INTERVALLO apparente che si genera da questo silenzio, non
> rappresenta una "porzione dell'evento del tempo", ma la visibilità
del
> "dire che
> viene inglobato nella dilatazione fisica dello spazio-tempo, che così si
fa
> suono e parola degli attori e rappresentazione evocativa della realtà
> che si avvicina al senso.
> Le domande che nascono dal dialogo degli attori sulla realtà che vivono,
> (che vivono) non trova origine nella risposta segnica-fonologica, ma
> attraverso lo
> scavalcamento della superficie segnica, per mezzo del realizzarsi
> dell'INTERVALLO silenzioso - non rappresentazione segnica-fonologica - gli
> attori approdano alla pronuncia di quel suono-simbolo, che fa avvertire
> agli spettatori il motivo "reale che ha generato la domanda: la
> domanda e la risposta trovano la loro reale identità; e nell'aderenza con
> l'attuarsi della ricerca che gli attori svolgono, il teatro forse riesce a
> coniugarsi con la sua "rappresentazione".
> La tensione che si riversa sul pubblico dalla scena teatrale, attraverso
le
> fibre nervose del chiario-scuro che esprime la dimensione psichica dei
> protagonisti, trova una mirabile interprete in Adriana Asti: la donna che
> rappresenta ha la voce profonda dell'introversione che non ammette più di
> essere contenuta nei meandri della memoria, la sua voce irrompe nella,
> sulla realtà che cerca di frantumare rompendo le
> convenzioni di un dialogo temporale: "FINIRE DI NUOVO" non in
una
> circumnavigazione storica, ma nello svelamento dell'origine, del motivo,
> del SENSO.
> La realtà vissuta dall'altro protagonista, nell'interessante
> interpretazione dell'attore Jerzy Stuhr, è rappresentazione di quel vivere
> storico che è
> determinato dal "dire" l'atto estroverso dell'evento, la storia
che si
> ripete e che illude il senso e che fa dire al protagonista che non si può
> FINIRE DI NUOVO, ma solo finire e basta, ma aggiungere paradossalmente che
> si può nascere di nuovo.
> Nella bellissima regia di Harold Pinter ho trovato interessante la scelta
> di un attore non italiano, quasi ad evidenziare la differenza della
> condizione psichica dei due ruoli interpretati, rappresentando il processo
> dialettico anche attraverso una fonologia che diventa esperienza sonora,
> una cacofonia del senso.
> Il tentativo di integrazione della realtà che vive nella rappresentazione
> teatrale ha il suo compimento nel processo di svelamento che si attua
> davanti allo
> spettatore per coinvolgerlo e stimolarlo nella possibile ricerca del
> proprio senso.
> ANALESSI
> Ho pensato questo mentre ero seduto nella sala da tè
> PROLESSI
> Sono seduto davanti al computer; ho terminato il mio viaggio nella notte
> alcuni istanti fa, la mia macchina è in garage.
> Sto per scrivere una E-MAIL al "RE NUDO".
>
> Patrizio Marozzi
> [email protected]
Questa E-Mail l’ho editata su un Newsgroup di teatro, ma ho perso i riferimenti. Il “RE NUDO” che menziono al termine, non fa riferimento specificatamente alla compagnia teatrale nell’indirizzo. Compagnia a carattere locale, ma ad un certo mondo del teatro.
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: richiesta
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi
Sent: Saturday, October 21, 2000 11:13 AM
Subject: richiesta
20 Ottobre 2000
Patrizio Marozzi
Via IV Novembre 19
63037 Porto D'Ascoli A.P.
tel e fax 0735 753745
e-mail [email protected]
Cineforum
San Benedetto del Tronto
Gentili del cineforum anche quest'anno siamo prossimi all'inizio della
stagione e come è consuetudine, essendo socio mi avete inviato la lettera
informativa e ho notato che i primi due cicli tutto sommato sono
interessanti. Ma il motivo della mia lettera è un altro, ma non in antitesi
con la realtà cinematografica che rappresentate, giacché l'atteggiamento
mentale è essenziale per una buona valutazione di ogni pellicola
cinematografica. Nello specifico mi riferisco all'indirizzo riportato sulla
lettera che mi avete inviato - non mi importa nulla del fatto che dinanzi al
mio nome non c'è nessuna sigla, anzi, ma quel 63037 San Benedetto del Tronto
mi infastidisce non poco. Non perché è indubbio che sia inesatto a livello
ufficiale e neanche aiuta lo smistamento della posta, ma perché fa parte di
un retaggio culturale alquanto modesto che sembra non si riesca a superare.
Nel popolo di San Benedetto da sempre nei confronti "dell'altra parte del
mondo" - Porto D'Ascoli c'è stata e continua ad esserci un atteggiamento
subalterno che non dico che non riesce a superare, ma che non riusciamo a
superare, già perché la realtà del comune di San Benedetto del Tronto ha
ancora la bizzarria del io sono il padrone e mi devi rispetto e gratitudine
anche quando non lo merito, non voglio entrare nella storia del popolo di
San Benedetto per dimostrare da dove e perché si determinino certe vanterie
e della realtà veramente piccolo borghese di cui è impregnato ogni ceto di
cui è composta, Non voglio poi molto parlare di quella parte dei cittadini
di Porto D'Ascoli che da tempo hanno concretamente perso quell'atteggiamento
subalterno, ma che psicologicamente ancora se lo trascinano dietro.
Ma per divertirmi e per calarmi un po' nella mentalità che non è del tutto
mia polemizzerò nel modo consono alla situazione. Allora incomincerò con il
dire che sono stati e sono molte le persone di Porto D'Ascoli che hanno
governato e amministrato il comune di Porto D'Ascoli ops volevo dire di San
Benedetto del "Tronto" che San Benedetto era piccola ed è ancora
piccola e
che ha da sempre avuto bisogno di Porto D'Ascoli per estendersi e crescere,
che Porto D'Ascoli se avesse avuto un suo comune non avrebbe visto
ristringere il suo lungomare all'altezza del campo Europa e che avrebbe
tutto quel che ha e molto, ma molto di più, e fatto meglio, che le
infrastrutture di importanza extra comunale e comunale site a Porto D'Ascoli
sono nostre quando vostre, non è un caso, anche se in un territorio più
vasto del vostro - che ad occhio la popolazione di Porto D'Ascoli ha
lo stesso numero di quella di San Benedetto, pertanto quella vostra caduta
di stile nel far notare a chiunque la vostra ingratitudine vi è risparmiata.
Il Mondo sta crescendo e Porto D'Ascoli con esso, le infrastrutture e i
collegamenti stradali li abbiamo tutti, ma la pochezza di San Benedetto è
ancora grande; il caso vuole che neanche quei non molti treni extra
regionali che fermano alla stazione di Porto D'Ascoli non vengano citati
nell'orario ufficiale. E per questo come non ricordare la buon'anima di
Camiscioni che nell'ottica di San Benedetto voleva smembrare Porto D'Ascoli
e chiedeva con forza che fosse considerato come un quartiere di San
Benedetto del "Tronto", gli albergatori farebbero meglio a tacere con
quell'accozzaglia di volgarità che ci propinano ogni anno in estate. Sono
sicuro
che quando sarà completata l'uscita autostradale a Grottammare San Benedetto
farà finta che sia la sua, chissà forse perché nella sua mentalità
compensativa pensa di avere a che fare con un altro comune, un suo pari. Ma
vedrete che nella sua ingratitudine, prima o poi incomincerà ad esigere
subalternità da parte dei grottesi perché incomincerà a dire che Grottammare
ha avuto il Casello autostradale grazie a San Benedetto. È per questa
mentalità che all'uscita dell'autostrada di Porto D'Ascoli vi è citato solo
San Benedetto, già perché è grazie a Porto D'Ascoli che San Benedetto può
usufruire dell'autostrada da quando è nata l'A14.
Io quando vado fuori trovo imbarazzo a dire che sono di San Benedetto
giacché non sono cosi insignificante. Chissà forse per una situazione così
congenita sarebbe ora che per crescere come merita, Porto D'Ascoli si
riappropriasse di tutto ciò ch'è suo e con gli interessi perché sperare che
San Benedetto cambi mi sembra un'utopia.
In questo contesto, quindi tutto quello che voi come associazione,
culturalmente riuscite a fare è anche troppo, ma appunto perché siete
un'associazione culturale se mancate della perspicacia di capire il contesto in
cui vi muovete, vuol dire che la vostra azione è vana e insignificante.
Per tutto ciò, ma anche perché semplicemente è un'inesattezza mi sento
infastidito da quel 63037 San Benedetto del Tronto; se proprio non ce la
fate, ma lo stesso volete complicare il lavoro postale, potete scriverci
solo città, a me può andar bene.
Patrizio Marozzi
P.S.
Ora che ho terminato la lettera andrò sul vostro sito per inviarvi la
presente tramite e-mail, ma considerate che se avessi usato la posta avreste
visto sulla lettera il timbro postale di Porto D'Ascoli.
“Estrapolazione” integrale e fedele dal sito del comune di San Benedetto del Tronto.
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accade in citta
Indice cultura l'Amministrazione Comunale di San Benedetto del Tronto
in collaborazione con
A.M.A.T Associazione Marchigiana Attività Teatrali
presenta
CALENDARIO
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BIGLIETTI Presentazioni
Stagione teatrale
Teatro per ragazzi
§ Teatro PalaCongressi § Teatro Calabresi
Pensato e “costruito” con l’obiettivo di riportare il grande pubblico al
teatro, il cartellone della stagione degli spettacoli 2000/2001 si
presenta quantomai articolato e ricco di proposte che mirano a soddisfare
i gusti più diversi.
Come sarà senz’altro gradito a molti appassionati il ritorno del teatro
“Calabresi” quale sede della maggior parte degli spettacoli: ciò non
signifca, si badi bene, rinnegare la scelta del Palazzo dei Congressi, una
grande struttura che ben si adatta ad eventi di particolare richiamo. E
infatti lì si svolgeranno lo spettacolo di Giobbe Covatta e i concerti di
Vinicio Capossela e Laura Pausini. Mentre il Palazzetto dello Sport, altra
struttura di grandi dimensioni di cui la città dispone, accoglierà due
“mostri sacri” della canzone d’autore italiana, Francesco Guccini e
Antonello Venditti. Per il resto, la sala da circa 800 posti del
“Calabresi” dovrebbe soddisfare la richiesta di tutti gli amanti del
genere.
Senza entrare nel merito dei singoli spettacoli, ci limitiamo ad osservare
che la presenza di autori come Oscar Wilde, Peppino De Filippo, Carlo
Goldoni costituiscono di per sé garanzia di qualità mentre a dar corpo,
anima e voce ai loro testi sono stati chiamati attori del calibro Giuseppe
Cederna, Luigi De Filippo, Giorgio Albertazzi, Valeria Moriconi, Corrado
Pani, Milena Vukotic.
Sfogliando questa pubblicazione, ognuno potrà verificare se l’obbiettivo
che ci eravamo posti, quello di allestire un cartellone di richiamo senza
perdere di vista le proposte innovative di qualità, è stato raggiunto. Noi
ci abbiamo lavorato a lungo con la preziosa collaborazione dell’AMAT,
storico partner del Comune, e della società “Comstar” con la quale abbiamo
definito il calendario dei concerti musicali, un gradito ritorno per la
città.
Ci auguriamo che i sambenedettesi, ma non solo loro, apprezzino la
proposta dell’Amministrazione comunale. Attendiamo tutti al teatro
“Calabresi” e ai Palazzi dei Congressi e dello Sport per trascorrere
serate all’insegna del buon teatro e della buona musica.
L’assessore alla cultura
Il Sindaco
Renato Novelli
Paolo Perazzoli
Inizio pagina
La proposta complessiva di spettacoli per la stagione 2000/2001 comprende
anche un “cartellone parallelo” espressamente dedicato ai ragazzi. Il
successo della scorsa edizione, superiore alle più rosee previsioni, ha
indotto l’Amministrazione comunale a ripetere e rafforzare l’esperimento.
Abbiamo inoltre deciso di riconfermare il Palazzo dei Congressi quale sede
degli spettacoli in virtù della grande richiesta che abbiamo riscontrato
l’anno scorso.
D’altronde sappiamo bene quanto il teatro, oltre ad essere un momento di
socializzazione e di divertimento (e gli spettacoli in programma
promettono tantissimo in questo senso…), rappresenti per i ragazzi
un’occasione preziosa e insostituibile. I ruoli, i dialoghi, le storie con
la morale che ne scaturisce consentono ai giovani studenti di riflettere e
di rielaborare idee e opinioni proprie. Tutto questo ridendo,
commuovendosi, appassionandosi a quanto accade sul palcoscenico.
A tutti i bambini e ragazzi delle scuole elementari e medie della città
auguriamo pertanto buon divertimento. Ai loro insegnanti chiediamo
collaborazione e un contributo critico affinché questa rassegna possa, di
anno in anno, diventare sempre più interessante e utile al loro delicato
compito di educatori.
L’Assessore alla cultura
Il Sindaco
Renato Novelli
Paolo Perazzoli
Inizio pagina
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: richiesta
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi
Sent: Saturday, November 11, 2000 4:24 PM
Subject: che bella sorpresa
all'assessore alla cultura Renato Novelli.
Noto con piacere che anche quest'anno inizia la stagione teatrale, e come sempre è accettabile una programmazione accattivante, che naturalmente non tenga in alcun conto una reale sperimentazione e ricerca, ma di questi tempi è veramente difficile trovarne di autenticamente valida. In fondo San Benedetto ha bisogno del teatro, per diversificare un po' le serate, in alternativa ad una buona pizza o la serata in televisione, in fondo il tutto serve giusto per dare un tono, un po' di atteggiamento culturale. E va be' non è condannabile una situazione del genere, anche se non è auspicabile per nessuno. Ci sarebbe una nota di colore per ogni assessorato alla cultura che ha attraversato il nostro paesotto - culturalmente parlando - E quindi noto con piacere che anche il signor Novelli non ha perso tempo, per lasciare il suo segno, adeguando la cultura alla politica dei metri quadri. Come altrimenti considerare il fatto di riportare la stagione teatrale al quartiere centro di San Benedetto a discapito di una struttura: quella del palacongressi che dovrebbe già essere polo culturale globale della città di San Benedetto e aperta alle regione Marche e Abruzzo, grazie anche alle possibilità di una viabilità non indifferente. E che fare di meglio, per far sì, che possa essere utilizzabile in tutte le sue possibilità? (se non sbaglio c'è anche il progetto, al suo interno, di un altro spazio teatrale) la si utilizza, mi sembra di capire, per quegli spettacoli che si presume richiedano maggiore spazio. Non sarà che lei Sig. Novelli si augura che vengano meno persone per la stagione teatrale, dato gli ottocento posti del Calabresi? Credo in realtà che questa sia una sua scelta ponderata con acuta intelligenza affinché anche l'altra sala, di minor posti, del palacongressi sia realizzata. Converrà con me che tutto ciò è un'operazione alquanto contorta. Non sarebbe stato più legittimo valorizzare i metri quadri del palacongressi in quanto comunali e soprattutto perché la cultura non è un fatto di metri quadri. Chissà con i soldi risparmiati si sarebbe anche potuto allestire alcuni spettacoli di ricerca, che non surrogassero la pizza. Ma mi sorge il dubbio, dopo come avrebbero fatto quelli del quartiere centro di San Benedetto?
Cordialmente
Patrizio Marozzi
C’è chi scrive e c’è chi pubblica
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: informazioni
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi
Sent: Tuesday, February 01, 2000 8:23 AM
Subject: informazioni
Porto D'Ascoli, 1 Febbraio 1999
Patrizio Marozzi
Via IV Novembre 19
63037 Porto D'Ascoli A.P.
tel e fax 0735 753745
Egregio Dir. ed. Carmine Donzelli
Via Mentana 2/B
00185 Roma
Egregio Direttore, mentre sto scrivendo il mio prossimo libro - con la libertà che mi contraddistingue nella ricerca dei processi creativi dell'arte, con la libertà di un somaro e la capacità di un genio - le scrivo questa presente, per chiederle l'opportunità di inviare alla sua casa editrice i miei lavori già fatti, ed appena finito anche il mio ultimo libro - per un Suo riscontro in merito all'eventualità di una loro pubblicazione. Non mi dilungo oltre - ma nel qual caso lo ritenga opportuno sono aperto ad una sua richiesta - Nell'augurarle una buona giornata resto in attesa di una Sua urgente risposta, grazie.
Patrizio Marozzi
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: commenti e saluti
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi
Sent: Saturday, October 23, 1999 9:33 AM
Subject: commenti e saluti
A proposito della guerra fredda, di un po’ di birra e di un custode.
Saltare saltare e ancora saltare – mi ricordo bene quel saltare sul posto dei concerti punk – e cosa credete che fosse che faceva saltare a quel modo, la musica poteva servire, anzi ti giustificava, ma quello che faceva zompare quasi sbraitare con il corpo verso lo spazio che c’era sopra la testa – era la voglia di liberarsi, di dire: "dove stai brutta bomba di merda. E già perché il problema era propri questo – gli americani e i russi s’erano puntati così tanti missili l’uno contro l’altro, che erano riusciti nel formare quello status di perfetto equilibrio democratico che auspicavano, ed ogni persona poteva dire di avere il suo missile personale - e andava in bagno con il suo missile, ci passeggiava durante la giornata; spesso accadeva che parlando con un'altra persona inavvertitamente si alzassero gli occhi come per vedere se la punta del missile dell’altro stesse al suo posto o fosse finito per errore anch’esso puntato sopra la tua testa; ed era allora che erano cavoli amari – rischiavi di ritrovarti con due missili nucleari non so quante volte più potenti della bomba d’Hiroscimà che ti scoppiavano addosso mentre l’altro a un metro di distanza da te stava tutto tranquillo, perché non aveva più il suo missile in testa pronto a scoppiargli. Perché la presenza di questi missili te la sentivi addosso sempre – pronti ad esplodere come e quando volevano con un bottone e BooM. - …e allora c’era chi iniziava a fare la talpa, costruendosi case in cemento armato sotto terra, e chi come i PunK saltava più in alto possibile per vedere se era vero che la punta del missile gli sbattesse in testa.
Le cose, ora, non sono molto cambiate, altri missili e altri "posti si stanno preparando, ma il luogo dello scontro è sempre lo stesso, vicino alla luna sul pianeta terra – e un sintetico richiamo su quei tanti anni "che non vogliono ancora finire, come: "Guerra Fredda e Il Terrore Virtuale di Emanuele (Mattioli) funge da rinfresca memoria.
Un po’ di birra per iniziare.
Di
Stefano Partemi
Un po’ di birra per iniziare. Sembrerebbe proprio così, ma in fondo poi i giorni sono sempre lì, e allora è solo un caso al malto o la necessità basilare del luppolo che muove il protagonista del racconto, forse né l’uno né l’altro, - forse né l’uno né l’altro, - forse è solo il pretesto per dire – "Oggi è incominciato qualcosa, può essere un giorno nuovo" – per dire con le ultime frasi del racconto: "Mi piacerebbe riiniziare a fare l’amore con lei, intanto aspetto che si svegli. Ieri sera è stata proprio una bella festa." Il luppolo della sera prima non serve più, c’è un ipotesi di realtà che è più reale del bicchiere di birra di prima che tutto accadesse. Qui il racconto trova la sua conclusione narrativa, ma anche la sua "cifra stilistica, la sua natura strutturale. Non può dirsi che il racconto attraversi percorsi stilistici per così dire tradizionali, a mio parere, la struttura con cui è stato costruito si appoggia ad una sua logica - quella del tempo e dei giorni del protagonista, non a caso, credo che l’inizio del racconto narri del mattino successivo ad una festa: "La notte precedente avevo partecipato ad una festa universitaria […] La mattina seguente mi sono svegliato alla tre del pomeriggio e stavo ancora di fuori. Il racconto sembra finire come è iniziato, ed in parte penso sia così, ma con una variante determinate sia per la sua costruzione stilistica che narrativa – la possibilità che la nuova realtà rappresentata dall’incontro con la ragazza porti il racconto nel punto di fuga che lo fa sentire concluso, il protagonista cambia la trama dei suoi giorni tanto diversi per quanto uguali. Il racconto di una giornata che finisce con il risveglio in una mattina diversa. Tutto con il ritmo delle frasi costruite con il suono delle parole del linguaggio parlato.
Il Custode di Giuseppe Calendi approfondisce quelli che sono i canoni del racconto breve, attraverso la metafora e la temporalità simbolica legata agli eventi, ma quello che mi ha interessato del suo linguaggio è l’intromissione - qua e la più accentuata - all’interno del racconto di quella forma, che può apparire ironica, ma che in realtà vedo più legata a quelle che sono le espressioni delle sceneggiature dei fumetti – "Chissà se quel rimbambito avrà capito tutto ciò che gli ho spiegato, o mia venerabile"…
Per quanto riguarda la lettura l’ho trovata piacevole. Salute a tutti
Patrizio (Marozzi)
P.S.
…da dirvi soltanto che vi mando ciò che ho scritto dopo una rapida rilettura, sperando di non urtare nessuno. Hiroscimà non ricordo come si scrive esattamente, se lo avessi scritto giusto è per puro caso.
A: Mister x
Cc:
oggetto: I: Un pensiero per te da Ippolita Avalli
----- Original Message -----
From: Patrizio Marozzi <[email protected]>
To: contattami <[email protected]>
Sent: Monday, November 20, 2000 10:35 AM
Subject: R: Un pensiero per te da Ippolita Avalli
> Ti ringrazio del consiglio, io non ho molte regole o meglio si riassumono
in
> pochi concetti: "Non avere nessun divieto creativo a priori,
qualora...
> trovare il modo per superare il divieto. Lavorare sui processi creativi a
> stretto contatto con la profondità dei contenuti. Nessun pregiudizio, ma
la
> capacità di generarlo ad arte. E naturalmente lavorare sulla conoscenza
per
> la struttura etica dei personaggi e per dare logica stilistica-morale al
> lavoro.
> Ho risposto al tuo messaggio anche se non ho ben capito se era questo il
suo
> scopo, giacché l'ho trovato generico e impersonale. comunque - Ciao e
buone
> cose
> Patrizio Marozzi
> [email protected]
>
> ----- Original Message -----
> From: contattami <[email protected]>
> To: <[email protected]>
> Sent: Saturday, November 18, 2000 2:15 PM
> Subject: Un pensiero per te da Ippolita Avalli
>
>
> Carissimo, ho pensato che anche se non scrivi ti farà piacere ricevere
> queste 'dieci regole d'oro'
> Posso essere utili in svariati casi, per me sono importanti al punto che
> me le tengo davanti al computer quando lavoro a un romanzo e spesso le
> ripasso.
> Ciao, buone cose, Ippolita Avalli
>
>
Vengono dall'officina di alcuni grandi scrittori (che amo). Le ho stampate e quando lavoro a un romanzo le appendo accando al computer. Ogni tanto le rileggo per mantenermi nel giusto binario.
DIECI REGOLE D'ORO
1 - Scegliere il motivo (di carattere o di passione) cioè il tema centrale, l'argomento - ciò per cui si fa o non si fa qualcosa
2 - Ogni elemento a cui si ricorre deve avere un nesso preciso con il motivo stesso -sia cioè in accordo o in aperto contrasto
3 - Costruire l'intreccio attentamente - ogni evento valga a illustrare il motivo
4 - Evitare ogni intreccio secondario - a meno che non abbia la funzione di integrare o rovesciare il principale.
5 - Iniziare con quello che succede; le ragioni per cui succede; come questa storia sia la storia di tutti gli individui, l'espressione di un tema costante e universale.
6 - Scegliere il tono giusto per la conversazione secondo l'intensità della passione che deve esprimere.
7 - Vietato per sé e per i persognaggi (nei dialoghi) qualsiasi frase che non costituisca parte integrante dello sviluppo della vicenda o della discussione del problema centrale.
8 - Ogni cosa che sia necessaria allo sviluppo dell'azione deve essere rappresentata drammaticamente (es: se un uomo sta per picchiare sua moglie non è suffuciente dire che l'uomo è incline alla violenza o che la moglie lo infastidisce. Dobbiamo vedere come e perché l'uomo è incline alla violenza e in che modo la moglie lo infastidisce).
9 - Non permettere allo stile di scendere e di affievolirsi al di sotto del livello del suo argomento.
10 - Importante: il romanzo (o il racconto) non è una trascrizione della vita - da valutarsi con il criterio dell'esattezza -, ma l'esemplificazione di un aspetto della vita, che risulterà valido o meno a seconda della sua capacità di risultare schiettamente significativo.
Interlocutori
Risposta ad un poeta nascosto che mandava tutti a cacare.
Da: Patrizio Marozzi <[email protected]>
Newsgroup: it.cultura.filosofia
Oggetto: risposta a [email protected]
Data: lunedì 1 gennaio 1601 2.00
Poco curioso. Molto banale. Facendo finta di prenderti sul serio e così cercare di comunicare con chi, come te, dimostra dei chiari problemi nei riguardi della comunicazione, mi permetto di fare delle considerazioni, forse inutili, sul tuo modo di relazionarti con gli altri tramite il mezzo informatico.
Vorrei dare alla tua risposta che ho trovato alla mia, la motivazione di un gioco ironico. Sinceramente non vi riesco giacché l’ironia poggia il suo esistere sulle capacità argute di chi interpreta un messaggio comprendendone il senso, ma ne sviluppa l’aspetto giocoso paradossale. Forse il tuo è semplice sarcasmo, ma anche in questo caso è banale, ed è banale perché manca di originalità, è prevedibile nel senso più sciocco. Nel tuo messaggio manchi di relazione, di dialogo con la domanda che ti viene posta, anzi se permetti il tuo atteggiamento sembra più una risposta ai tuoi bisogni di relazione con te stesso/a che con gli altri. Ho rilevato questo dal senso delle risposte che dai un po’ a tutti, è monotematico e ripetitivo; la realtà dell’interlocutore non è per te poi molto importante, importante per te è il “tuo” modo di agire, ch’è quello di dissacrare, perché pensi di avere le risposte, ma siccome non le ritrovi negli altri finisci per sentirti banalmente frustrato/a (questo sperando che tu non sia un semplice cretino/a). Ho rilevato che hai tolto dal mio testo una “è”, dando per scontato che fosse meglio, neanche ti sei posta o posto la riflessione, per cercare di capire se fosse voluta o no. Questo è l’atteggiamento di quelle persone che pensano di sapere prima di capire, e questo è il modo più usato da quelle persone che credono di sapere quello che non hanno mai fatto. “Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna”. Hai mai sentito parlare della cacofonia nella grammatica della musica.
Essendo ironico mi viene da dirti che il tuo modo di comunicare assomiglia a quello che si rivela in un disagio psichico, ed è quell’atteggiamento compulsivo che obbliga il soggetto investito da tale disagio a rispondere spasmodicamente a tutti perché pensa si rivolgano a lui, questo si verifica nei gesti, ma anche nella sfera della parola, perché tale soggetto sente, inconsciamente, che ogni parola che percepisce investe la parte profonda della sua identità.
Essendo ancora più ironico voglio dirti che le tue risposte assomigliano tanto a quelle che venivano date in un certo periodo storico dell’Italia dove chi non sapeva rispondeva: “ME NE FREGO” e invitava gli interlocutori a bere abbondanti dosi di olio di ricino, famoso purgante dell’epoca. A conferma di tutto ciò detto sopra c’è la dimostrazione che tu dici quello che dici, ma ti nascondi non dicendomi il tuo vero nome. Questo sarebbe sufficiente per non prenderti in considerazione.
Comunque ti saluto con simpatia. Ciao! Patrizio
--
Da: Patrizio Marozzi <[email protected]>
Newsgroup: it.cultura.filosofia
Oggetto: per Elisa e Sandra. Fibrillazione della parola
Salve!
Illusione o apparenza. Lo sguardo sottile del gioco di parole o la concretezza della parola. Qual è il peso di un segno? Il suo gesto compiuto o il suo apparire? Qual è la sua origine? Il muro di una caverna che attraverso i segni che vi sono tracciati ci comunica il tempo, attraverso un tempo? O lo sguardo di chi legge quel segno attraverso una vita?
Possiamo dire ognuno nella nostra soggettività di riuscire ad afferrare la voce della parola che leggiamo, cioè il suo esistere oggettivo? Il segno è interprete di se stesso o noi siamo la sua interpretazione?
Il segno è una traccia indelebile dell’apparire dell’esistenza umana, che però svanisce nell’illusione della storia come realtà umana. Cosa accade dall’altra parte della stessa parte, nello spazio dell’oggettività che ci contiene? Qual è lo sviluppo che determiniamo? È possibile superare l’illusione della storia, ed entrare nell’apparire della storia; e se c’è una risposta che dice di sì, mi chiedo è possibile approdare nel “sentire” il tempo.
NASCERE MORIRE
MORIRE NASCERE
RINASCERE=SENTIRE – “FEDE=LIMITE” – REALTàVITA – Sé – MORTE=[!]
Ciao!
--
Da: (elisa) <[email protected]>
Newsgroup: it.cultura.filosofia
Oggetto: Re: per Elisa e Sandra. Fibrillazione della parola
Caro Patrizio,
mi è piaciuta la tua “fibrillazione”, da cui deduco sia impossibile, per te, definire il segno nella sua origine/oggettività/storia. Infatti così è anche per me: si dovrebbero fare troppi distinguo (chi lo fa, perché, dove e quando, chi lo legge, perché dove e quando, storia, come, ecc). Ma si approda (e questo ti assicuro sia possibile) al “sentire” il tempo, allora tutto questo non interessa più.
Grazie per l’occasione,
elisa
L’Editore
5 Giugno 1999
Adelphi edizioni
Dir. Ed.
Roberto Calasso
Via S. Giovanni sul Muro 14
20121 Milano
Patrizio Marozzi
Via IV Novembre 19
63037 Porto D’Ascoli A.P.
tel e fax 0735 753745
Egregio Sig. Calasso buongiorno a lei e ai Suoi collaboratori; questa mattina ho ricevuto la Vostra lettera che mi comunica che purtroppo per il libro “Il Tempo” non è possibile la pubblicazione – Mi dispiace per lui, ma sono certo che riuscirà prima o poi ad entrare nel panorama delle reali possibilità della letteratura – Ho 35 anni, mi sento maturo e giovane e teoricamente dovrei ancora esserci quando ciò accadrà; purtroppo la congiuntura attuale tiene poco conto del reale, a favore di un realismo virtuale che sta asfissiando in ogni campo ogni processo vitale consapevole del presente, e come è sempre accaduto nella storia questo favorisce quel sistema burocratico, dove le sovrastrutture di un passato prossimo si trasformano per le prospettive future del reale presente in passato remoto; questo distorce la percezione del reale per trasformarla in realismo virtuale. Ovviamente io da artista non posso permettermi questo, ho l’obbligo morale e le capacità intellettuali di tenere conto del reale presente e delle prospettive future insite in esso… Allora mi dispiace per “Il Tempo”, ma anche per Voi e per me che non siamo riusciti nel Suo intento. Naturalmente il “fatto” che io vi invii i miei lavori vuol dire che vi reputo all’altezza di saper capire il reale dal realismo virtuale, ma spassionatamente vi do il consiglio di essere vigili perché cadere di questi tempi è diventato veramente facile, per paradosso logicamente illogico – assurdamente naturale. Pertanto grazie tanto per l’attenzione prestatami. Nel libro “Il Tempo” seppur rimanendo fedele alla ricerca dei miei processi creativi ho concesso qualcosa sotto il profilo stilistico, nel senso che mi sono posto l’esigenza creativa di creare quei codici interpretativi che risiedono nella prospettiva di un lettore si attento ma lo stesso comune, in una struttura globale del tutto autonoma e legata alla mia personale ricerca. La ragione dei processi creativi, fino al processo creativo in sé è alla base di tutti i lavori che vi ho inviato fin ora – Sin dalla tetralogia del Faust che ora è divenuta definitiva in un unico volume dal titolo Letteratura Sperimentale, che per ora tengo qui con me in attesa che i tempi migliorino – un libro che basa la sua esistenza su processi creativi così forti da non farmi avere nessun dubbio sulla sua oggettiva realtà qualitativa. Ho accennato a ciò per spiegare in parte che i miei processi creativi partono da sperimentazioni reali (anche quando uso alchimie da artista scrittore, come nel viaggio in Marocco narrato ne Il Tempo, - non sono mai stato in Marocco fisicamente.) ed è con questo proposito che le propongo il mio ultimo lavoro “Lola Blues” è un lavoro ricco, ma semplice e trasparente, dove non sono caduto nella tentazione di creare codici palesemente accattiavanti tutt’altro. Non dimentichiamo che per scrivere ci vuole coraggio.
La ringrazio ancora per l’attenzione prestatami e mi scusi per la lunga lettera, mi è venuta in questo modo senza pensarci troppo.
Patrizio Marozzi
P.S. Per quanto riguarda il dattiloscritto Il Tempo vi chiedo la cortesia di rimandarmelo, nel modo che ritenete più opportuno, anche a mie spese non c’è problema. Grazie.
P.S.
30/11/2000
– Eroina sotto controllo?
Sembra che sui prossimi pacchetti di sigarette non ci sarà più la dicitura nuoce gravemente alla salute, ma – il fumo ti uccide! L’altro giorno in Gran Bretagna è venuta fuori la notizia che una cosa simile sarà fatta per i cellulari. Nessuno mi toglie dalla testa fino a prova contraria che ciò non sia niente altro che un espediente per incrementare le vendite - quale messaggio migliore dare al consumatore di dirgli: “Tu sei pienamente consapevole di quel che stai facendo ed hai la possibilità di controllare la morte”. C’è cosa più accattivante per l’essere umano, penso proprio di no. E come non riflettere che mentre il pianeta sta andando in frantumi, tutti i governi del mondo si riuniscano per riflettere se c’è bisogno di una legge, affinché il pianeta sopravviva nelle condizioni adatte per la vita umana. “Naturalmente” la legge non viene fatta e il pianeta per questo può legittimamente continuare a distruggersi. Mi sembra tanto la stessa logica del pacchetto di sigarette. Credo che i motivi siano due, o l’essere umano è libero e vuole per sé il diritto alla responsabilità. O incapace di assumersi le responsabilità della libertà delega la stessa alla legge. Mi sembra evidente che la seconda sia quella che predomini. Quindi perché stupirsi che ci siano sempre più leggi che invece di aiutare ad accettare le responsabilità della vita, tentano per lo più all’oblio di tale responsabilità. E come non ridere drammaticamente di questa Italia dove dei così detti giovani protestano per il diritto alla libertà, semplicemente chiedendo che con le droghe leggere vogliono avere la libertà di provare la stessa sensazione di una sbronza. Dove gli omosessuali vogliono che il loro amore finisca tra le pieghe di una legge che non riesce più a tenere unita nessun tipo di coppia e dove altri giovani urlano contro di ciò per paura che la durezza del loro pene non sia più legittimata. Dove quel povero disgraziato di Berlusconi è costretto a comprarsi una mega villa in ogni metro quadro d’Italia, e non è capace, che ne so, magari tenersi un miliardo l’anno e dare tutto il resto per opere di bene. Ma la logica del potere e non della qualità ha regole così ferree da togliere ogni reale responsabilità; gli va dato merito che molti si identificano con lui, anche se non hanno una lira e il più bello esempio di questo prodotto è il dott. Bossi. Dove Bertinotti e compagnia bella parlano ancora della libertà del salario minimo. E dove i centri di qua e di là cercano la cristianità nelle “opere di bene” di Formigoni. Dove ancora l’aborto è considerato il male minore. Io voglio la responsabilità di non rispettare la legge, sono contro la pena di morte, contro l’ergastolo e per trovare qualcosa di diverso al carcere. E mi rendo conto che nel contesto descritto sopra è qualcosa di altamente legittimo.
È in questo contesto che secondo me la legge sull’uso controllato di eroina si va ad inquadrare e invito chiunque ad una libera e responsabile riflessione su di essa.
Vi saluto e vi amo tutti indistintamente.
2000 anni orsono qualcuno che non infranse nessuna legge, le infranse tutte – fini in croce – ma per questo promise di tornare e credenti e non credenti stavolta non sarà per finirci di nuovo. Non è una minaccia ma un augurio.
Patrizio Marozzi
Ultima Lettera
Fu in quel giorno, c’erano stati così tanti avvenimenti che non ricordavo nemmeno il motivo per cui giunsi in quel giardino. Avevo incontrato molte persone e le voci del mondo continuavano a tenerne impegnati i ragionamenti. Risposi ad uno di loro che era facile identificare le capacità peculiari di qualcuno, che la storia aveva ormai a sua espressione. Quantunque anche questo in realtà non significasse affatto avere una reale consapevolezza delle sue capacità, ma soltanto dell’uso che la storia ne faceva. Questa condizione infatti facilita tutte quelle persone che in realtà non hanno un reale confronto con l’oggettività delle loro capacità, ma soltanto un convenzionale modus vivendi. Altresì se non fosse così non avverrebbero ritardi per identificare quell’espressione artistica che determina i reali valori e la consapevolezza della realtà. Le capacità, sarebbero rese libere da ogni caducità dell’eventualità storica – ciò è il vero “riconoscimento” di un’opera classica. Poi li lasciai ai loro discorsi e giunsi in quel giardino.
“Ero seduto, ascoltavo con la mia fantasia il suono di un clavicembalo. Seduto su una panchina di un giardino qualsiasi della mia città. “Ciao.” “Ciao.” Sento qualcuno che saluta e mi accorgo di un pacco avvolto in una busta, appoggiato lì, al mio fianco sulla panchina… Un libro, lo apro, un pagina a caso. Leggo: …”
Mister X
Taccuino Anonimo di Mister X
…un oggetto biologico, una riduzione associazionistica all’interno di un evento materico, controllabile e determinabile da una volontà di affermazione, di potenza che nega l’esistenza di Dio. L’odio per Dio è la determinazione del suo esistere. La morte di Dio ne rappresenta la fine del male. L’oggetto biologico non persegue più nessun fine, ma esprime attraverso la sua volontà l’affermazione del suo esistere materico determinandone lo stato e la sua fine, l’oggetto biologico determina lo stato della materia e nella sua estinzione la fine del bene e del male.
l’inizio del materialismo, il momento del nazismo, il determinismo psicologico, scientifico sono aspetti della stessa faccia che solo apparentemente sembrano diversificarsi, ma che in realtà nella loro volontà di affermazione applicano al mondo un trasformismo del tutto virtuale e continuativo, un pensiero anti-cristiano. Jung ha visto in questo l’anticristo un mondo umano che perde anche la possibilità di “pensare” la sua spiritualità, in un collettivo prigioniero nel suo mondo materiale.
Dell’essere cristiani
Seguire l’esempio di Cristo
…
Inno alla carità
E ora io vi mostrerò una via che sorpassa ogni altra.
13
Quand‘anche io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho la carità, sarei un bronzo rimbombante o un cembalo squillante. 2 Avessi pure il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi anche tutta la fede, tale da trasportare le montagne, se non ho la carità io sono un niente. 3 Anzi, se distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo ad esser bruciato, se non ho la carità non giova a niente. 4 La carità è paziente, la carità è benevola, non ha invidia, la carità non si vanta, non si gonfia, non agisce disonestamente, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male, non gode della ingiustizia, ma si rallegra della verità. ~‘ Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non viene mai meno. Le profezie passeranno. Le lingue cesseranno. 9 La scienza scomparirà. Parzialmente infatti conosciamo e parzialmente profetiamo; ma quando sarà venuto ciò che è perfetto, quello che è parziale sparirà. Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; fatto uomo, ho smesso ciò che era da bambino. 12 Al presente vediamo infatti come attraverso uno specchio, in maniera confusa, allora invece faccia a faccia. Ora conosco solo parzialmente, allora conoscerò nello stesso modo con cui sono conosciuto.
13 Ora poi rimangono la fede, la speranza, la carità, tutte e tre: ma di queste la più grande è la carità.
…
Il fatto della resurrezione dei morti
15
Ora, fratelli, vi dichiaro il vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale anche perseverate, 2 e per mezzo del quale siete pure salvati, se ricordate con quale parola io ve l’ho evangelizzato, a meno che non abbiate creduto invano.
3 Vi ho infatti trasmesso in primo luogo ciò che anch’io ho ricevuto, e cioè che Cristo è morto per i nostri peccati, secondo le Scritture, che fu sepolto, che il terzo giorno fu risuscitato secondo le Scritture e che apparve a Cefa e poi ai dodici. Apparve pure a più di cinquecento fratelli in una sola volta, dei quali i più vivono ancora, mentre alcuni sono morti. 7 Apparve quindi a Giacomo, poi a tutti gli apostoli. 8 E infine, dopo tutti, è apparso anche a me, come all’aborto. 9 Io infatti sono il minimo degli apostoli, io che non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Ma per grazia di Dio sono quello che sono e la sua grazia verso di me non fu vana, e ho lavorato più di tutti loro; non io però, bensì la grazia di Dio insieme con me. Pertanto, sia io che quelli, così predichiamo e cosi voi avete creduto.
Ora, se di Cristo si predica che è risorto dai morti, come mai alcuni fra voi dicono che non c’è la resurrezione dei morti? Ché se non c’è la resurrezione dei morti, neppure Cristo è risorto. ‘4 Se poi Cristo non è risorto, vana è dunque la nostra predicazione e vana è pure la vostra fede. ‘5 Anzi noi siamo trovati perfino falsi testimoni di Dio, perché per Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, che invece non avrebbe risuscitato, se i morti non risorgono.
i6 Se infatti i morti non risorgono, neppure Cristo è risorto. ‘~ Se poi Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati; ~8 perciò anche quelli che si sono addormentati in Cristo sono perduti. ‘9 Se poi solo durante questa vita riponiamo la nostra speranza in Cristo, siamo i più infelici di tutti gli uomini.
In Cristo tutti saranno vivificati
20 Ma ora Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. 21 Poiché, come per mezzo di un uomo è venuta la morte, cosi anche per mezzo di un uomo è venuta la resurrezione dei morti. 22 E come tutti muoiono in Adamo, cosi tutti saranno vivificati in Cristo. 23 Ciascuno però nel suo ordine: Cristo come primizia, poi coloro che sono di Cristo, al momento della sua venuta. 24 Quindi verrà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio e Padre, dopo aver distrutto ogni Principato e ogni Potestà e Virtù. 23 Bisogna infatti che egli regni fino a che non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. 26 L’ultimo nemico che sarà distrutto è la morte, 27 poiché tutto ha posto sotto i suoi piedi. Però quando egli dice che tutto gli è stato assoggettato, è chiaro che si deve eccettuare colui che gli ha assoggettato tutto. 28 Quando poi avrà assoggettato a lui tutte le cose, allora anch’egli, il Figlio, si assoggetterà a colui che gli ha assoggettato tutto, affinché Dio sia tutto in tutti.
29 Altrimenti che cosa farebbero mai quelli che vengono battezzati per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché mai si fanno battezzare per essi? 30 E perché noi ci esponiamo al pericolo in ogni momento? 3’ Ogni giorno io muoio, ve lo giuro, o fratelli, per la vostra gloria che ho in Cristo Gesù Signore nostro. 32Se in Efeso io ho combattuto contro le belve solo per motivi umani, qual vantaggio me ne viene? Se i morti non risorgono, allora mangiamo e beviamo, perché domani morremo.
33 Non ingannatevi: le cattive conversazioni corrompono i buoni costumi. 3~ Rientrate in voi stessi, come si conviene, e non vogliate Peccare: alcuni, infatti, hanno una grande ignoranza di Dio, ve lo dico per vostra vergogna.
Il modo della futura resurrezione
35 Ma qualcuno domanderà: Come risuscitano i morti? Con qual corpo ritorneranno? 36 Stolto! Quello che semini non viene vivificato, se prima non muore; e quanto a quello che tu semini, non è il corpo che nascerà quello che tu semini, ma un semplice granello, supponiamo di frumento o di qualche altra cosa; 38 Dio poi gli dà un corpo conforme a quanto ha stabilito, e a ciascun seme dà il proprio corpo. 3~ Non ogni carne è la stessa carne, ma altra quella degli uomini, altra la carne degli animali domestici, altra la carne degli uccelli, altra quella dei pesci.
40 Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, altro quello dei corpi terrestri, 4’ altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle: anzi una stella differisce in splendore da un’altra stella. 42 Così sarà pure della resurrezione dei morti: si semina nella corruzione, risorgerà nella incorruzione; si semina nella ignominia, risorgerà nella gloria; si semina nella debolezza, risorgerà nella forza; si semina corpo animale, risorgerà corpo spirituale. Se vi è un corpo animale vi è pure un corpo spirituale. 45 Difatti così sta scritto: « Il primo uomo, Adamo, diventò anima vivente”, l’ultimo Adamo spirito vivificante. 46 Ma non è prima lo spirituale ma l’animale, lo spirituale viene dopo. 4~ Il primo uomo, tratto dalla terra, è terrestre, il secondo uomo è dal cielo. 48 Qual è il terrestre, tali sono anche i terrestri e qual è il celeste, tali sono anche i celesti. E come abbiamo portato l’immagine del terrestre, cosi rivestiremo pure l’immagine del celeste.
50 Questo però affermo, o fratelli, che né la carne, né il sangue possono ereditare il regno di Dio, ne la corruzione può ereditare l’incorruzione.
Dov’è, o morte, la tua vittoria?
5’ Ecco che io vi annunzio un mistero: Tutti, certo, non morremo, ma tutti saremo trasformati, 52 in un attimo, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. ~3 È necessario infatti che questo essere corruttibile si rivesta d’incorruzione e che questo essere mortale si rivesta d’immortalità. E quando questo essere corruttibile si sarà rivestito d’incorruzione e questo essere mortale si sarà rivestito d’immortalità, allora si compirà la parola che fu scritta: « La morte è stata assorbita nella vittoria. O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo pungiglione? »• 5~ Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. 5~ Ma sia ringraziato Dio, che ci dà la vittoria mediante il Signore nostro Gesù Cristo.
58 Perciò, fratelli miei diletti, rimanete saldi, irremovibili, abbondando sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
…
leggendo San Paolo.
Anonimo
[i brani citati per autore ed interprete, sono o editati da Arnoldo editore, einaudi, rizzoli e alcuni di essi rieditati da mondolibri e…non ricordo]
www.ilmanoscrittodipatriziomarozzi.it